C’è stato un tempo in cui si parlava dell’auto come di un prodotto maturo. Ma ormai tutti quelli che si occupano dell’industria delle quattro ruote sono concordi almeno su un punto: il settore dell’automotive sta vivendo una fase di radicale rivoluzione. Radicale perché, a causa di una serie molteplice di fattori convergenti, quello che sta cambiando non è solo, e forse non tanto, il modo con cui le autovetture vengono fabbricate, quanto proprio il contenuto e quindi la natura del prodotto auto, nonché, in parallelo, il modo di fruire di questo prodotto.
Se ne è avuta una prova, anzi una serie di prove, nel convegno che si è svolto ieri a Roma presso la sede nazionale della Cgil. Titolo: “Mobilità auto. Il futuro è adesso”. Organizzatori:la Cgile il suo sindacato dei metalmeccanici,la Fiom.Unagiornata di dibattito denso e serrato, sviluppatosi a partire da un rapporto curato in modo sinergico dalla fondazione “Claudio Sabattini” e dalla fondazione “Giuseppe Di Vittorio”.
Lo scopo esplicito della ricerca era quello di esaminare, e mettere anche in questione, il “posizionamento competitivo del gruppo Fca”. Tema complesso, su cui ci proponiamo di tornare con un esame più ravvicinato del rapporto presentato ieri in corso d’Italia.
Ma quello che intanto si può cogliere è lo scenario di questa rivoluzione attualmente in corso per come è stato tratteggiato nella presentazione della ricerca svolta da Francesco Garibaldo, già sindacalista Fiom e attualmente direttore della fondazione “Sabattini”.
Diversi i fattori che stanno a monte dei processi di cambiamento con cui oggi le grandi case costruttrici devono confrontarsi.
Il primo, che riguarda non solo l’auto quanto la natura stessa dell’industria manifatturiera, consiste appunto nel fatto che l’antica distinzione fra manifattura e servizi sta perdendo di significato perché, come ha ricordato Garibaldo, i prodotti “inglobano i servizi”. Come è stato già detto e ripetuto, dal prodotto auto si sta passando al prodotto mobilità individuale. In questo contesto, l’auto incorporerà una quantità sempre maggiore di altri prodotti volti ad assicurare a pilota e passeggeri tutta una serie di servizi informativi, di intrattenimento e anche lavorativi, derivanti dalla connessione con le reti telematiche. Ne segue, ha argomentato Garibaldo, che alla produzione dell’auto partecipano ormai (e, aggiungiamo noi, parteciperanno sempre di più) “tutti quelli che hanno bisogno dell’auto per vendere i loro servizi”. A partire, se ben comprendiamo, dalle grandi case della Silicon Valley.
In secondo luogo, ha osservato ancora Garibaldo, l’innovazione digitale consente ormai di “separare l’utilizzo del bene auto dalla sua proprietà”. E’ questo il caso, aggiungiamo noi, dell’utilizzo dello smartphone per accedere alle auto appartenenti alle compagnie di car sharing. Il che, però, costituisce non solo un nuovo e diverso modo di usufruire del bene auto, ma anche la base su cui possono essere costruiti “nuovi modelli di business”.
Ci sono poi fattori demografici e di altra natura che portano, fra l’altro, alla concentrazione di parti sempre più consistenti di popolazione in centri urbani sempre più grandi, le cosiddette megalopoli. Il che, da un lato, pone problemi di congestione del traffico basato su quantità ingenti di autovetture; problemi ad oggi irrisolti. Dall’altro, rende più pressante e anche più urgente tutta la problematica dell’inquinamento atmosferico nelle grandi aree urbanizzate.
Il primo aspetto di questo terzo punto pone la necessità di trovare nuovi equilibri nei rapporti fra auto private, mezzi pubblici e auto ad uso pubblico; nonché, ovviamente, fra trasporto locale su gomma e altri mezzi di trasporto, da quelli su rotaia alle biciclette. Sullo sfondo, può poi essere qui collocata la tematica delle auto a guida autonoma. Che, ove realizzate in termini di massa, cambierebbero il volto del traffico cittadino.
Il secondo aspetto porta invece in primo piano tutta la tematica delle forme di propulsione alternative al motore a scoppio basato sull’utilizzo della benzina, ovvero delle forme di propulsione “a basso o nullo inquinamento”. Una tematica avvertita in modo particolarmente acuto in paesi comela Cina, che già soffrono a causa di gravi problemi ambientali.
