Pioggia di comunicati sindacali, e anche aziendali, ovviamente, sulla clamorosa proposta di fusione presentata oggi ufficialmente da Fca alla Renault. Comunicati che hanno intessuto una sorta di dialogo a distanza che ha chiamato necessariamente in causa anche un terzo interlocutore risultato, sulle prime, piuttosto silenzioso: il Governo italiano.
Tutto è cominciato durante lo scorso week end, ovvero a Borse rigorosamente chiuse. Ed è cominciato con una “indiscrezione” pubblicata da una testata prestigiosa, il Financial Times. Indiscrezione secondo cui Fca avrebbe aperto una trattativa – che all’altezza di sabato 25 maggio sarebbe già stata in una fase “avanzata” – con il gruppo Renault.
Secondo queste prime voci, peraltro, non era chiarissimo di cosa esattamente si trattasse: un’alleanza o una fusione? Come è noto, infatti, fin dal 1999 la Renault non è solo un grande gruppo automobilistico, nella fattispecie francese, ma è uno dei soggetti che è andato a comporre una cosiddetta “alleanza” con un altro grande gruppo dello stesso settore, la giapponese Nissan, Alleanza cui si è aggiunta, in un secondo tempo, un’altra casa giapponese, la Mitsubishi.
Le prime domande che sono venute in mente agli osservatori del settore automotive, e quindi anche ai sindacalisti italiani impegnati a rappresentare i lavoratori del gruppo Fca, sono state dunque queste: “Di che cosa stiamo parlando? Di un progetto in base al quale Fca entrerebbe a far parte dell’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi, costituendone una quarta gamba particolarmente ben piazzata, a differenza delle altre tre, negli Stati Uniti? Oppure di una ipotesi di fusione relativa, almeno per adesso, solo a Fca e Renault?”. E ancora: “Quali conseguenze si potranno determinare, nel primo o nel secondo caso, per gli stabilimenti italiani di Fca?”.
Domande rese più inquiete dalla consapevolezza del fatto che, di solito, quando escono delle cosiddette “indiscrezioni”, del tipo di quelle pubblicate sabato dal Financial Times, vuol dire che, in giro, c’è qualcuno che, trasformandosi in fonte di un organo di informazione, vuole costruire una data immagine di un fatto che sta per verificarsi. Solo che, nel nostro caso, non era chiaro neppure quale fosse l’intento di chi aveva lasciato trapelare gli elementi di notizia trasformatisi poi in indiscrezione.
Nel campo sindacale, il più rapido a entrare in partita è stato Michele De Palma, ovvero il sindacalista che, nella Segreteria nazionale della Fiom, porta la responsabilità del settore automotive. Il quale De Palma, nella stessa giornata di sabato, ha emesso una breve dichiarazione in cui affermava: “E’ urgente che il Presidente del Consiglio e il Ministro dello sviluppo economico si assumano la responsabilità di convocare un tavolo con azienda e sindacati per chiarimenti sul futuro industriale e occupazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del gruppo Fca”.
Parole di circostanza? Forse anche. Ma non solo. A un primo sguardo, potrebbe infatti apparire incongruo che il sindacalista Fiom non si rivolga per chiarimenti all’Azienda, cioè a Fca, ma chiami in causa il Governo del nostro Paese. Ma va detto che dietro questa scelta ci sono probabilmente dei motivi più complessi del fatto che le relazioni tra la Fiom e la ex-Fiat sono ridotte al minimo da una decina d’anni, ovvero dalla rottura intervenuta dopo la vicenda di Pomigliano, risalente al 2010.
Il fatto è che negli altri due Paesi interessati a questa trattativa, i rispettivi Governi si mostrano, e sono, assai più vicini alle vicende del mondo dell’auto di quanto non accada in Italia.
In Francia, tanto per cominciare, lo Stato è proprietario del 15% del gruppo Renault. Mentre in Giappone il Governo non si è mai disinteressato delle vicende della Nissan, lasciando capire che non avrebbe visto di buon occhio il crescere dell’asimmetria, già esistente, nel rapporto fra le due aziende giapponesi e i francesi della Renault.
Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna tenere presente che, in base ai vecchi accordi costruiti dal franco-brasiliano Carlos Ghosn, all’epoca al vertice delle due società, la Renault detiene il 43% delle azioni di Nissan, mentre la stessa Nissan possiede “solo” il 15% di quelle della Renault. E c’è chi ha immaginato che, nelle recenti disgrazie giudiziarie dello stesso Ghosn, arrestato in novembre in Giappone per reati finanziari, abbia pesato, in qualche modo, il fatto che qualcuno abbia voluto fermarlo prima che potesse operare allo scopo di favorire una fusione tra la casa francese e quella nipponica.
In Italia, invece, a parte il fatto, certo non irrilevante, che Fca è una multinazionale la cui base giuridica non si trova più in Italia, l’attuale Governo è apparso particolarmente distratto rispetto alle vicende del settore dell’automotive. Ovvero di un settore che è tutt’ora molto importante per il nostro intero apparato produttivo.
Domenica 26 maggio, il tema della lontananza del Governo italiano dagli eventi in corso è stato infatti ripreso da Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl. Il quale, in una sua dichiarazione, ha parlato di “partite decisive per il futuro dell’industria italiana” che “avvengono con un Governo impegnato in una perenne campagna elettorale” che lascia “soli” lavoratori e imprese. Aggiungendo che “se un politico non sa quanto pesa l’automotive sul Pil” del nostro Paese, è “meglio che cambi mestiere”.
