La società licenzia la lavoratrice per averle addebitato delle spese di carburante per l’uso dell’auto aziendale non riferibili allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Il Tribunale (in fase sommaria e di opposizione) ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento per tardività della contestazione disciplinare sul rilievo che la società datoriale, pur ricevendo mensilmente i giustificativi delle spese di carburante, avesse omesso di svolgere tempestivi controlli, così pregiudicando il diritto di difesa della dipendente.
La Corte di Appello di Milano, in sintonia con la giurisprudenza della Cassazione, ha ritenuto che l’immediatezza della contestazione dovesse valutarsi avendo riguardo non al tempo del verificarsi dei fatti contestati bensì al momento in cui il datore di lavoro ne ha avuto conoscenza; che, nel caso in esame, la società aveva preso cognizione dei fatti imputabili alla dipendente solo nel gennaio 2017, in occasione delle verifiche dei conti per la chiusura del bilancio del 2016; che era, pertanto, da considerarsi tempestiva la contestazione degli addebiti risalente al febbraio 2017; che la lavoratrice, nel fornire le sue giustificazioni scritte, non aveva lamentato alcun pregiudizio al suo diritto di difesa connesso al tempo trascorso dai fatti addebitati.
Per la Corte di Appello, l’utilizzo fraudolento del denaro aziendale per scopi privati costituiva un grave inadempimento atto a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario, così da integrare una giusta causa di recesso.
La Corte d’Appello ha accertato e ricostruito, con l’ausilio del consulente tecnico, che il carburante acquistato dalla dipendente, in relazione alle caratteristiche di consumo dell’auto aziendale, avrebbe consentito di percorrere 278.094,83 km, a fronte dei 121.155,30 km risultanti dal tachimetro. Ha ritenuto che tale evidente sproporzione tra la spesa dichiarata dalla lavoratrice per i rifornimenti di carburante e i chilometri effettivamente percorsi dall’auto aziendale non avesse altra spiegazione né giustificazione se non quella dell’uso del denaro aziendale per scopi diversi da quelli inerenti all’esecuzione della prestazione.
Contro la sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso in Cassazione. I giudici di Cassazione hanno ritenuto il ricorso infondato. Per la suprema Corte,” in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente oppure per l’esistenza di una articolata organizzazione aziendale”.
Il datore di lavoro ha “il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti e di contestare loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione ove avesse controllato assiduamente l’operato del dipendente, ma con riguardo all’epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza. Difatti, l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente non può tradursi in un danno per il datore di lavoro né può equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell’illecito, ovvero supporsi una tolleranza dell’azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente”
Per i giudici della Cassazione, “la Corte Appello si è attenuta ai principi enunciati da questa S.C. nel momento in cui ha giudicato conforme a buona fede il controllo eseguito dalla società sulle spese del 2016 nel momento della redazione del bilancio 2017. È vero che i giustificativi di spesa erano consegnati dalla dipendente con cadenza mensile e che, in teoria, il datore era in condizione di controllare mensilmente le spese eseguite in relazione ai chilometri percorsi. Ma nel rapporto di lavoro in generale, e in particolar modo quando si assegnano al dipendente l’auto aziendale e la carta di credito intestata alla società, si fa affidamento sul corretto utilizzo di tali strumenti di lavoro, in funzione esclusiva delle esigenze connesse alla prestazione, non potendosi esigere un controllo costante di parte datoriale che presupporrebbe null’altro che una pregiudiziale sfiducia nell’operato del dipendente e quindi la negazione di quel patto di reciproca fiducia che sta alla base di ogni rapporto negoziale e del rapporto di lavoro in special modo.” Cass. civ., sez. lav., ordinanza 15 marzo 2023, n. 7467.
Biagio Cartillone