In questi mesi molti centri ricerca farmaceutica hanno rischiato di chiudere. La situazione per il settore sembra peggiorare.
Marco Falcinelli, segretario nazionale della Filctem Cgil, quale è la situazione nel settore farmaceutico?
Prima di tutto bisogna dire che il settore non è stato colpito dalla crisi come gli altri. Al massimo le aziende hanno avuto una riduzione dei margini di profitto. Solamente i terzisti hanno avuto qualche problema serio. Il settore ha risentito di meno delle difficoltà economiche perché il sistema nazionale acquista ben l’86% dei prodotti.
Si tratta quindi ancora di un sistema protetto?
In parte sì, anche se la scadenza di molti brevetti e l’arrivo dei generici ha creato qualche problema.
Non si è investito in ricerca per nuovi farmaci da brevettare che sostituissero i brevetti scaduti?
Meno di una volta. Molte malattie sono ormai sotto controllo e quindi le aziende fanno meno ricerca. Ciò non toglie che molte case farmaceutiche hanno semplicemente investito di meno.
Quanti sono i centri di ricerca in Italia che hanno chiuso o hanno avuto problemi?
La Glaxo di Verona aveva un centro di neuroscienza che è stato venduto, con il risultato che l’occupazione è stata dimezzata. Due anni fa a Pomezia è stato chiuso il centro dell’Irbm i cui ricercatori avevano scoperto il farmaco oggi maggiormente utilizzato nella cura all’Hiv.
Altri esempi?
La Sanofia Ventis ha annunciato la chiusura del suo centro milanese, così come la Sigma Tau ha messo in liquidazione due centri, uno a Milano e l’altro a Caserta. Inoltre vuole ridimensionare quello di Pomezia.
Verso quali paesi si dirigono le attività che chiudono?
I centri ricerca vengono spostati nei paesi in cui l’industria ha sede, mentre la produzione nei paesi in via di sviluppo o o verso le nuove economie emergenti, i cosiddetti “brics”.
Quanti sono gli addetti usciti dal settore?
Settemila hanno perso il lavoro nel settore dell’informazione scientifica. Essendo diminuiti i farmaci brevettati le aziende hanno diminuito anche il personale che promuove i farmaci. Noi da tempo avevamo sollevato il problema. L’eccedenza di lavoratori era prevedibile, essendo le date di scadenza dei brevetti note. Altri 1.000 addetti sono emigrati all’estero e altri 2.000 mila sono stati ceduti con le aziende in cui lavoravano a imprese produttrici di farmaci generici. Questi lavoratori hanno visto spesso un peggioramento della loro situazione contrattuale.
Il governo può fare qualcosa per fermare il declino della ricerca nel nostro paese?
Sì, il paese deve tornare a fare politiche industriali. Da anni esiste un tavolo permanente al ministero sul settore, ma si discute sempre e solo di casi specifici. Manca un discorso complessivo sul settore.
Come sarebbe possibile intervenire?
Serve una defiscalizzazione degli utili rivestiti in ricerca e un utilizzo maggiore del credito d’imposta. Infine, una maggiore protezione dei brevetti. Per sperimentare un farmaco ci possono volere anni e un’azienda intraprende un investimento così a lungo termine solo se pensa possa essere remunerativo.
Ci sono state molte polemiche sul fatto che lo stesso farmaco venga venduto al Sintema Sanitario Nazionale con prezzi diversi da regione a regione e sul fatto che le farmacie non sempre informino i clienti sull’esistenza dei farmaci generici.Come conciliare il diritto alla salute con la preoccupazione per l’occupazione nel settore?
Non si deve danneggiare lo stato pur di vendere un farmaco, ma al contrario investire su nuove scoperte che possano portare benefici alle persone. Per ottenere questo è fondamentale aiutare l le imprese che investono nella ricerca in Italia. Altrimenti il paese finirà per consumare farmaci prodotti all’estero.
Luca Fortis