Ed eccoci arrivati alla giornata di lunedì 27 maggio. Fca e Renault, non possiamo dimenticarlo, sono anche aziende quotate in Borsa. Una condizione, questa, che comporta noti obblighi di trasparenza.
Con un comunicato di quattro pagine datato da Londra, Fca ha quindi reso ufficialmente noto di aver presentato all’azienda denominata “Groupe Renault” un proposta per una “importante fusione”. Fusione volta a creare “uno dei principali gruppi automobilistici al mondo”.
La nuova società risultante dalla prospettata fusione sarebbe “detenuta per il 50% dagli azionisti di Fca e per il 50% dagli azionisti di Groupe Renault”, garantendo “una struttura di governance paritetica” con “una maggioranza di consiglieri indipendenti”. La fusione, peraltro, porterebbe “alla nascita del terzo più grande” gruppo del settore “con 8,7 milioni di veicoli venduti e una forte presenza di mercato nelle regioni e nei segmenti chiave”. Inoltre, “il portafoglio di marchi ampio e complementare fornirebbe una copertura completa del mercato, dal segmento luxury fino al mainstream”. Scopo dell’operazione? La società risultante dalla fusione dovrebbe proporsi di diventare “un leader mondiale nel settore automobilistico in rapida evoluzione”, e ciò “con un forte posizionamento nelle nuove tecnologie, inclusi i veicoli elettrici e quelli a guida autonoma”.
Se questa è la parte iniziale del comunicato, rivolta idealmente agli ambienti finanziari e industriali, in fondo alla prima delle quattro pagine c’è poi una riga in neretto rivolta, anche qui idealmente, ai sindacati: “La fusione non comporterà nessuna chiusura di stabilimenti”.
Un’affermazione, questa, articolata più oltre nello stesso comunicato, laddove l’Azienda scrive che “i benefici dell’azione proposta non si otterrebbero con la chiusura di stabilimenti, ma deriverebbero da investimenti più efficienti in termini di utilizzo di capitale in piattaforme globali dei veicoli, in architetture, in sistemi di propulsione e in tecnologie.” Una frase, questa, che non può non far tornare alla mente le idee tante volte sostenute, prima della sua prematura scomparsa, da Sergio Marchionne. Almeno, fin dal 2008, ovvero dall’inizio della crisi globale.
A questo punto, ovvero dopo che dall’incertezza delle indiscrezioni giornalistico-finanziarie la vicenda è passata alla concretezza esplicita dei comunicati ufficiali, l’attenzione dei sindacati si è spostata dal Governo assente alle dichiarazioni aziendali. Dichiarazioni che sembrano aver rassicurato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm-Uil, il quale ha espresso la speranza che l’operazione lanciata da Fca “possa far nascere un grande gruppo capace di competere al meglio sul mercato globale in questa fase di radicali trasformazioni del settore automotive”.
Il già citato Bentivogli, intervenuto in mattinata a un’assemblea di delegati metalmeccanici svoltasi in Umbria, ha innanzitutto preso atto del fatto che la Renault ha dichiarato di voler “studiare con interesse” la proposta – definita “amichevole” – ricevuta da Fca. Dopodiché, ha detto di essere consapevole del fatto che “le grandi trasformazioni in atto nel settore dell’automotive impongono scelte e alleanze”, del tipo prospettato da Fca, “per poter competere a livello globale con gli altri grandi player del settore”. Ma poi ha specificato che “per noi il focus resta la salvaguardia del lavoro in Italia”. Osservando che “bisognerà verificare la successiva partecipazione di Nissan e Mitsubishi che, al momento, non sono incluse nel perimetro dell’accordo”. E ciò perché “vanno escluse sovrapposizioni con altri stabilimenti e garantita l’occupazione nel nostro Paese, valorizzando il grande lavoro di rilancio fatto in questi anni”. Un’osservazione, questa, che sembra sottendere l’idea, prospettata peraltro da alcuni analisti, secondo cui al momento non vi sono sovrapposizioni né duplicazioni produttive fra la gamma di Fca e quella di Renault, mentre ve ne potrebbero essere fra Nissan e Mitsubishi, da una parte, e la stessa Fca, dall’altra.
Resta il fatto che, per lo stesso Bentivogli, se le “prime garanzie di non chiusura di stabilimenti” espresse nelle dichiarazioni aziendali, sono “importanti”, tali garanzie “vanno riconfermate in un incontro di confronto sindacale”.
In serata, la Cgil e la Fiom hanno poi emesso una nota congiunta in cui affermano che “in assenza, per ora, di indicazioni concrete sul piano industriale” relativo all’eventuale fusione, “è necessario che l’Azienda convochi un apposito incontro con tutte le organizzazioni sindacali”. Hanno inoltre ribadito che “sarebbe utile che il Governo si attivasse per aprire un tavolo nazionale sull’automotive, al fine di discutere con urgenza sulle prospettive industriali dell’auto e della componentistica, sul futuro di ricerca e sviluppo nel settore, della mobilità ecosostenibile e sulla salvaguardia dei posti di lavoro”.
@Fernando_Liuzzi