Si chiama “Industriall – European Trade Union”, il nuovo sindacato europeo dei lavoratori dell’industria e delle manifatture (oltre 8 milioni i lavoratori iscritti), frutto della fusione delle Federazioni europee dei metalmeccanici, chimici e tessili, costituito a Bruxelles lo scorso 16 maggio. Il diario del lavoro ha chiesto a Valeria Fedeli, eletta vice presidente del nuovo sindacato e già presidente del sindacato europeo dei tessili e vice segretaria generale della Filctem Cgil, di commentare l’evento.
Perché costituire un sindacato europeo?
Per essere più forti insieme. In questo momento storico non esistono paesi esenti dalle difficoltà economiche e fuori dall’impatto della crisi. Unirsi vuol dire contrastare con più forza fenomeni che si stanno verificando più o meno in tutti i paesi europei, quali il forte arretramento delle condizioni di lavoro, l’attacco al ruolo del sindacato e della contrattazione. La reazione del sindacato nazionale non è più sufficiente e siamo consapevoli che non ci si salva da soli.
Chimici, tessili e meccanici insieme. Ma le esperienze non sono diverse?
Sì lo sono ma il mercato di riferimento è quello europeo e i problemi sono globali. Le tre federazioni in questi anni hanno approfondito tematiche diverse: i tessili l’internazionalizzazione dei prodotti e della filiera, i chimici la questione della salute e sicurezza, i meccanici il tema dell’innovazione tecnologica. Esperienze utili a tutti i settori industriali e che, se condivise, possono costituire insieme una cultura comune di una politica industriale di sistema. La vecchia logica di settori diversi è sbagliata e perdente.
Come siete arrivati a questa decisione?
Non è stata una scelta a freddo. È stata una decisione politica più che tecnica, che deriva da un lungo percorso di convincimento e costruzione del consenso, oltre che di confronto sulle esperienze comuni sulle politiche. Da un certo punto di vista costituire ora un sindacato europeo rappresenta una scelta di grande innovazione ma anche di grande coraggio, perché s’inserisce in un quadro economico difficile, in cui la crisi viene gestita con l’austerità, c’è una recessione in corso, perdita di posti di lavoro, assenza di un coordinamento della politica fiscale.
Avete già lavorato insieme?
Sì, tessili e meccanici lavorano insieme in Europa sul terreno dello scambio di esperienze contrattuali già dal 2001 e con i chimici dal 2007. Abbiamo costruito insieme un coordinamento a livello europeo che si occupa prioritariamente della contrattazione. In particolare abbiamo lavorato su negoziazione dell’orario di lavoro, discriminazione di genere, investimenti in ricerca e innovazione, adozione dei codici di condotta delle aziende per rispettare le convenzioni sociali dell’Organizzazione internazionale del lavoro in ogni luogo produttivo europeo. Alla base ci sono obiettivi comuni e condivisi su una politica contrattuale significativa che punti a una competitività positiva, a sistemi d’informazione e partecipazione e al rispetto delle convenzioni sociali dell’Ilo.
Quali altri obiettivi avete come sindacato europeo?
La contrattazione anti-dumping per armonizzare e rendere unitario, il che non vuol dire unico, il modello del sistema contrattuale. Questo perché ad esempio il fattore lavoro soffre molto della competizione globale. Coordinando le politiche contrattuali invece si potrebbe agire sui fattori che non sono specifici per ogni settore. Un altro obiettivo è l’estensione della rappresentanza collettiva nei luoghi di lavoro, una grande campagna di sindacalizzazione.
Cosa farete ora?
All’ordine del giorno abbiamo due cose importanti: una grande campagna d’informazione e coinvolgimento in tutti i Paesi e i luoghi di lavoro, perché ci siamo resi conto che della nascita del sindacato europeo non se ne parla. E poi una giornata di mobilitazione europea di tutti i settori industriali per rivendicare una politica industriale e del lavoro europea, con l’obiettivo di riconquistare il ruolo della contrattazione.
Cosa ne è stato delle divisioni sindacali che pesano nel nostro Paese?
A livello europeo siamo riusciti a mettere insieme le categorie dei chimici e soprattutto quella dei metalmeccanici. Ci auguriamo che partendo da questo lavoro di condivisione a livello europeo si possa aprire un confronto anche in Italia.
Cosa pensa della possibilità di introdurre un salario minimo europeo?
Vorrebbe dire abolire la contrattazione nazionale e mantenere solo quella territoriale. L’obiettivo invece potrebbe essere un contratto ‘unificante’ europeo nei criteri e negli obiettivi. Mi riferisco a un modello che sia un’armonizzazione per orientarci a livello nazionale verso criteri condivisi a livello europeo su temi importanti come la negoziazione degli orari di lavoro, il salario inteso come tutela del potere d’acquisto, gli investimenti in formazione. L’obiettivo rimane quello di una cultura comune della contrattazione e obiettivi condivisi.
Francesca Romana Nesci