Parola chiave: rallentamento. Nel senso che se è vero che, per ciò che riguarda l’industria metalmeccanica italiana, il secondo trimestre 2018 ha visto il “proseguimento di una fase moderatamente espansiva”, tale fase ha perso slancio rispetto a quanto si è visto nel corso del 2017. Tanto che le previsioni relative al terzo trimestre, quello attualmente in corso, lasciano immaginare che tale fase, pur restando positiva, si accinga a subire qualche ulteriore decremento.
Infatti, la produzione dell’industria metalmeccanica, realizzata nel nostro Paese nel secondo trimestre del corrente anno, risulta cresciuta di un bel 4,9%, se viene raffrontata, in termini tendenziali, con l’analogo periodo del 2017: mentre la crescita si contrae a un assai più modesto 0,9% se il confronto viene fatto, in termini congiunturali, con il primo trimestre 2018.
Questo, almeno, ciò che è emerso oggi a Roma dove la Federmeccanica, l’associazione delle imprese del settore aderenti a Confindustria, ha presentato i risultati della 147° edizione della sua indagine trimestrale su La congiuntura dell’industria metalmeccanica.
Ma, più che le cifre, considerate come elementi base dell’analisi economica, ciò che oggi è venuto in primo piano nella conferenza stampa tenuta da Federmeccanica è stata la presentazione di un testo, staremmo per dire un appello, articolato in cinque punti e intitolato “Più Impresa!”.
Un testo che costituisce forse più la base per un’offensiva di comunicazione politica, che non un vero e proprio manifesto programmatico. E che, comunque, ambisce ad avere un impatto in un Paese come il nostro che, pur essendo un grande paese manifatturiero, non riesce da molto tempo ad animare un discorso pubblico che sia all’altezza della complessità e dell’importanza dei problemi connessi al nostro apparato industriale.
Sia come sia, il sottotitolo di “Più impresa!” recita così: “Aumentare la forza delle imprese per dare forza al Paese”. Mentre la conclusione dell’appello è questa: “Più Impresa, Più lavoro. Quando le nostre aziende crescono, assumono Persone per crescere insieme”.
Ed ecco i cinque punti del breve manifesto. Più Metalmeccanica, Più Istruzione e Formazione, Più Innovazione, Più Flessibilità e Più Competitività.
Ora è lecito chiedersi: perché più (industria) metalmeccanica? Perché questo settore, risponde orgogliosamente Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica, costituisce insieme la spina dorsale e le vene del nostro sistema industriale. Spina dorsale, perché tiene dritto e stabile il nostro tessuto produttivo. E vene perché l’industria metalmeccanica è quella che produce e innova continuamente tutti gli apparati produttivi usati dagli altri settori e mette così in circolo i risultati dell’innovazione.
E qui si torna subito alle cifre, sintetizzate nel primo punto del testo: in Italia, l’industria metalmeccanica rappresenta l’8% del Pil, quasi il 50% dell’export e occupa 1 milione e 700mila lavoratori.
E perché più innovazione? Perché, risponde l’appello di Federmeccanica, “noi ci prendiamo i rischi per costruire un futuro migliore”, ma poi “dobbiamo essere aiutati ad aiutare il Paese”. Laddove, spiega ancora Franchi, con questo “dobbiamo essere aiutati” Federmeccanica non pensa solo alla continuazione di piani come “Industria 4.0” – avviati, aggiungiamo noi, dai Governi a guida Pd -, ovvero a piani volti a incentivare gli investimenti che consentono alle imprese di diversi settori di rinnovare il proprio parco macchinari e quindi di innovare i propri processi produttivi. Federmeccanica, a quanto si comprende, comincia anche a pensare a nuove forme di incentivazione fiscale volte a favorire non solo l’innovazione tecnologica, ma quella più complessiva dei modelli di business, in base alla quale le imprese manifatturiere tendono a non produrre più solo beni materiali, ma anche i servizi che sono ad essi correlati.
E perché più istruzione e formazione? Perché, come ha ricordato Fabio Astori, Vicepresidente di Federmeccanica, uno dei problemi che viene sempre più nettamente avvertito dalle nostre imprese, è quello del cosiddetto mismatch, il divario, la discrepanza fra domanda e offerta di lavoro. Nel senso che – come ha spiegato Elena Falcone, del Centro studi di Federmeccanica – dall’indagine congiunturale emerge che il 48% delle imprese ha difficoltà a reperire personale dotato delle competenze necessarie per assumersi i ruoli lavorativi che risultano scoperti in azienda. E che serve, dunque. un maggior grado di convergenza fra l’orientamento dell’istruzione scolastica pubblica e l’impegno delle imprese verso la formazione permanente dei propri dipendenti. Con l’aggiunta del corollario che, per Federmeccanica, l’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro – recentemente messa in causa, aggiungiamo noi, dall’attuale ministro gialloverde della Pubblica istruzione – va non solo conservata, ma sviluppata verso obiettivi di qualità.
