Non basta chiudere i boccaporti per imprigionare i miasmi che salgono dalla sentina. E’ il legno stesso della nave che si sta imputridendo. Bisognerebbe tornare in porto, a riparare, pulire, ricostruire. Solo così il bastimento della democrazia potrà riprendere il suo viaggio nel mare dell’umanità, diretto verso i lidi di una società migliore. Altrimenti i fantasmi che urlano sotto il ponte di comando finiranno per riavere il sopravvento e una volta al timone porteranno lo scafo a naufragare sugli scogli della paura, dell’odio razziale, della legge del più forte.
Fuor di metafora: i rigurgiti fascisti che spuntano qua e là, negli stadi come nelle periferie, indicano un reale pericolo. Leggi e divieti non bastano. Il disagio economico, civico, esistenziale si sta da tempo incanalando lungo flussi di pensiero che confusamente mettono assieme vecchie nostalgie e nuove irrazionalità. Il popolo diventa plebe e s’incanaglisce. Wilhelm Reich ha studiatoe ha teorizzato che.Non vengono in mente gli ultrà delle squadre di calcio o quei beceri individui che impediscono agli extracomunitari di prendere possesso di alloggi legittimamente loro assegnati?
Il marcio è più in profondità di quanto si pensi. L’obbrobriosa vicenda di Anna Frank con la maglia della Roma non può essere esorcizzata solo con pomposi proclami o impedendo agli imbecilli autori del vile fotomontaggio di assistere ad altre partite. Il Daspo vieta l’ingresso negli stadi ma non ha senso avere le curve pulite e una società sempre più sporca. I giovani che hanno riempito di calci e pugni un bengalese a piazza Cairoli sono tifosi della Magica e adoratori del Duce, convinti anche’essi come i cugini della Lazio che la parola “ebreo” sia un’offesa da lanciare in faccia all’avversario. Tutti uniti da un filo nero e macabro. Il tifo come epitome della degenerazione culturale e politica. Il premio Pulitzer Jhumpa Lahiri, in un’intervista a Repubblica, ha lanciato l’allarme citando Primo Levi, l’atmosfera del razzismo crescente e dell’intolleranza, e paventando <l’inizio di un nuovo fascismo>.
Esagerazioni? Forse. Ruth Ben-Ghiat che sul New Yorker si è chiesta quanto noi italiani siamo consapevoli di vivere circondati da edifici, monumenti, simboli del Ventennio. Forse ha esagerato anche lei, ma è indubbio che i conti con la nostra storia ancora non tornino. Tante le cause. La continuità nei gangli essenziali tra il Regime e la riconquistata democrazia, lo spirito della Resistenza tradito, la tolleranza e persino l’accettazione dell’uso parlamentare di un partito come il Msi, l’occultamento delle stragi e l’armadio della vergogna, lo sconfinamento di alcune tesi revisioniste nel terreno minato della giustificazione. Questo da una parte, diciamo nell’area di centro destra, ma anche dall’altra, a sinistra, la mancata volontà di capire le ragioni dei vinti (in alcuni casi degni persino dell’onore delle armi), l’uso della retorica antifascista a meri scopi propagandistici ed elettorali, il rifiuto di analisi approfondite che non fossero solo partigianerie. E così il 25 aprile è ancora una festa divisiva.
Vittorio Foa, nel bellissimo libro che è, parla di tabù intoccabili come quello di via Rasella e delle Fosse Ardeatine e ricorda il suo stupore nel visitare a Castelrotto, in Val Gardena, le tombe dei ladini, soldati territoriali della Werhrmacht, morti a Roma nel 1944 per l’attentato che poi diede la stura alla terribile rappresaglia nazista. L’umanità e l’ansia di capire del grande antifascista sono scomparse insieme con lui.
E così anche i tabù non bucati hanno contribuito all’estendersi di quel terreno di cultura nel quale allignano e crescono il risentimento, la xenofobia, il razzismo, la paura del diverso, il rancore sociale, la rabbia, la violenza. Un calderone ribollente, un incendio pronto a dilagare se, come un vento suicida, ad alimentarlo sono la corruzione, la crisi economica, la disoccupazione, il discreto delle istituzioni. I paragoni con il crollo della repubblica di Weimar sono sempre più stretti. E fanno paura.
Marco Cianca