Partita a tre, ieri, sul campo virtuale della vertenza Ex-Ilva. Virtuale perché, prima che scoppiasse l’emergenza coronavirus, un incontro come quello di cui stiamo parlando – fra Governo, Commissari dell’Amministrazione straordinaria, azienda acquirente e sindacati – si sarebbe tenuto al Ministero dello Sviluppo economico. Ma, dati i tempi, in ottemperanza alle misure relative al contenimento della pandemia da Covid-19, i protagonisti di questa complessa relazione si sono incontrati sulla rete.
Ora, a parte il fatto che quella di partecipare a una video conferenza a più voci sta ormai diventando un’esperienza comune a migliaia, o forse a milioni, di italiani, a quel che si è capito si può ipotizzare che la natura virtuale dell’incontro abbia perfino reso più agevole la sua (provvisoria) conclusione. Conclusione che, sostanzialmente, si è risolta in un rinvio. Infatti, l’azienda acquirente, ovvero AM InvestCo, che agisce in nome e per conto del colosso siderurgico franco-indiano ArcelorMittal, si è presa una decina di giorni di tempo per poter presentare a Governo, Commissari e sindacati un piano industriale aggiornato alla situazione attuale.
Semmai, va detto che il carattere virtuale dell’incontro ha reso più difficile il lavoro alle varie testate giornalistiche che hanno tentato di seguirlo, senza poter incontrare fisicamente i suoi diversi protagonisti, o almeno gran parte di tali protagonisti, al momento della loro uscita dal Ministero di via Veneto.
Ma veniamo al discorso della partita a tre. A tre perché, ovviamente, nella situazione presente non è neppure pensabile che vi sia una qualche articolazione fra le posizioni del Governo e quelle dei Commissari da esso nominati. Semmai, vi sono state nell’ultimo anno e mezzo posizioni anche molto differenziate all’interno della maggioranza di Governo. Ma su questo torneremo dopo.
Partiamo dunque dai sindacati. Che si sono presentati all’apertura dell’incontro forti della loro unità e dello sciopero da loro proclamato unitariamente proprio per la giornata di ieri in tutti gli stabilimenti del Gruppo: quattro ore per turno a Taranto, due a Genova-Cornigliano e a Novi Ligure (quest’ultimo in provincia di Alessandria).
Facendo un passo indietro, sarà qui appena il caso di ricordare che la crisi del gruppo Ilva fu originata non da un suo dissesto finanziario, né da un qualche scollamento fra domanda e offerta del prodotto acciaio, ma dall’offensiva scatenata nel 2012 dalla Procura della Repubblica di Taranto a partire da questioni di inquinamento ambientale. Offensiva che si concretizzò, nell’estate di quell’anno, nel sequestro “senza facoltà d’uso” dello stabilimento tarantino. Dopodiché, i Governi guidati da Monti, Letta, Renzi e Gentiloni si proposero – via, via – il duplice scopo di assicurare un futuro al principale gruppo siderurgico italiano, avviando contemporaneamente un’opera di risanamento ambientale.
In particolare, dopo che la famiglia Riva era uscita dalla gestione del gruppo Ilva, e dopo che il Gruppo stesso era stato posto in Amministrazione straordinaria, Carlo Calenda – il Ministro a forte caratura tecnica che ha retto le sorti del Ministero dello Sviluppo Economico sia nell’ultimo scorcio del Governo Renzi, che nel Governo Gentiloni – impostò una gara internazionale volta a trovare un compratore. Gara che, nel giugno del 2017, fu vinta dalla cordata guidata da AM InvestCo Italy, il soggetto societario creato ad hoc da ArcelorMittal. In poche parole, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, quello di Taranto, entrava a far parte del più grande gruppo siderurgico del mondo.
Tuttavia, dopo l’aggiudicazione della gara, lunghi mesi di negoziato non furono sufficienti a trovare un’intesa fra i sindacati e la nuova proprietà. E ciò nonostante che lo stesso Ministro Calenda avesse praticamente imposto ad AM InvestCo Italy una crescita del numero dei lavoratori da assumere, rispetto ai suoi programmi originari. Punto del contendere: il futuro occupazionale dei dipendenti di quella che era ormai diventata la ex Ilva. Dopo lo spirare della XVII legislatura e dopo le elezioni politiche del marzo 2018, un accordo fu finalmente raggiunto, il 6 settembre 2018, sotto il primo Governo Conte, quello in cui la responsabilità del Mise ricadeva sulle spalle del pentastellato Luigi Di Maio.
