Le federazioni di categoria dei lavoratori pubblici di Cgil Cisl e Uil hanno definito le linee guida per i rinnovi contrattuali 2014 del settore. Il Diario del lavoro ha intervistato Giovanni Faverin, segretario generale della Cisl Fp.
I sindacati del pubblico impiego hanno messo a punto delle richieste per una contrattazione a favore dei pubblici dipendenti. Che senso ha avanzare queste richieste se perdura il blocco deciso dal governo della contrattazione nel settore? Quale è lo scopo che i sindacati vogliono raggiungere. Sperano di avere un riscontro positivo dall’amministrazione?
Le linee guida sono la sfida lanciata al governo dalla Cisl insieme a Cgil e Uil. Dopo 5 anni di blocco contrattuale e due decenni di riforme sbagliate, la pubblica amministrazione è ferma e le retribuzioni dei lavoratori pubblici sono ferme. Mentre il Paese chiede più protezione, più sicurezza, più sostegno alle persone e alle imprese, più welfare. Bisogna riaprire la contrattazione perché solo con un nuovo contratto nazionale e con nuovi contratti integrativi si può dare al settore pubblico quella spinta al cambiamento che i cittadini chiedono. Abbiamo messo al centro della piattaforma tre parole chiave: riorganizzazione, retribuzioni, professionalità. Il che vuol dire che vanno cambiati gli assetti organizzativi, che bisogna intervenire su appalti, consulenze ed esternalizzazioni, che occorre investire nelle competenze e nel riconoscimento economico e professionale dei lavoratori. Questo è il nostro messaggio al governo. E ci aspettiamo che il ministro D’Alia apra il confronto già da metà febbraio, quando presenteremo la piattaforma definitiva dopo la consultazione nelle regioni e nei territori.
Di quanto è sceso il potere di acquisto dei lavoratori del settore a causa del blocco?
Il pubblico impiego è l’unico settore in cui il 100% dei lavoratori è ancora in attesa di un rinnovo dal 2009. Vale a dire che in questi anni ogni lavoratore ha perso dai 3 ai 5 mila euro a causa del blocco contrattuale. Un sacrificio insostenibile per i bilanci familiari, che peraltro non è servito a fermare l’impennata della spesa pubblica. Senza contare che blocco del turnover e tagli lineari a risorse e organici hanno indebolito i servizi pubblici e svuotato il patrimonio professionale delle pubbliche amministrazioni. Noi non chiediamo nuove tasse per finanziare i contratti. Vogliamo che le risorse sottratte agli sprechi, alla disorganizzazione, alla cattiva gestione siano recuperate e investite nell’innovazione dei servizi e nelle retribuzioni dei lavoratori. Si tratta di miliardi. E il contratto è lo strumento per attivare questo circolo virtuoso, che avvantaggia lavoratori e cittadini.
Lamentate che i conti della Pa non tornano. Perché avanzate questa affermazione? Su quali basi?
Le basi sono i numeri, certificati dall’Istat e dalla Ragioneria generale dello stato. Se il numero dei dipendenti pubblici scende e le retribuzioni sono ferme, ma la spesa pubblica continua crescere, è chiaro che qualcosa non va. Che l’obiettivo era sbagliato. In dieci anni i dipendenti pubblici sono diminuiti di 370mila unità e la spesa per il lavoro pubblico tra il 2010 e il 2012 di 7 miliardi. Mentre la spesa complessiva dello stato ha superato la soglia impressionante degli 800 miliardi. Bisogna cambiare rotta, attraverso una vera spending review e una contrattazione che riorganizzi il sistema e vada a stanare la vera spesa improduttiva. Liberare risorse vuol dire poter disporre di leve di azione migliori per costruire una Pa di qualità. A cominciare dall’investimento in quelle professionalità strategiche per riuscire a strutturare servizi innovativi per cittadini e imprese ma a costi inferiori.
A proposito di spesa improduttiva della pubblica amministrazione. A cosa in particolare vi riferite?
Basterebbe guardare nei bilanci di un ministero, di un comune, di una Asl o di uno qualsiasi delle migliaia di centri di costo della Pa… Quando sono conoscibili e resi pubblici, visto che la trasparenza è l’altro punto sul quale insistiamo da anni. E’ lì che vanno cercati i costi esorbitanti per l’acquisto di beni e servizi (132 miliardi ogni anno), le esternalizzazioni fatte per favorire le imprese di amici e clienti, le consulenze inutili, gli affitti per sedi che non servono, la spesa per mantenere le poltrone nelle società partecipate e negli enti strumentali. Ma prima ancora ci sono colli di bottiglia strutturali del sistema: i piccoli comuni che non si associano, i servizi che non si integrano, i livelli amministrativi che si duplicano, i costi standard che non si applicano. E poi c’è l’organizzazione: ci sono troppi dirigenti e zero investimento nei giovani, nelle donne, nelle nuove professionalità.
Avete scritto che gli obiettivi che vi siete posti sono la razionalizzazione della spesa pubblica e la tutela del potere di acquisto dei lavoratori. Come pensate di raggiungere questi risultati? Per quali percorsi contrattuali?
E’ per questo che vogliamo aprire il tavolo sui contratti. A tutti i livelli. Quello nazionale che deve garantire ai lavoratori diritti omogenei e spingere i processi di riorganizzazione. E quello aziendale che deve trasformare dall’interno ogni singola amministrazione e consentire di pagare meglio i lavoratori. Collegando le retribuzioni alla razionalizzazione di spesa, al miglioramento dei servizi e alla produttività.
Nelle vostre rivendicazioni si parla di consentire ai lavoratori di prendere decisioni su temi strategici come l’organizzazione del lavoro o la semplificazione. Quali azioni in particolare pensate di poter attuare in merito?
I lavoratori pubblici devono riprendere spazi di decisione e partecipazione che in questi anni norme sbagliate hanno ridotto. E il risultato si è visto. Un sistema complesso come la Pa non si può riformare dall’alto, senza il contributo determinante di chi ogni giorno mette le proprie competenze al servizio della collettività.
Ci sono tante azioni da mettere in atto, a partire dalla digitalizzazione, dall’unificazione dei sistemi informatici e delle banche dati, dai poli unici dei servizi sul territorio. Ecco perché vogliamo costruire cabine di regia a livello nazionale e locale sulle tante questioni aperte: funzioni, profili professionali, formazione, metodologie di lavoro alternative, tipologie contrattuali, procedure di semplificazione, mobilità. Per decidere insieme quali percorsi seguire e quali leve attivare per migliorare i servizi valorizzando la professionalità dei lavoratori.
E’ sempre molto basso il giudizio dei cittadini sulla Pa. Di chi a vostro avviso ne è la responsabilità?
Il punto vero è rovesciare la questione: aprire una stagione contrattuale nuova, ambiziosa e di prospettiva che rimetta al centro i bisogni dei cittadini, delle imprese e delle comunità. Anzitutto superando un’ossatura organizzativa obsoleta, autoreferenziale, fondata sulla gerarchia di troppi dirigenti burocrati e sul primato del precetto giuridico. Perché il cambiamento non arriva dall’alto e non può basarsi sul rispetto di regole avulse. L’innovazione, di prodotto e di processo, si genera dall’interno delle amministrazioni, cammina sulle gambe dei lavoratori e si esprime attraverso le loro competenze. Per questo i lavoratori pubblici devono essere messi in condizioni di lavorare meglio, facendo leva sul loro patrimonio professionale, valorizzato e rinnovato in base a fabbisogni formativi e soluzioni organizzative nuove.
Emanuele Ghiani