Ho conosciuto Fausto Vigevani quando era segretario generale dei chimici Filcea Cgil e io stavo nella Filcea di Ferrara, i primi anni 80. Quando iniziava il periodo delle grandi ristrutturazioni della chimica italiana, con perdite di migliaia di posti di lavoro e di impianti (2.000 esuberi solo a Ferrara)
Fu una grande scuola, almeno per me, che ha sempre caratterizzato il mio modo di intendere il mestiere del sindacalista: l’idea che la tutela del lavoro può anche non essere in grado di cambiare la realtà e le tendenze in atto, ma la devi fare lo stesso… oppure, se si preferisce, al contrario: se vuoi incidere sulla realtà non puoi arroccarti nella sola difesa dei tuoi diritti e chiamarti fuori dal resto.
Un po’ come il mare (un esempio che a Fausto non sarebbe piaciuto visto che in tanti anni di amicizia non ha mai voluto metter piede sulla mia barca…). A navigare – specie su una barca a vela, ma anche su grandi navi – si impara che fino a certe “forze” del vento (3, 4, 5…) si può piegare a proprio uso la spinta dell’aria e delle onde, e fare quello che si vuole, anche andargli contro. Oltre forza 5 no, devi cambiare rotta per arrivare dove vuoi, non puoi sbattere sulle onde o la corrente… (anche perché, se gli vai direttamente contro, le due forze si sommano, quella tua e quella del mare, e l’impatto per la tua barca e l’equipaggio è ancora più devastante).
Credo che i chimici lo avessero capito prima di altri che nell’80 l’autunno caldo era finito e che non bastava più minacciare uno sciopero per fermare un padrone. Non tutti nello stesso momento, certo: a Marghera andarono a sbattere un paio di volte, ma complessivamente i chimici lo capirono prima di altre categorie… (alcune non l’hanno ancora del tutto metabolizzato).
Perché era la caratteristica degli impianti e l’organizzazione del lavoro del petrolchimico che ti imponevano di capire che la stagione era cambiata (come forse nella siderurgia): il rapporto tra capitale fisso e capitale variabile, la sua “composizione organica”, bisognerebbe dire… Non si spegne un impianto chimico a ciclo continuo con un interruttore (o con uno sciopero improvviso): se lo fai metti a rischio la salute dei lavoratori e della città vicina e distruggi una struttura di enorme valore… che non verrà più ricostruita.
E poi perché le industrie petrolchimiche sono in rete fra loro (nelle aree chimiche integrate) e se blocchi per sciopero il cracking a Marghera fermi anche gli impianti a Ferrara, Mantova, Ravenna. Non credo che questo succeda in nessun altro settore industriale…
L’unità dei chimici tra le diverse componenti politiche e culturali era forte perché tenuta insieme da un collante di esperienza contrattuale comune… (Vigevani, Gastone Sclavi, Sergio Cofferati… e anche Cisl e Uil di categoria). Tanto che al petrolchimico mi chiedevano “Ci sarà anche la Fulc nazionale al prossimo sciopero?” E gli bastava che venisse qualcuno senza sapere chi.
Si dice che Fausto fosse un riformista atipico, perché non rinunciava alle lotte giuste e a portarle fino in fondo per miglioramenti generali e trasparenti. Azzardo l’idea che la sua confederalità iniziale a Piacenza e a Novara e la sua esperienza chimica abbiano rafforzato questa impostazione sindacale, forse prima dell’esperienza politica o accanto a quella politica. Una impostazione che poi, all’inizio degli anni 90, Fausto trasferì anche in Fiom, dove c’era ancora una diffusa e dominante cultura riformista (sembra difficile da credere, ma era così).