In base a tale accordo, tutti i lavoratori della ex Ilva che entro il 2023, anno in cui l’azienda acquirente doveva perfezionare l’acquisto della stessa ex Ilva, risultassero ancora non riassorbiti da AM InvestCo Italy, e fossero comunque ancora presenti in Ilva in Amministrazione straordinaria, avrebbero avuto un futuro occupazionale garantito.
L’accordo con i sindacati, dunque, era stato definito. Eppure, è proprio dopo di allora che comincia, da un lato, la guerriglia scatenata contro ArcelorMittal dal Movimento 5 Stelle, una delle due forze portanti della maggioranza parlamentare che aveva espresso il primo Governo Conte. Guerriglia che si concretizza nella battaglia volta a cancellare lo scudo penale che avrebbe dovuto proteggere i dirigenti del gruppo franco-indiano da nuove, eventuali offensive giudiziarie relative all’irrisolta questione ambientale. Mentre, dall’altro lato, anche a causa di un calare della domanda mondiale di acciaio, AM InvestCo Italy comincia a dare vari segni di insofferenza verso i contenuti occupazionali dell’accordo da poco sottoscritto con i sindacati.
Questa situazione confusa viene ereditata dal secondo Governo Conte (nato nel settembre 2019), quello in cui il Pd, per così dire, prende il posto della Lega come partito “produttivista”, contrapposto al “decrescitismo” più o meno “felice” dei Cinque Stelle. ArcelorMittal coglie l’occasione della cancellazione dello scudo legale per accusare la parte venditrice, ovvero il Governo italiano, di inadempienze contrattuali. Dopodiché, tutto si ingarbuglia sul piano legale, tra i ricorsi incrociati presentati – sia dall’Azienda acquirente, che dall’Amministrazione straordinaria – al Tribunale di Milano, competente in materia contrattuale, e le iniziative “ambientaliste” della Magistratura tarantina, che tiene sotto mira il famoso Altoforno 2. Fino a quando, a inizio del corrente anno, l’emergenza coronavirus precipita addosso anche alla questione Ilva. Con un effetto negativo particolarmente pernicioso: un ulteriore peggioramento della domanda mondiale di acciaio che rende la situazione del settore ancora più instabile.
E’ in questo contesto che il 4 marzo, a Milano, l’Amministrazione straordinaria dell’ex Ilva, ovviamente in pieno accordo col Governo Conte bis, e ArcelorMittal Italia definiscono un’intesa il cui obiettivo immediato è quello di garantire la continuità dell’operatività aziendale, superando i contenziosi legali reciprocamente contrapposti avviati in precedenza. Si apriva così uno spazio temporale, traguardato al mese di novembre del corrente anno, in cui svolgere una trattativa di merito volta a ridefinire il contratto del 2018 (quel contratto che, formalmente, si presentava come contratto di affitto finalizzato all’acquisto dell’Ilva in Amministrazione straordinaria da parte di AM InvestCo Italy).
Questo nuovo, futuro contratto dovrebbe essere, da un lato, meno oneroso per ArcelorMittal da un punto di vista finanziario e, dall’altro, più vicino, anche sotto un profilo tecnologico, alle sensibilità “verdi” degli ambientalisti fatte proprie, nel frattempo, dal Governo Conte bis. Sullo sfondo, restano invece meno definiti gli assetti della nuova compagine societaria (dotata di una presenza pubblica?) e, soprattutto, le dimensioni occupazionali dell’ex Ilva del futuro.
Va anche detto, però, che la trasformazione della vicenda del Covid-19 da epidemia relativamente localizzata a pandemia mondiale ha fatto saltare almeno la parte iniziale del cronoprogramma che doveva condurre verso l’auspicato accordo del prossimo novembre. Ed eccoci dunque al video incontro di ieri.
Riprendiamo quindi il nostro racconto dalla posizione dei sindacati. I quali hanno motivato lo sciopero da loro proclamato accusando l’Azienda di incoerenza sul piano occupazionale. E ciò per aver fatto un ricorso eccessivo alla Cassa integrazione già prima dell’emergenza coronavirus, salvo poi ad essersi opposta al fatto che i lavoratori restassero a casa nel momento in cui la pandemia ha raggiunto i suoi picchi più alti, e a tornare adesso che la fase acuta della stessa pandemia sembra attenuarsi ad avanzare nuove massicce richieste di ricorso alla Cassa integrazione.
