Il monito e il richiamo alla responsabilità di ricostruire un clima di coesione e di unità del sindacato, che il Presidente della Repubblica ha pronunciato il 30 aprile, in occasione della ricorrenza del 1 maggio, festa del lavoro, è stato differente da altre volte.
Per questo, mi ha colpito e fatto riflettere.C’erano nelle sue parole, l’urgenza dei tempi di superamento dello stato di animosità e delle diffidenze esistenti, per non permettere che il crescente e lungo periodo di contrasti e divisioni sindacali diventi irriducibile ostilità e raggiunga un punto di non ritorno.
Le sue parole sono state forti, esplicite, nette.
Costringono tutti, secondo me, a superare la condivisione “ipocrita” e solo formale, come il Presidente stesso la definisce e porsi ciascuna organizzazione, la responsabilità di riflettere e rispondere.”La divisione sindacale è il punto di partenza per l’indebolimento generale dei lavoratori. Bisogna capire che la divisione è debolezza, che così avremo torto anche se abbiamo ragione…” diceva Giuseppe Di Vittorio al giovane Luciano Lama all’indomani della scissione sindacale.
Questa frase antica ritorna alla mente non solo come monito, ma per la sua straordinaria attualità: quella ragione che ciascuno pensa onestamente di avere e che rischia però di trasformarsi in un parete di granito che può mettere in crisi irreversibile l’unità.
Serve una nuova stagione sindacale unitaria, non è solo perché si è più deboli divisi, sia come lavoratori, sia come sindacati .
C’è molto di più profondo e di importante, in questo tempo. C’è l’urgenza delle scelte difficili che questo Paese deve compiere e affrontare. C’è un Paese impegnato in modo inedito nell’aera del mediterraneo dove rivolte di popolo, chiedono libertà, democrazia, pace, lavoro, solidarietà.
C’è la crisi dell’economia, dell’occupazione. C’è una crisi etico politica delle classi dirigenti al potere e al governo del Paese, della responsabilità pubblica e dei decisori pubblici.
C’è la paura di perdere il poco (quando c’é) che ancora si possiede; l’incertezza di poter riuscire ad avere un lavoro, o di tenere quello che si ha; l’ansia di un futuro troppo incerto , o addirittura oscuro per chi come quel trenta per cento di giovani non ha alcuna possibilità di lavorare e di sentirsi davvero parte decisiva di questo paese, con tutto il carico di drammaticità che ciò comporta anche per la qualità della nostra democrazia, specie oggi quand’essa è già seriamente messa in difficoltà da chi ci governa; la caduta verticale del rispetto e della dignità nei confronti delle donne come abbiamo gridato nelle piazze il 13 febbraio; le crescenti difficoltà di vivere una vita dignitosa per la diminuzione del reddito di tantissime famiglie, avvenuta in conseguenza della crisi; la crescente lontananza di parole quali giustizia sociale, equità e inclusione.
C’è il futuro di tutti – del lavoro, delle imprese, dei giovani, delle donne -dentro questa urgenza
Ci sono cambiamenti e riforme che non saranno indolori perchè , pur nelle differenti e non paragonabili responsabilità di come e perché siamo in questa pesante situazione, vanno fatte.
Ed è qui che il monito del Presidente assume quel rigore e vigore politico che chiama ad una scelta di straordinaria responsabilità per tutti i sindacati.
Tocca a noi rispondere con i fatti, con atti veri, con la capacità di compiere un passo di lato e puntare insieme a crescita, occupazione, equità e democrazia sindacale.
E’ tempo di ridefinire regole e ruolo di un sindacato democratico che garantisce certezza di partecipazione e di decisione a tutti coloro per cui svolgiamo quel ruolo negoziale che definisce condizioni di lavoro e cittadinanza sociale per milioni di donne e uomini. É tempo anche di definire, come avviene in altri paesi, nelle imprese livelli certi di partecipazione alle scelte strategiche, che rendano anche i lavoratori protagonisti consapevoli dei destini dell’impresa stessa.
Ripartiamo dalla condizione prevalente e dominante che vivono i nostri iscritti e i lavoratori, in questa fase storica. Riprogettiamo politiche di crescita e occupazione, per uscire dalla crisi vincendo la precarietà, le disuguaglianze e tutte le discriminazioni. Questo serve all’Italia! E questo non si fa da soli. Non ce la può fare un singolo sindacato, ma neppure il singolo imprenditore , piuttosto che la politica, o un governo che ha escluso e diviso forze che, invece, andavano messe insieme per fronteggiare il dramma della crisi. E questo è proprio quel che ci dice anche il Presidente. Il suo monito deve essere, quindi, colto, appunto, nel suo significato più profondo. Per questo occorre cambiare orizzonte e costruire un nuovo ciclo sindacale in Italia ed in Europa, ricostruire relazioni sindacali con e fra tutti i soggetti, sconfiggere la volontà di divisione di questo irresponsabile governo.Serve un confronto vero, serio, profondo, sul futuro del sindacato, sulla questione della rappresentanza e rappresentatività, sulla democrazia sindacale, con uno spirito opposto a quello – che rappresenta una vera e propria malattia – di chi si sente “liberato” dai problemi difficili della mediazione che l’unità comporta.
Ma bisogna anche uscire definitivamente dall’ambiguità di questi ultimi quindici anni di rapporto con la politica, in cui si è oscillato tra tentazioni di sostituzione e schiacciamenti pericolosi per la reciproca autonomia. I tempi e il mondo sono cambiati, la realtà elettorale non fa che confermarcelo, ma occorre definitivamente smettere – di considerare gli iscritti al sindacato bacino elettorale preferenziale per quello o quell’altro partito. Nessuno vuole limitare le convinzioni valoriali dei sindacalisti, né svilire il ruolo dei valori generali nel fare sindacato, ma non bisogna mai dimenticare che al centro di tutto ci sono le persone in carne ed ossa e non simulacri aderenti a pacchetti ideologici, vecchi o nuovi.
Valeria Fedeli