La mia idea è che ci siano 3 componenti cultural-sindacali in questo paese (che convivono fra loro, seppure dialetticamente) una, appunto “contrattuale riformista”: si difendono i lavoratori con il massimo delle lotte possibili e, tenendo conto delle condizioni esterne che possono anche essere più forti del sindacato, si firma il miglior accordo realizzabile; una per cui tutto ciò che non è vittoria assoluta sulle controparti è cedimento e sconfitta; una terza che predica la rivoluzione e fa però accordi molto moderati, a volte troppo. (Ci sono anche delle sottocategorie trasformiste per ciascuna delle 3 componenti ma lasciamo stare…)
Fausto apparteneva alla prima: non perché fosse socialista ma perché era un sindacalista attento alle condizioni economiche, politiche e sociali in cui si operava. Per questo era rispettato da tutti, anche dagli operai comunisti chimici che non erano proprio degli agnellini… “Noi ti vogliamo bene, Fausto, e ti rispettiamo, ma questa volta non ci hai convinto…”; me ne disse di tutti i colori quel giorno che, già segretario nazionale Cgil, fu messo in minoranza in un’assemblea al petrolchimico di Ferrara dal capo dei delegati comunisti delle manutenzioni, su una delle piattaforme stagionali Cgil Cisl e Uil a “11 punti” o “12 punti” che ogni anno venivano presentate ai governi.
Credo che fu lui a chiamarmi in Cgil nazionale dopo che ci eravamo conosciuti nella vicenda chimica. Anche se mi fece telefonare da un altro Fausto (tanto che pensai fosse uno scherzo telefonico di qualche amico…)
Così mi sono trovato a lavorare con 2 Fausti: di questioni ambientali e contrattuali. Un convivenza non facile, anche perché ero spesso d’accordo con Vigevani (col Fausto socialista) sulle cose da fare… e sull’idea che in materia di sicurezza, di ambiente, ma anche di orario, sono gli accordi che cambiano la realtà, e rafforzano la tua credibilità, non solo le denunce o gli obiettivi palingenetici…
E fu lui a chiamarmi alla Fiom quando ne divenne il primo segretario generale socialista, perché in Cgil era prevalsa l’idea che altri dovessero ricoprire il ruolo di “aggiunto”. Fu anche quella una bella scuola per me e un’esperienza di arricchimento anche personale, fatta di tante nuove amicizie che durano ancora.
Perché quando hai passato mesi e anni nella stessa trincea “capisci dallo sguardo” cosa sta per dire il tuo compagno di lotta (o di resistenza), ancora prima che parli. E lo appoggi anche quando hai qualche dubbio, perché ti fidi della sua onestà, delle sue capacità e della sua lealtà alla CGIL.
Trincea… non sembri esagerato il termine. Una volta Fausto mi disse: “puoi andare tu domani sera a un incontro con Finmeccanica che io non posso?” Io andai e ci rimasi 3 anni a negoziare la ristrutturazione di quell’impresa, con scioperi e occupazioni di stabilimenti fatti anche contro la Fiom nazionale, non solo contro l’azienda…
Situazioni difficili e complesse da cui uscivi sempre con un “sapere aggiunto”, almeno sul piano personale, anche quando non c’era un “valore aggiunto” per i tuoi. Perché Fausto ti delegava pienamente ma era sempre pronto a rispondere con la sua autorevole presenza a una chiamata di soccorso. E anche quando aveva qualche dubbio non ti lesinava mai l’appoggio e la copertura pubblica (ma anche la critica privata). Come quella volta che, stanco dei giochi al rialzo di Fim e Uilm, gli chiesi di firmare separatamente come sola Fiom il Ccnl dei metalmeccanici artigiani e lui mi consigliò di andare al mare un paio di giorni…
Ma Fausto era presente anche quando bisognava litigare con qualche struttura e qualche potentato .
E in Confederazione (nel ’90) ci toccò litigare con la Cgil regionale della Campania (allora decisamente riformista) sulla nostra proposta di avviare una vertenza a Napoli sul ciclo dei rifiuti: quasi 30 anni fa…
Quella volta abbiamo insistito ma abbiamo dovuto desistere di fronte a un “Non si può fare” tanto definitivo quanto non argomentato da parte dei compagni… e pieno di significati reconditi: “non ce lo lascerebbero fare”, “non siamo in grado di farlo”… (non l’ho mai capito).
