Roma, martedì 4 giugno. Piazza di Monte Citorio è invasa da un bel sole, decisamente estivo. Perché, dopo una delle primavere più instabili – con molte giornate fredde e piovose – che gli abitanti della Capitale ricordino, anche sulla città dei Sette Colli sembra finalmente arrivato il bel tempo.
Considerazioni meteorologiche a parte, dentro al salone dell’albergo dove Federmeccanica si accinge a presentare la 150° edizione della sua indagine trimestrale su La congiuntura dell’industria metalmeccanica, di motivi che possano sostenere l’umore dei rappresentanti delle imprese del nostro maggior settore manifatturiero verso sentimenti di fiduciosa soddisfazione ce ne sono almeno un paio.
Il primo motivo è un giusto orgoglio di organizzazione. Federmeccanica, infatti, può congratularsi con sé stessa perché la continuità di un’iniziativa seria e universalmente stimata, come quella delle indagini congiunturali, è di per sé un fatto positivo. E ciò tanto più oggi, ovvero nel giorno in cui la serie di indagini, avviata nell’ultimo trimestre del 1981, taglia, come detto, il traguardo dell’indagine numero 150.
Il secondo motivo è quello che potremmo definire come un giusto orgoglio di categoria. Perché gli imprenditori, anche se non indossano la tuta blu, si sentono anche loro metalmeccanici. E sono fieri del fatto che – come ricordato oggi da Stefano Franchi, che di Federmeccanica è il Direttore generale – l’industria metalmeccanica, “con 120 miliardi di euro di valore aggiunto”, da un lato possa intestarsi il merito di produrre il 50% del valore aggiunto realizzato dall’industria manifatturiera nel nostro Paese, e, dall’altro, quello di essere all’origine “dell’8% della ricchezza nazionale” misurata in termini di Pil.
Ma, tutto ciò detto, già i titoli più evidenti delle pagine di economia e lavoro dei maggiori quotidiani non facevano presagire, negli ultimi giorni, niente di buono. Da un lato, l’addensarsi di prime nubi sulla complessa trattativa aperta dalla Fca per la progettata fusione con Renault lasciava intravedere la debolezza del nostro sistema-paese rispetto alla Francia, una nazione in cui il rapporto fra Stato e apparato produttivo appare molto più strutturato. Dall’altra, le notizie sull’annunciata chiusura dello stabilimento napoletano della Whirlpool riproponevano il tema della nuovamente crescente debolezza industriale del nostro Mezzogiorno.
E infatti, quando, dopo la breve introduzione di Franchi, la parola è passata ad Angelo Megaro, direttore del Centro studi di Federmeccanica, si è capito che sotto le volte dell’albergo romano non sarebbero risuonate note allegre. Megaro ha cominciato a snocciolare una serie di dati tendenzialmente negativi, connessi fra loro da considerazioni poco confortanti. I risultati della 150° indagine, ha esordito, “confermano la fase di stagnazione che sta interessando il settore dall’inizio del2018”. Non solo. Tali risultati “non lasciano intravvedere, per il secondo trimestre” variazioni di rilievo della congiuntura metalmeccanica per ciò che riguarda sia i “volumi produttivi” che “le consistenze del portafoglio ordini”.
Ma andiamo avanti. I dati relativi “all’andamento del comparto metalmeccanico” rivelano che la produzione, dopo un quarto trimestre 2018 negativo (-1,1% nel confronto congiunturale con il terzo), registra sì, nel primo trimestre del corrente anno, “un parziale recupero rispetto alla fine del 2018 (+0,3%)”, ma attesta anche “una diminuzione dei volumi pari al 2,1% nel confronto con l’analogo periodo dell’anno precedente”.