E ancora: perché, o in che senso, “più flessibilità”? Nell’industria metalmeccanica italiana, ha rivendicato con orgoglio Astori, il 96% dei lavoratori dipendenti sono stati assunti a tempo indeterminato. Per Federmeccanica, dunque, “flessibilità non vuol dire precarietà”. Ciò nonostante, il fatto che esistano forme di flessibilità nell’ingresso dei lavoratori nella vita delle imprese ha dimostrato di essere importante. E ciò sia per le imprese, che hanno così modo di conoscere i propri candidati dipendenti, sia – in ultima analisi – per gli stessi lavoratori. A riprova di ciò, lo stesso Astori ha ricordato che almeno il 40% delle nuove assunzioni registrate nelle imprese metalmeccaniche è il frutto della trasformazione di precedenti contratti flessibili. A parte il fatto che, in tempi economicamente incerti, le imprese ci pensano due volte prima di caricarsi nuovi assunti a tempo indeterminato.
E infine, in che senso più competitività? Ancora Astori ha ricordato che il famoso Clup, ovvero il costo del lavoro per unità di prodotto, cresce in Italia da prima della crisi del 2008, e cioè fin dall’inizio degli anni 2000. E ciò mentre nel principale dei paesi nostri competitori, la Germania, il Clup è andato decrescendo. Il che crea un evidente divario competitivo. Più in generale, Astori è tornato a insistere – come Federmeccanica del resto fa da tempo, assieme a tutta la Confindustria – sull’annosa esistenza di fattori che abbassano la competitività non solo delle singole imprese, ma del nostro sistema-Paese, a partire dalla farraginosità degli obblighi burocratici e dalla sempre più frequentemente citata arretratezza delle infrastrutture.
Che fare dunque per far crescere la competitività, vuoi del sistema Paese, vuoi delle imprese? Il primo punto, secondo Astori è quello di favorire – si immagina per via fiscale – ogni possibile collegamento contrattuale fra salari e produttività. Per non parlare di una riduzione di quelle tasse che generano il famoso cuneo fiscale tra costo complessivo del lavoro, a carico delle imprese, e retribuzioni dei lavoratori. Mentre, per ciò che riguarda la propensione delle imprese a fare nuovi investimenti in innovazione, il giudizio di Astori sulle aziende italiane è parso sostanzialmente positivo.
Come si vede, “Più Impresa” si presenta come un mix di idee – per non dire di rivendicazioni – già note con nuove esigenze. All’osservatore, appare comunque significativo che, dopo gli anni della entente cordiale con i Governi a guida Pd, Federmeccanica abbia sentito adesso il bisogno di ripresentarsi sulla scena pubblica armata, se non di un position paper, almeno di un mini manifesto a difesa delle ragioni dell’industria. Ragioni che, a quel che pare, non sono le prime cui il Governo penta leghista è pronto a porgere orecchio.
Tornando alle cifre illustrate da Elena Falcone, va detto che, nei primi sei mesi dell’anno in corso, la produzione metalmeccanica ha registrato nel nostro Paese un significativo incremento pari al 4,6% rispetto al 2017. A raffreddare l’entusiasmo che potrebbe derivare dall’osservazione di questo dato stanno però due fatti.
Il primo è che “i volumi realizzati risultano ancora inferiori del 22,1% rispetto al periodo pre-recessivo”, ovvero rispetto al primo trimestre del 2008. Il secondo è invece relativo al fatto che, come affermato ancora da Astori, “sulle prospettive a breve pesano le incognite relative alle dinamiche geopolitiche internazionali che generano un clima di incertezza”. E qui si va dalla Brexit, alle contese sui dazi fra Stati Uniti e Cina, ai diversi fattori, sia economici che politici, che travagliano l’area del Medio Oriente, dalla Turchia all’Iran. Ora, data la forte propensione alle esportazioni tipica dell’industria metalmeccanica italiana, da tutto ciò risulta un quadro in cui i portafogli ordini di molte imprese sono ancora consistenti, ma i periodi di visibilità degli ordini già ricevuti si accorciano. Ed è anche da questa constatazione che deriva l’ipotesi previsiva di un ulteriore rallentamento dell’attività produttiva metalmeccanica quanto meno nel terzo trimestre del 2018, se non nell’intera seconda metà del corrente anno.
@Fernando_Liuzzi