“Bisogna puntare su competenze qualificate e su manager capaci di governare l’innovazione. All’avvento dei robot si reagisce investendo nella qualità del lavoro di tutti, che è la sfida più grande che abbiamo dinnanzi”. Questo è il messaggio lanciato dal presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla, in apertura dell’Assemblea nazionale dell’Organizzazione di rappresentanza del management industriale, in corso oggi a Roma.
L’innovazione, nota Cuzzilla, sta polarizzando le professioni: “è dunque fondamentale che il nuovo governo trovi le risorse per intervenire a colmare il gap di professionalità con alta qualifica, investendo in formazione e nella valorizzazione delle competenze manageriali in azienda. Altrimenti –avverte- finiremo confinati in un equilibrio basso, che fa a pugni con la nostra vocazione di grande Paese industriale”.
Secondo Cuzzilla, inoltre, “manca ancora un vero piano sul Lavoro 4.0. Questo intervento doveva partire contemporaneamente all’investimento nei macchinari, che certamente ha avuto effetti propulsivi sull’industria, ma oggi serve la spinta giusta per favorire l’ingresso in azienda delle figure capaci di gestire le macchine”.
“Stiamo perdendo le produzioni che non agganciano l’innovazione perché non si dotano della managerialità necessaria, il capitale umano è decisivo per garantirci competitività. La meritocrazia non è solo un valore, ma è una variabile sul Pil”, insiste il presidente di Fedemanager.
Secondo i dati elaborati dalla Federazione, su fonte Inps, e presentati oggi in occasione della Assemblea Nazionale, le imprese industriali con almeno un dirigente in organico sono diminuite del 16% dall’inizio della crisi ad oggi, passando dalle 18.724 unità del 2011 alle 15.742 del 2017. Nel periodo considerato, di conseguenza, anche il numero di manager si è contratto segnando un – 9,5%.
Il trend negativo è principalmente concentrato nelle piccole e piccolissime imprese, che hanno chiuso o hanno perso managerialità. In 7 anni, invece, il numero medio di dirigenti è più che raddoppiato nelle aziende che contano tra 11 e i 50 manager ed è incrementato di quasi il 50% in quelle di grandi dimensioni, dotate di un organico superiore a 50 manager.
A fronte di una riduzione complessiva di queste figure apicali, nelle aziende industriali con almeno un dirigente la concentrazione media di dirigenti è cresciuta lievemente, passando dai 4,07 manager per azienda del 2011 ai 4,35 del 2017.
“Le grandi aziende stanno tenendo, anche se non sostituiscono tutti i manager che vengono esodati -spiega Cuzzilla – Ci preoccupa molto di più la situazione delle PMI, che rappresentano oltre il 90% del nostro tessuto produttivo. Se queste imprese rinunciano a dotarsi di competenze manageriali, non solo perderanno competitività ma rischieranno di scomparire rapidamente in un mercato fortemente selettivo, dominato dall’innovazione e sempre più globalizzato”.
Risulta particolarmente penalizzato il Sud Italia, che ha perso 27 punti percentuali in 7 anni. Qui i manager in meno sono 1.022, con una flessione di 437 unità nel 2017 rispetto all’anno precedente. Numeri che, osserva Cuzzilla, ‘’sono lo specchio di anni di mancati interventi, che hanno fortemente pregiudicato lo sviluppo di una parte del Paese”. Dunque, a partire dall’Ilva, serve “un grande progetto industriale per il Mezzogiorno: investimenti strutturali, misure di vantaggio, opere logistiche, e piani per sfruttare le risorse messe a disposizione dall’Europa”.
“Nell’era della Quarta rivoluzione industriale, la competizione globale non si gioca più tra singole imprese né tra singoli Stati, bensì tra territori interconnessi. Stiamo disegnando una nuova geografia produttiva – conclude Cuzzilla – di cui l’Europa rappresenta una pedina irrinunciabile”.