Dall’autunno del 2019, quando fu annunciata la congiunta volontà di Fca e Psa di fondersi per dare vita al quarto gruppo automobilistico mondiale, sembra che di tempo ne sia passato poco e tanto. Poco, perché le grandi opportunità e i non piccoli problemi connessi a questa allora appena progettata fusione sono rimasti, più o meno, gli stessi. Tanto, perché l’anno e poco più che ci separa dal primo annuncio del 31 ottobre 2019, e dal successivo combination agreement del 17 dicembre è stato riempito prima dall’esplosione dell’epidemia da Sars Cov 2, meglio noto come Covid-19, e poi dalla lotta ingaggiata, a livello globale, per porre fine a questa stessa pandemia.
Ma adesso, dopo un anno di passione in cui le vicende della pandemia hanno portato molti osservatori a prestare più attenzione alle conseguenze immediate dei lockdown via, via effettuati in molti Paesi, piuttosto che alle strategie dei maggiori gruppi industriali, è di strategie che si deve tornare a parlare. Se non altro di fronte a fatti come le due assemblee straordinarie degli azionisti di Fca e di Psa tenute contemporaneamente, ancorché entrambe in streaming, lunedì 4 gennaio. Assemblee che hanno dato il via libera alla fusione tra le due case automobilistiche. Fusione che, stando ai programmi annunciati, sarà perfezionata il 16 gennaio con la nascita del gruppo Stellantis. Gruppo che due giorni dopo, e cioè il 18 gennaio, sarà quotato, come tale, alle Borse di Milano e Parigi, e un altro giorno dopo, il 19 gennaio, a quella di New York.
La prima cosa che va detta, a questo punto, è che bisogna dare atto a Fca e a Psa di avere fin qui rispettato in pieno i tempi dell’operazione che, secondo le previsioni, avrebbe dovuto concludersi entro il primo trimestre del 2021. In altri termini, i gruppi dirigenti delle due case costruttrici non si sono fatti scoraggiare dai crolli verificatisi, a causa della pandemia, sia nella produzione che nella domanda di autovetture e sono andati dritti lungo il tracciato da loro stessi disegnato.
Semmai, qualche rilievo può essere mosso alle comunicazioni relative alle proporzioni dell’operazione di fusione. I mezzi di informazione hanno riportato, come se fosse un fatto accertato, che Stellantis sarà il quarto gruppo automobilistico mondiale. Ora, a chi scrive, pare di poter dire che questo è un obiettivo, non un fatto. Stando ai dati fin qui noti, al primo posto, nella classifica 2020 dei produttori di autovetture, dovrebbe piazzarsi il gruppo Volkswagen. Al secondo posto, con numeri di poco inferiori, dovrebbe collocarsi la giapponese Toyota. Al terzo, già più distanziata dalla coppia di testa, arriverebbe l’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi. Quanto al quarto posto, dovrebbe trattarsi di un testa a testa fra la somma di Fca e Psa, da una parte, e la General Motors, dall’altra, con le fondatrici di Stellantis leggermente favorite. Comunque, ciò che qui conterà davvero sarà il consuntivo del 2021. In altre parole, per sapere quale sarà l’effettiva posizione di Stellantis nello scacchiere globale dell’auto bisognerà aspettare i primi mesi del 2022.
Ciò detto, resta il fatto che gli altri dati relativi alla nascente Stellantis sono comunque di tutto rispetto. Innanzitutto, vanno ricordati i 15 marchi posseduti dal nuovo gruppo. Marchi ben noti e prestigiosi, quali Fiat, Alfa Romeo, Maserati, Chrysler, Jeep, Dodge, Peugeot, Citroen, Opel e Vauxhall. Marchi che, secondo la poetica visione del futuro, primo Amministratore delegato, il portoghese naturalizzato francese Carlos Tavares, andranno a comporre la luminosa costellazione cui allude il nome Stellantis.
Ci sono poi i 400 mila dipendenti, sperando che restino tutti in produzione. Poi ancora, i 180 miliardi di fatturato. Solo che, anche qui, vale ciò che si può dire per gli 8 milioni di auto vendute che assicurerebbero a Stellantis il quarto posto nella graduatoria mondiale delle case costruttrici. Perché non è ancora chiaro dove finiscano i dati a consuntivo della somma di Fca e Psa relativi al 2020, e dove comincino i programmi di Stellantis da realizzare nel 2021.
