Commentando l’accoglimento del ricorso presentato dall’amministrazione straordinaria dell’ex Ilva da parte del Tribunale del riesame di Taranto, Fernando Liuzzi – che è sempre stato sul ‘’pezzo’’ con attenzione e professionalità – ha ricostruito ‘’gli anni difficili’’ dello stabilimento siderurgico dall’inizio fino ai nostri giorni. Per oltre sette anni, la più grande acciaieria di Europa, fornitrice di una quota importante del fabbisogno dell’industria nazionale, è stata la vittima di una ‘’caccia grossa’’ che ne voleva a tutti i costi la chiusura. Con molta disinvoltura, poi, il governo che. con molte piroette, aveva consentito l’acquisizione da parte di Arcelor Mittal, ha poi negato, dopo altre incredibili piroette, quella conferma dello ‘’scudo penale’’ (riconosciuto agli amministratori nominati dal governo) ai manager della nuova società.
Questa leggerezza irresponsabile ha dato corso all’avvio di una procedura di risoluzione del contratto da parte della società franco-indiana, che, in mancanza di una tutela nei confronti delle prevedibili iniziative penali della magistratura, avrebbe dovuto dare attuazione ad un piano di ristrutturazione e risanamento ambizioso, adempiendo contemporaneamente, all’ordinanza di chiusura dell’altoforno n.2. Tanto che si era arrivati – dopo l’intervento della Procura di Milano – che, evidentemente si considera ‘’più uguale’’ delle altre – ad un intreccio giudiziario tragicomico, in forza del quale ad Arcelor Mittal, veniva ordinato contemporaneamente, con la minaccia di sanzioni penali, di tenere in funzione e di procedere allo spegnimento dell’ Afo2.
Ma queste vicende le racconta, molto bene, sul Diario del Lavoro, proprio Liuzzi. Io mi accontenterò di esprimere un’opinione. L’ordinanza del collegio di Taranto riveste una significativa importanza, sul piano politico e sindacale, perché concede ai protagonisti della vertenza un ulteriore periodo di 14 mesi (corredato di un cronoprogramma per condurre a termine i necessari adempimenti in corpore vili della struttura produttiva e dell’ambiente) per trovare delle intese (un accordo preliminare ha fissato la scadenza al 31 gennaio) con Arcelor Mittal per far ripartire lo stabilimento, pur tenendo conto della sopraggiunta crisi del settore dell’acciaio. Ma sono ancora più importanti, nel provvedimento del Riesame, la demolizione delle valutazioni dei fatti compiute, nel tempo, dalla magistratura tarantina e, in particolare, l’annullamento dell’ordinanza del giudice Francesco Maccagnano (sulla linea della potentissima Barbara Valenzano, nominata fin dal 2012 ‘’custode giudiziaria’’) con la quale era stata respinta, nonostante il parere favorevole della Procura, l’istanza di proroga dell’uso dell’Afo2 e imposto, di conseguenza, di procedere al suo spegnimento (e in pratica alla chiusura dello stabilimento e dell’intero gruppo).
La vera innovazione è di carattere giurisprudenziale e sta nella motivazione, nel senso che viene abbandonata la linea manichea sulle questioni ambientali che aveva caratterizzato l’azione della magistratura a Taranto. La sicurezza degli impianti non è più un dogma assoluto che pretende di prescindere dagli standard adottati a livello europeo, dalle disponibilità fornite dalla tecnologia, dalle compatibilità economiche e dalla continuità del processo produttivo. In sostanza, si riconosce che un livello di sicurezza assoluta non esiste per le caratteristiche stesse del lavoro che è di per sé un fattore di rischio, soprattutto quando si ha a che fare con i processi ciclopici della siderurgia. Poi, nella sinfonia dell’ordinanza, entrano in scena gli ottoni. Alla luce della ‘’‘migliore scienza ed esperienza del momento storico in cui si scrive, il rischio per i lavoratori dell’altoforno 2 deve considerarsi assai ridotto”, hanno spiegato i giudici del riesame.
È fondamentale il riferimento al ‘’momento storico’’ perché si riconosce, in questo modo, la necessità di un percorso di miglioramento graduale e progressivo delle misure per la sicurezza e il risanamento ambientale. Ma è ancora più determinante che la decisione prenda in considerazione quanto accertato dagli organismi tecnici, in precedenza disconosciuti dalla magistratura (e accusati di connivenza). Nella decisione si osserva infatti, che “il Ctr-Comitato tecnico regionale Puglia (organo deputato alla valutazione del Rapporto di sicurezza sui Top event e scenari incidentali) ha infatti espresso parere validando la stima delle ‘frequenze di accadimento’ dei Top event contenuta nel rapporto del 2017 e limitandosi a prescrivere ‘il censimento completo delle apparecchiature soggette ad invecchiamento’’ e la formulazione di un successivo cronoprogramma di implementazione dei sistemi di controllo entro il 9 settembre 2020. Viene poi riconosciuta l’impossibilità tecnica di realizzare l’automatizzazione dell’altoforno nei tempi imposti dalla magistratura, sulla base di quanto dimostrato dal fornitore del nuovo impianto, la ditta Paul Wurt spa, indicata quale leader mondiale nel settore tecnico e ingegneristico dei processi metallurgici.
E, infine, i giudici, facendo riferimento alla giurisprudenza della Consulta, indicano dei criteri per la ricerca di un equilibrio tra i fondamentali diritti alla salute e al lavoro. In sostanza, non è ammissibile l’espansione illimitata di un diritto a scapito di altre situazioni altrettanto meritevoli di tutela. Il criterio deve essere ‘’un bilanciamento fondato sulla proporzionalità e la ragionevolezza’’: un criterio che non sembra essere stato seguito, a Taranto, nel modo talebano di amministrare la giustizia.
Giuliano Cazzola