A tutto questo si aggiunge poi un fatto di origine non tecnologica, né demografica, ma politica; e comunque destinato ad avere un grande impatto sull’industria delle quattro ruote. E’ la decisione delle autorità cinesi di puntare, in conseguenza dei fenomeni sopra descritti, sull’auto a propulsione elettrica. Il che non potrà non avere robuste conseguenze anche fuori dai confini della Repubblica Popolare dato che, ormai,la Cinasta diventando il più grande mercato di consumo delle autovetture e che le specifiche decise dal Governo di Pechino per le auto che possono essere ammesse all’importazione, o che possono essere assemblate nella stessa Cina, tendono necessariamente a diventare un modello di riferimento per i costruttori occidentali. “Se questa è la musica che viene suonata in Cina – ha detto Garibaldo – è su questa musica che le case costruttrici dovranno ballare.”
Chiarito dunque che i venti di trasformazione che spirano sul mondo dell’auto sono originati dal sommarsi di nuove esigenze sociali, avvertite talora in modo particolarmente acuto dai consumatori, con inedite possibilità tecniche derivanti, in primo luogo, dagli sviluppi delle tecnologie digitali, per noi che viviamo in Italia sorge inevitabilmente la domanda: come si pone Fca in questo scenario? Domanda ovvia ma non banale dato che, come ha ricordato Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Attività produttive del Senato, Fca, anche se non è, come lo erala Fiat, un’azienda italiana, è tutt’ora “il più grande datore di lavoro privato” attivo nel nostro Paese.
Domanda, soprattutto, di estrema attualità visto che, neanche a farlo apposto, proprio il giorno prima del convegno romano, e cioè martedì 10 ottobre, i sindacati firmatari del famoso contratto collettivo specifico di lavoro vigente in Fca e Cnhi hanno reso noto di aver inviato alle aziende in questione “la richiesta di una serie di incontri urgenti”. Ciò allo scopo di “comprendere fino in fondo la situazione dei due gruppi”, nonché allo scopo di aprire un confronto relativo sia agli “aspetti connessi ai progetti industriali in corso”, che “ai futuri scenari e ai riflessi sul piano occupazionale per gli stabilimenti italiani”.
“Gli interrogativi più pressanti che chiediamo di sciogliere quanto prima”, specifica il comunicato sindacale del 10 ottobre, riguardano gli stabilimenti di Pomigliano e Melfi, del Polo di Torino e della Maserati di Modena “dove sono attesi nuovi modelli in grado di saturare l’occupazione e di dare prospettive produttive a lungo termine”. Infatti, nonostante che il numero dei dipendenti sia “in crescita”, l’obiettivo “assunto in particolare in Fca” del “pieno assorbimento dei lavoratori entro la fine del2018”è “ancora lontano”; e ciò poiché “ci sono ancora siti in cui si fa ricorso a Cassa integrazione o a Contratti di solidarietà”. “Più in generale – scrivono ancora Fim, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcf – vorremmo comprendere quale è l’indirizzo strategico aziendale in un momento così delicato” per “l’industria dell’auto” e per “le diverse tipologie di motorizzazione”.
Non per caso, dunque, questo comunicato è stato citato, nel suo intervento al convegno di ieri, da Francesca Re David, la nuova segretaria generale della Fiom, la quale ha confermato che negli stabilimenti italiani di Fca si continua a fare ricorso a dosi significative di Cassa integrazione, mentre non si è ancora prodotto quel “salto tecnologico” che “i sindacati firmatari del Ccsl si aspettavano”.
In sostanza, par di capire chela Fiom, da una parte, e i sindacati firmatari del Ccsl, dall’altra, benché divisi rispetto alle opposte scelte contrattuali fatte in merito ai loro rapporti con Fca a partire dal 2010, sono oggi accomunati da preoccupazioni simili rispetto al destino degli stabilimenti italiani della multinazionale guidata da Sergio Marchionne.
Tornando al convegno promosso da Cgil e Fiom, alla domanda su come si collochi la Fcanello scenario sopra descritto, Garibaldo ha risposto: “Non bene”. mettendo in dubbio non solo la lungimiranza dello scetticismo espresso recentemente da Marchionne circa il futuro dell’auto elettrica, ma denunciando, più in generale, l’insufficienza delle attività di ricerca e sviluppo portate avanti dalla Fca.