Insomma, a un leggero sollievo del dato congiunturale si accompagna un dato tendenziale decisamente negativo. D’altra parte, i dati relativi alla produzione hanno un preciso riscontro per ciò che riguarda l’occupazione. Infatti, per quanto riguarda le dinamiche occupazionali, “nei primi tre mesi del 2019 le imprese metalmeccaniche con oltre 500 addetti hanno registrato andamenti moderatamente negativi: i livelli occupazionali medi sono diminuiti dello 0,5% rispetto all’analogo periodo del2018”. In particolare, “il calo dell’1,3%” registrato per le qualifiche operaie, è stato “solo in parte compensato dal +0,5%” registrato per le qualifiche impiegatizie.
A conferma di un trend sostanzialmente negativo, sta poi il fatto che “è tornato a crescere il ricorso” alla Cassa integrazione. Nel primo trimestre del 2019, infatti, “le ore autorizzate per gli addetti metalmeccanici sono state pari a 30,2 milioni”. Il che costituisce una crescita del 39,6% rispetto “all’analogo periodo del2018”.
E veniamo a qualche dato settoriale. Nel primo trimestre 2019 le cose hanno continuato ad andare bene solo nel comparto statisticamente definito “altri mezzi di trasporto”, ovvero in quello che comprende cantieristica navale, aerospazio e materiale ferroviario. Qui, coerentemente a quanto verificatosi nel corso del 2018, la produzione è salita di un + 7,1% rispetto al primo trimestre dello stesso 2018.
Grave, invece, l’arretramento registrato nel comparto definito “autoveicoli e rimorchi”; un arretramento pari a un netto -10,4%. Male anche la “metallurgia” (-3,0%) e i “prodotti in metallo” (-5,2%).
Questi ultimi due dati, con ogni probabilità, costituiscono il riflesso statistico delle già note traversie vissute concretamente in grandi stabilimenti siderurgici quali l’Ilva di Taranto, le Acciaierie di Terni e la ex Lucchini di Piombino. Mentre, nella contrazione del comparto autoveicoli, si riflettono tutte le difficoltà che, negli ultimi mesi, hanno colpito, a livello globale, il settore dell’auto, compresa la componentistica. E di ciò si ha un riscontro passando dai dati settoriali a quelli relativi alle esportazioni dei nostri prodotti.
Premesso, infatti, che anche oggi sia il presidente di Federmeccanica, Alberto Dal Poz, che il vicepresidente, Fabio Astori, hanno ribadito che l’export è ciò che ha tenuto in piedi la nostra industria metalmeccanica, data la fiacchezza della domanda interna, va detto che la fase particolarmente difficile attraversata dall’industria dell’auto in Germania ha necessariamente avuto qualche contraccolpo negativo per il nostro export. Infatti, il settore auto tedesco costituisce, notoriamente, un mercato di sbocco privilegiato per il comparto della componentistica auto, particolarmente diffuso nel nostro Paese.
Infine, una notazione a metà fra analisi economica e critica politica. La settimana scorsa, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva dedicato un’intera sezione delle sue Considerazioni finali ai rapporti fra Italia ed Europa. Sottolineando che l’economia italiana “è profondamente integrata in quella europea”. Infatti, “il 60 per cento delle nostre importazioni proviene dagli altri Paesi dell’Unione europea”, mentre “il 56 per cento delle esportazioni è ad essi destinato.” Ora, non che fosse necessaria una conferma alle lucide analisi del Governatore. E tuttavia, può essere interessante notare che, per ciò che riguarda la nostra industria metalmeccanica, ci troviamo di fronte a un grado di integrazione con l’area dell’Unione europea anche superiore a quello medio del nostro Paese. Le esportazioni metalmeccaniche verso i 28 Paesi dell’Unione hanno costituito infatti, nel primo trimestre del 2019, il 58,9% del totale, con una crescita dell’1,3% rispetto al primo trimestre del 2019. Tra queste spicca il flusso di export verso il Regno Unito (+17,8%), spinto dal timore degli eventuali dazi e rincari successivi alla Brexit. Insomma, anche parlando di industria metalmeccanica appare chiaro che il nostro orizzonte si chiama Europa. Ciò che non è altrettanto chiaro, è il grado di consapevolezza di questi dati effettivamente posseduto dal nostro Governo.
@Fernando_Liuzzi