Invece, quando gli ho comunicato che una Fiom regionale mi diffidava, con tanto di lettera firmata dal segretario, dal trattare nella vertenza Alenia a nome loro, mi ha detto tranquillamente: “Tu vai avanti e cerca di fare un buon accordo per tutti”.
Non voglio però dare l’idea che Fausto fosse solo un buon comandante nel condurre in porto esperienze complesse. Al contrario: la sua capacità di scegliere cosa fare e dove stare derivava sempre da una visione lunga sul ruolo del sindacato e della Cgil nel Paese (e per il Paese!).
Certo, la Cgil in un contesto politico ed economico più ampio ma per esercitare un ruolo autonomo, mai subordinato, tantomeno dipendente. Per questo, lo voglio dire, assieme a Fausto non mi sono mai sentito come un comunista che deve lavorare con un dirigente socialista, in una semplice regola di mutuo rispetto, ma un sindacalista meno esperto che ha la fortuna di imparare come si imposta una strategia e si conduce una trattativa da un sindacalista più esperto.
Non era sempre così. Un giorno un segretario nazionale della Cgil, socialista, mi disse: “Vedi, anche in politica ci sono le stelle fisse e i pianeti: noi non dobbiamo mai dimenticare di essere i pianeti di questo universo…” Io gli ho risposto più o meno che ero entrato in Cgil convinto dell’opposto: “che i governi passano e la Cgil resta”, come aveva detto Lama.
Ora che di stelle fisse non ce ne sono più sarebbe ancora più importante rafforzare la “forza gravitazionale” autonoma della Cgil e del sindacato unitario.
Ricordo bene il discorso di Fausto nel famoso direttivo del ‘92 che reinsediò Trentin. Altri dirigenti socialisti avevano detto che la Cgil era come il “Deserto dei tartari”: temeva un assedio e un attacco che non c’erano stati. Fausto invece non nascose il trauma di quell’accordo sull’unità della nostra organizzazione ma ci spronò a pensare e costruire una identità futura della Cgil, un nuovo protagonismo sindacale fatto di autonomia e di nuova capacità contrattuale. La difesa di Bruno e dell’unità interna della Cgil, non per calcolo politico, ma per essere all’altezza del cambiamento che era già in corso (anche allora) in ambito nazionale ed europeo. Non una unità di mera convenienza.
Erano tempi in cui ci si divideva, anche apertamente nei direttivi, ma su scelte programmatiche e ruoli del sindacato, non per schieramenti “a prescindere” come diceva con sarcasmo Bruno Trentin.
In quel direttivo del settembre ‘92 si percepì che la Cgil aveva pronto un nuovo gruppo dirigente in grado di vivere da protagonista una nuova importante stagione sindacale unitaria. Così passammo indenni e rafforzati dall’ “autunno dei bulloni” contro i dirigenti sindacali all’accordo Ciampi sulla politica dei redditi.
Si racconta che Fausto fosse burbero. Ed è sicuramente vero (come quella volta che mi disse “fatti venire un’idea migliore” su una mia proposta di mobilitazione in tema di fisco, e si rimise a leggere il giornale sdraiato sul divano del suo ufficio…). Ma era anche capace di tenerezze e attenzioni personali.
Un giorno mi avvertì a mezza voce: ”Sono felice che tu sia venuto a lavorare a Roma ma se mi avessi chiesto un parere ti avrei sconsigliato, perché è molto difficile lavorare qui a tempo pieno e tenere una famiglia unita in un’altra città”. Ed ebbe ragione lui…
Ricambiai quell’ammonimento da fratello maggiore, invitandolo a partecipare al mio successivo (e felice) matrimonio. Fausto nel ‘96 era già sottosegretario e forse per questo, assieme a lui, arrivò in quel piccolo borgo toscano anche una pattuglia di carabinieri. È stata una delle ultime volte che ci siamo visti e uno dei ricordi più vividi che ho di lui mentre scherzava, a pranzo, con i miei nipotini.
Ma questi ricordi è bene che restino personali…
Gaetano Sateriale