Mentre Andrea Malan, giornalista esperto del settore – per anni giornalista di punta al Sole 24 Ore e ora autorevole collaboratore della testata americana Automotive News – ha spiegato che Fca investe in ricerca meno della media dei grandi costruttori perché sul gruppo grava ancora un debito che si aggira sui 4 miliardi di euro e che Marchionne si propone di azzerare entro la fine del 2018. Difficile, quindi, immaginare che, a breve, le risorse destinate da Fca alla ricerca possano crescere. Il che non può non avere conseguenze anche produttive. “Degli 8 nuovi modelli annunciati per l’Alfa Romeo – ha esemplificato Malan -, per ora se ne sono visti solo2.”
La gestione Marchionne è dunque da bocciare? Ancora Mucchetti ha ricordato che nel 2002 la Fiatstava fallendo, mentre oggi il valore complessivo di Fca, Cnhi e Ferrari è pari a 10 volte quello della vecchia Fiat. Ha però anche osservato che gli echi mediatici della forte crescita del valore di Borsa di Fca, prodottasi nell’agosto scorso in base a ricorrenti voci di offerte di acquisto della stessa Fca – o di sue parti – provenienti da costruttori cinesi, hanno avuto un effetto preciso: hanno sdoganato l’idea che il cosiddetto “spezzatino”, ovvero la vendita a pezzi del complesso di aziende del settore automotive partecipate da Exor, possa essere una cosa buona per gli azionisti. E questa, secondo lo stesso Mucchetti, è la vera fonte di preoccupazione.
Si è qui innestato un secondo filone di critiche nei confronti degli indirizzi dettati da Sergio Marchionne al gruppo da lui formato nel 2009 con la fusione tra Fiat e Chrysler. Filone concentrato sull’accusa, lanciata da Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom fino al 2010 e oggi presidente della fondazione “Sabattini”, di aver costruito un gruppo automobilistico che è non solo carente per ciò che riguarda gli sviluppi ipotizzati dell’auto elettrica, ma anche sostanzialmente assente in Cina e in India, ovvero sui “mercati del futuro”. E, ancor più, su una seconda accusa, lanciata dallo stesso Rinaldini, e cioè quella di aver costruito un gruppo che, facendo gli interessi della famiglia Agnelli, oggi concentrati in Exor primo azionista di Fca, sarebbe sostanzialmente “in vendita”.
Sul banco degli imputati, rispetto alla problematicità delle prospettive industriali e occupazionali degli stabilimenti italiani di Fca, il convegno promosso da Fiom e Cgil non ha chiamato, comunque, solo Marchionne, ma anche i Governi che si sono succeduti nel nostro Paese a partire da un tempo non breve. E dunque non tanto il governo Gentiloni, rappresentato nel convegno da un dialogante Delrio, che ha rivendicato di aver avviato iniziative volte a riaprire la domanda pubblica nel settore dei trasporti, a partire da quella per autobus e treni; quanto i suoi predecessori. Capo d’imputazione: l’assenza di politica industriale. O per dir meglio, se ben comprendiamo, l’assenza di politiche industriali di settore sia per la siderurgia che per l’automotive (auto propriamente detta più componentistica).
Del resto, secondo Maurizio Landini, neo segretario confederale Cgil, di fronte alle trasformazioni in corso anche il sindacato deve aggiornare il suo approccio. Perché, per affrontare problematiche come quelle discusse nel convegno romano, non basta mobilitare i metalmeccanici, ma occorre mettere insieme, come minimo, anche gli elettrici, interessati alla produzione di energia elettrica, e i lavoratori dei trasporti. Serve, insomma, un approccio multicategoriale. Per fare cosa? Per costruire sedi in cui il dibattito, nutrito dai contenuti maturati in iniziative di ricerca e approfondimento, si trasformi in confronto col Governo e con l’azienda.
Al Governo è stato ricordato, in particolare, che ciò che servirebbe è una cabina di regia in cui parlare di auto, mobilità ed energia e cui i sindacati siano chiamati a partecipare, come del resto accade in altri paesi, qualila Germania.Mentreall’azienda il responsabile auto della Fiom, Michele De Palma, ha detto che i lavoratori di Fca e Cnhi non vogliono essere soggetti solo passivi di questa complessa fase di trasformazione.
Infine, se ci consentite, una nota personale. Finito il convegno, mi sono avviato a piedi lungo corso d’Italia per andare a prendere l’autobus. Avevo quasi raggiunto la fermata quando, mentre camminavo sul marciapiedi, sono stato sorpassato da una distinta signora, posizionata in piedi su un monopattino metallico. “Scusi, è elettrico?”, le ho chiesto. “Sì”, ha risposto lei. “Insomma, a batteria”.