Dalla farsa al dramma. O, per dir meglio, da un serial con aspetti farseschi a un dramma conclamato. Stiamo parlando delle più recenti puntate della Never Ending Story della ex Ilva, quelle relative alla convocazione dell’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, il gruppo pubblico-privato che ha in gestione gli impianti del colosso siderurgico.
Quando, nella serata di ieri, mercoledì 6 dicembre, si è sparsa la voce che per la terza volta consecutiva l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia era terminata senza essere giunta ad alcuna conclusione, ed era stata dunque rinviata per la terza volta consecutiva a un nuovo appuntamento, gli osservatori delle vicende siderurgiche del nostro Paese hanno avuto, per un attimo, l’impressione di trovarsi di fronte a una storia poco seria. Ma si è poi subito capito che la piega che avevano preso gli avvenimenti volgeva ormai ad assumere i colori più cupi.
Basti pensare, innanzitutto, alle date di queste assemblee. La prima riunione si è tenuta, a Milano, giovedì 23 novembre. Risultato: nessuna conclusione e rinvio alla settimana successiva. La seconda si è tenuta, sempre a Milano, martedì 28 novembre. Nessuna conclusione, salvo la convocazione di una nuova assemblea per la data di mercoledì 6 dicembre. E ieri, terzo nulla di fatto, salvo la convocazione di un quarto appuntamento. Appuntamento che, secondo le fonti di stampa più affidabili, si collocherà nella giornata di venerdì 22 dicembre, ovvero a ridosso del week end natalizio.
In secondo luogo, viene il nodo del contendere, ovvero quello relativo agli argomenti che andavano affrontati in queste assemblee. Argomenti che, nonostante la carenza di comunicazioni ufficiali, sono stati riassunti dagli osservatori, sostanzialmente, in due aspetti di un unico problema: quello delle risorse finanziarie necessarie per mandare avanti l’impresa.
A proposito di queste risorse, infatti, da un lato è ormai noto che c’è, innanzitutto, un problema immediato. Servono, con urgenza, risorse per pagare i fornitori, a partire dalle bollette energetiche. Risorse che, secondo varie voci, a metà ottobre venivano ancora quantificate in un centinaio di milioni, ma che, a novembre, sarebbero salite oltre i 300 milioni. E a quanto si è saputo, il socio pubblico di Acciaierie d’Italia, ovvero Invitalia (38%), si è detto pronto ad assumersi la propria parte, a patto che anche il socio privato (ArcelorMittal, 62%) facesse lo stesso.
Dall’altro lato, c’è poi il problema strategico, ovvero l’assunzione dell’impegno ad avviare un piano di decarbonizzazione della produzione di acciaio nel sito di Taranto. Piano che, complessivamente, richiederebbe investimenti per circa 5 miliardi di euro.
Dal momento che questi nodi problematici erano ormai più che noti anche al di fuori delle sedi di Acciaierie d’Italia, e costituivano, peraltro, dei nodi ineludibili, ci si sarebbe potuti aspettare che la discussione fosse relativamente semplice. Oppure che, in caso di rinvio, venissero date informazioni sugli eventuali punti di dissenso fra i soci.
Invece, niente. E così, a fronte della nota volontà positiva del socio pubblico, gli interrogativi degli osservatori hanno cominciato a rivolgersi verso i silenzi del socio privato. Silenzi che, nell’opinione dei più, coprivano una, peraltro non spiegata, mancata volontà di quest’ultimo di procedere nella direzione richiesta dal socio pubblico.
Nelle prime ore del mattino di mercoledì 6 dicembre, è poi giunta nelle edicole un’edizione del quotidiano MF (Milano Finanza) che conteneva un articolo di Fabio Pavesi (“ArcelorMittal ignora l’ex Ilva”) in cui si poteva leggere il seguente passaggio: “Si può pensare che la ritrosia del colosso franco-indiano sia dovuta a ostacoli di origine finanziaria. Ma è vero il contrario. I soldi, e tanti, ci sono per un intervento risolutivo della crisi finanziaria dell’impianto di Taranto. Basta vedere i conti di ArcelorMittal”. Conti che, sempre secondo Pavesi, dopo aver consultato il bilancio dei primi nove mesi del 2023, mostrerebbero una “cassa più che capiente”. Ciò nonostante, prosegue Pavesi, per ciò che riguarda l’Italia “ha fatto orecchie da mercante (…) lesinando il più possibile risorse.”
Non sono quindi solo i sindacati a puntare la loro attenzione sui comportamenti dei ArcelorMittal nel nostro paese. Sulle sorti di Acciaierie d’Italia, ovvero del principale gruppo siderurgico attivo nel nostro Paese, c’è anzi ormai un generale allarme che coinvolge, in prima persona, proprio gli attori della nostra scena siderurgica. Se quindi, da una parte, i sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm scrivono, nel loro comunicato odierno, che “ArcelorMittal non sembra intenzionata a mettere le risorse di propria competenza necessarie per continuare a mantenere in vita l’ex Ilva”, dall’altra il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, intervistato dal Sole 24 Ore, afferma che “Acciaierie d’Italia è ai limiti dell’insolvenza” e che “una soluzione, prima finanziaria e poi industriale, va trovata in tempi rapidissimi”.
Si comprende quindi perché oggi i Segretari generali di Fim, Fiom e Uilm – rispettivamente Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella – hanno annunciato che lunedì 11 dicembre terrano una conferenza stampa di fronte a palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
@Fernando_Liuzzi