Abbiamo dunque visto le principali date del passato e del prossimo futuro di Stellantis, nonché alcuni dei dati che dovrebbero dare l’idea delle proporzioni reali dell’operazione di fusione tra Fca e Psa, ormai in corso di realizzazione molto avanzato. Si tratta adesso di dire qualcosa sul valore strategico di tale operazione.
Qui ci sentiamo di affermare che molto dipende dal punto di vista. Cominciamo dunque mettendoci dal punto di osservazione di chi segue le vicende dell’industria dell’auto. Ebbene, la fusione di cui stiamo parlando costituisce un fatto di grande rilievo. E ciò non solo, appunto, per le sue proporzioni, ma per la dinamica in cui si inserisce.
Tale dinamica, infatti, è quella intuita e spiegata da Sergio Marchionne già dodici anni fa, ovvero nel 2008. La dinamica che, per evitare dannosi “sprechi di capitale”, deve portare a costruire un nuovo assetto globale dell’industria dell’auto. Un assetto in cui il numero dei costruttori indipendenti deve progressivamente diminuire, mentre le proporzioni delle singole case costruttrici devono crescere.
Come è noto, Marchionne immaginava un assetto basato su 6 grandi costruttori. Forse il riassetto in corso si fermerà prima di essere arrivato a realizzare tale schema, ma la direzione resta quella. E’ insensato, quindi, piangere sul fatto che la Fiat non c’è più. Non c’è perché era troppo piccola per sopravvivere a fronte delle crescenti esigenze di investimento rese necessarie dai processi di innovazione relativi, innanzitutto, alle motorizzazioni più ambientalmente compatibili, nonché alle problematiche della guida autonoma e, comunque, della crescente digitalizzazione del prodotto auto.
Va anzi sottolineato che la Fiat è stata capace di crescere e di trasformarsi cogliendo al volo nel 2009, grazie allo stesso Marchionne, l’occasione di acquisire la Chrysler. Dopodiché la Fiat Crysler, o Fca che dir si voglia, si è mostrata adesso capace, grazie a John Elkann, di crescere ancora fondendosi con Psa. In altre parole, Fiat prima, e Fca poi, hanno mostrato di saper stare, con i tempi giusti, dentro ai processi reali che stanno trasformando l’industria dell’auto.
Nello specifico, ciò che dà un senso alla fusione tra Fca e Psa è la relativa complementarietà fra due gruppi che, per altri versi, sono abbastanza simili e quindi possono capirsi abbastanza facilmente. Le aziende fondatrici di entrambi sono nate all’inizio del ‘900 dal capitalismo familiare europeo: gli Agnelli per l’italiana Fiat e i Peugeot per l’omonima casa francese. Entrambi i gruppi sono poi cresciuti attraverso una serie di acquisizioni: Peugeot ha inglobato in patria Citroen e ha poi acquisito all’estero Opel e Vauxhall; Fiat ha acquisito in patria Alfa Romeo, Lancia e Maserati e poi Chrysler all’estero.
Tornando alla complementarietà, va ricordato che i due gruppi si sono differenziati fra loro costruendo due diversi punti di forza e non riuscendo a superare due opposti fattori di debolezza: una robusta presenza di Fca nel Nord America, là dove Psa era praticamente assente, e una più spinta capacità di innovazione di Psa nel campo della motorizzazione elettrica, ovvero dove Fca è stata fin qui assai più debole.
Ciò detto, non appare irragionevole che Stellantis, il gruppo che sta nascendo da questa fusione, possa aspirare a far parte non solo delle prime sei case costruttrici di marchionniana memoria, ma, addirittura, di qualcosa di più: delle prime quattro o, almeno, delle prime cinque.
E tutto questo, aggiungiamo, non sullo sfondo di un orizzonte statico, ma su quello di una situazione mutevole, come segnala una notevole coincidenza: il 30 dicembre, ovvero cinque giorni prima delle due assemblee contemporanee degli azionisti di Fca e di Psa, l’Unione europea e la Cina hanno raggiunto un accordo cui la stampa italiana, a nostro avviso, ha dedicato un’attenzione insufficiente. Ci riferiamo a quel Comprehensive Agreement on Investment che, al di là dei dubbi che può legittimamente suscitare, potrà forse aprire il grande mercato cinese a nuove iniziative di investimento promosse da imprese a base europea.
