Da una parte la tutela della salute collettiva. Dall’altra l’affermazione e l’esercizio della libertà individuale. Letta in questi termini, afferma Adriano Fabris, – docente di filosofia morale all’università di Pisa e direttore del Centro Interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla Comunicazione dello stesso ateneo-, si tratta di un’aporia irrisolvibile, una dicotomia conflittuale. Occorre capire, prosegue, che la libertà si basa sulla relazione. Al livello comunicativo bisogna convincere gli indecisi, perché il vaccino è l’unico modo per scongiurare un altro blocco della nostra socialità e dell’economia.
Professor Fabris, si è acceso il dibattito intorno al green pass. Secondo lei stiamo affrontando la situazione dalla giusta angolazione?
Quello che vedo è che ancora si tratta un tema come questo, che tocca le nostre convinzioni più profonde, il nostro modo di stare con gli altri, la nostra libertà e la nostra etica, unicamente attraverso la lente di ingrandimento della legge e della norma. Naturalmente si tratta di un approccio giusto ma parziale. Anche perché quello che stiamo osservando, in questi giorni. è che tutto ciò che viene visto come un’imposizione genera poi un comportamento di repulsione.
Quali sono gli schieramenti e le convinzioni in gioco?
Si stanno confrontando posizioni che hanno tutte un loro valore. Da un lato c’è un atteggiamento prudenziale di salvaguardia del diritto alla salute collettiva. Dall’altro, c’è l’affermazione e l’esercizio della libertà individuale dei cittadini. Se ci poniamo in quest’ottica il conflitto è inevitabile.
Che chiave di lettura si deve adottare?
Come ha più volte ripetuto papa Francesco durante la pandemia, non ci si salva da soli. L’interesse dell’individuo si realizza assieme e con l’interesse collettivo. Dobbiamo capire che la libertà si fonda sulla relazione. Il fatto che io mi vaccini o meno non riguarda esclusivamente la mia persona, ma ha una ricaduta sulla collettività. L’affermazione della libertà individuale, senza tenere conto di quella altrui, non porta a nulla. Realtà come un bar, un ristorante o un’azienda sono luoghi nel quali si concretizza questa relazione. Si tratta di una consapevolezza che non si ottiene con l’obbligo, ma attraverso l’educazione e la persuasione. Inoltre il vaccino rappresenta veramente l’unica arma per impedire un nuovo blocco della nostra socialità e delle attività economiche che non sarebbe sopportabile.
Ma abbiamo veramente imparato il valore della relazione?
Eschilo in una sua tragedia, nello specifico l’Agamennone, afferma che l’essere umano impara dalla sofferenza e non attraverso la gioia. Se anche durante questa pandemia non abbiamo fatto nostro il valore della relazione, del confronto e della cooperazione allora siamo nelle condizioni di non imparare più nulla. E questo non è confortante.
Come ha inciso la comunicazione sul tema vaccini?
Con il Centro Interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla Comunicazione abbiamo osservato l’andamento della compagna comunicativa sulle vaccinazioni. All’inizio c’è stata grande attenzione nel convincere le persone a immunizzarsi, attraverso il coinvolgimento di testimonial. Poi quest’opera di sensibilizzazione è andata progressivamente scemando, con la speranza che il messaggio fosse passato. Ma abbiamo visto il rigurgito di questi giorni. Il punto è riuscire a parlare agli indecisi, a chi aspetta. La situazione della Gran Bretagna, nonostante l’elevatissimo numero di contagi e la ridotta incidenza di casi mortali, dimostra l’efficacia dei vaccini.
Tommaso Nutarelli