Diverso il discorso se si guarda alla nascita di Stellantis dal punto di vista di un osservatore delle vicende industriali italiane. Nella storia della fusione, ci sono almeno quattro fatti, certo diversi fra loro per proporzioni e importanza, che suscitano qualche inquietudine.
Il primo fatto è costituito dalla sottolineatura – reperibile in vari organi di informazione, e dunque verosimilmente derivante dalle comunicazioni aziendali – delle sinergie derivanti dalla fusione stessa. Sinergie il cui valore annuale sarebbe pari a 5 miliardi di euro. Ora il vocabolo “sinergie” parrebbe essere, in questo contesto, un sinonimo elegante di “risparmi”. Non si capisce, infatti, come le annunciate sinergie fra i due gruppi possano generare valore se non, quanto meno anche, attraverso l’eliminazione di altrettante eventuali sovrapposizioni. Il che, a occhio e croce, potrebbe comportare dei tagli.
Il secondo fatto, ampiamente noto, è che, a oggi, negli stabilimenti italiani c’è un tot quot di capacità produttiva installata che non viene utilizzata.
Il terzo fatto è che Exor, la finanziaria di proprietà della famiglia Agnelli-Nasi-Elkann, avrà solo 5 membri su 11 del Board (Consiglio di Amministrazione) della nuova società (compreso, come Presidente esecutivo, John Elkann). Ciò nonostante che la stessa Exor, con il 14,4%, risulterà essere il primo singolo azionista di Stellantis. Al gruppo Psa andranno, invece, 6 membri, compreso l’Amministratore delegato Carlos Tavares.
Il quarto fatto, che, probabilmente, ha un rilievo più formale che sostanziale, è quello relativo al prospetto elaborato per l’ammissione di Stellantis al mercato borsistico; prospetto in cui si afferma che la medesima Stellantis nasce da un’operazione in cui il gruppo Psa viene definito come “l’acquirente”.
Morale della favola: nonostante che sia Fca che Psa si siano date da fare, in questi giorni, per dire e ribadire che la fusione non comporterà tagli occupazionali, è lecito almeno temere che la ricerca di sinergie produttrici di valore possa tradursi, prima o poi, in qualche ridimensionamento della struttura produttiva che, sin qui, Fca ha posseduto in Italia.
A questo proposito, va detto che le parti sociali italiane hanno scelto, almeno per adesso, di mostrarsi, davanti alla fusione, più ottimiste che pessimiste. Cominciamo dai sindacati dei metalmeccanici. Per Rocco Palombella e Gianluca Ficco (Uilm-Uil), con la nascita di Stellantis “si apre un nuovo capitolo per l’industria dell’auto in Italia”. Secondo Roberto Benaglia e Ferdinando Uliano (Fim-Cisl), Stellantis “rappresenta una grossa opportunità” per “gli stabilimenti italiani e la loro prospettiva futura”; e ciò “soprattutto per la messa in sicurezza dell’occupazione”. Infine, Francesca Re David e Michele De Palma (Fiom-Cgil) definiscono “la nascita del gruppo Stellantis” come “un cambiamento storico per l’industria automobilistica”. Cambiamento che, aggiungono, “in Italia può rappresentare una possibilità di invertire un trend”. E ciò sia sul “piano produttivo” che su quello “occupazionale”.
Non meno interessante è l’opinione di Pierangelo Decisi, Vicepresidente dell’Anfia, associazione delle imprese della componentistica auto aderente a Confindustria. Christian Benna, della redazione torinese del Corriere della Sera, gli ha chiesto: “Torino rimane la capitale dell’auto?”. Al che Decisi, nell’intervista pubblicata il 5 gennaio, ha risposto: “Non lo è più da un pezzo. Ma questo non è un problema. Il nostro Paese ha scelto di non dotarsi di una politica industriale. Oggi ne paghiamo le conseguenze in tutti i settori. Tuttavia a Torino non siamo messi così male. Siamo una città che produce competenze e tecnologie. E di queste ha bisogno l’auto del futuro: che sia elettrica o a guida autonoma”.
Adesso a Carlos Tavares andrà il compito di elaborare il primo piano industriale di Stellantis. Un piano atteso, più o meno, per la fine della prossima primavera. Quando sarà reso noto, potremo riprendere questa discussione con maggiore cognizione di causa.
@Fernando_Liuzzi