Al di là dei comportamenti contingenti dell’Azienda, ciò che preoccupa di più i sindacati confederali dei metalmeccanici, e cioè Fim-Cisl, Fiom.Cgil e Uilm-Uil, è il sospetto che tali comportamenti possano prefigurare il futuro assetto occupazionale degli stabilimenti italiani di ArcelorMittal. Un assetto che, temono sostanzialmente i sindacati, possa attestarsi su basi inferiori rispetto a quelle previste dall’accordo del 6 settembre 2018. Un accordo che, non per caso, è stato ieri ripetutamente richiamato dai dirigenti sindacali. I quali non hanno avuto voce in capitolo in occasione dell’intesa del 4 marzo scorso, ma non vogliono essere tagliati fuori da futuri e più specifici accordi.
C’è poi l’Azienda, rappresentata da Lucia Morselli, l’Amministratore delegato di ArcelorMittal Italia. La quale ha teso, innanzitutto, a rassicurare tutti sulle intenzioni del gruppo franco-indiano: “AM vuole onorare gli impegni presi fino in fondo, anche con le difficoltà causate da Covid”. Secondo quanto riportato sul sito dell’agenzia Ansa, Morselli ha aggiunto che AM vuole “mantenere l’integrità degli impianti di Taranto”, nonché la loro importanza “a livello europeo”. Morselli ha poi ammesso che “la ripresa del mercato dell’acciaio non è uniforme nel mondo” e che “ancora non si è stabilizzata”. “Abbiamo lavorato molto al piano industriale, ma gli scenari – ha poi spiegato – cambiano ogni 24 ore.” E ciò sia “per i prodotti”, che “per la fornitura di materie prime”. Morselli ha quindi concluso questa parte del suo ragionamento affermando: “Vogliamo andare avanti”. E precisando poi che l’Azienda sarà pronta a presentare il suo nuovo piano “fra una decina di giorni”.
Da notare che, nei giorni scorsi, era corsa la voce che il Cfo (Chief Financial Officer) di ArcelorMittal Italia, ovvero il suo direttore finanziario, fosse stato richiamato dalla casa madre, ArcelorMittal, il cui quartier generale è a Londra. Una notizia, questa, che era stata interpretata da diversi commentatori come un ulteriore indizio della volontà del colosso siderurgico di smarcarsi dal quadrante italiano, ovvero da un quadrante in cui vari protagonisti della scena politica, dal Movimento 5 Stelle, sul piano nazionale oltre che su quello tarantino, al Presidente della Regione Puglia, il Pd Michele Emiliano, col suo alleato Sindaco di Taranto, il non meno piddino Rinaldo Melucci, hanno fatto di tutto per mostrarsi ostili nei suoi confronti. Morselli avrebbe però negato qualsiasi veridicità alla ipotizzata notizia relativa al Cfo.
Forse potenzialmente più preoccupante per i sindacati un altro dettaglio delle cose dette da Morselli. La quale, durante il video incontro, avrebbe infatti affermato: “Dobbiamo fare tutti insieme un lavoro con i sindacati per l’occupazione”. Una frase quanto meno ambigua, che può far venire in mente l’ipotesi che nelle intenzioni dell’Azienda non ci sia il proposito di mantenere al cento per cento gli impegni occupazionali contenuti nell’accordo del 6 settembre 2018, ma, al contrario, quello di cooperare con i sindacati per definire altre soluzioni, probabilmente meno favorevoli di quelle pattuite a suo tempo.
E veniamo, infine, al Governo. Per l’Esecutivo hanno partecipato al video incontro tre Ministri: Gualtieri, responsabile dell’Economia; Catalfo, del Lavoro; e Patuanelli, dello Sviluppo Economico. Ciascuno dal suo Ministero.
“Lo Stato”, ha detto in particolare Gualtieri, “è disponibile a coinvestire” con ArcelorMittal e quindi ad “intervenire direttamente”; ciò “per avere un’Ilva forte, che produca tanto, che sia leader mondiale di mercato, che faccia investimenti significativi”.
Aggiungendo poi, rivolgendosi ai sindacati secondo quanto scritto sul sito dell’Ansa, che “la proroga di 10 giorni” chiesta dall’Ad Morselli per presentare il piano industriale “è ragionevole”; e ribadendo che la linea del Governo è quella di “rilanciare Taranto”.
Sempre secondo il sito dell’Ansa, fonti sindacali hanno riferito che, in precedenza, lo stesso Ministro Gualtieri avrebbe detto: “Siamo consapevoli che il Covid ha prodotto rallentamenti e situazioni complicate da gestire, ma pensiamo sia tempo di proseguire sull’accordo di marzo e incoraggiamo l’Azienda a procedere lungo quella strada”.
Insomma, fin qui conferme importanti, anche se senza novità sostanziali. Semmai, è da notare un’altra affermazione preoccupante per i sindacati. Ci riferiamo a quanto riportato da altre fonti, secondo cui Gualtieri avrebbe fatto riferimento a un’Ilva “che abbia 10.700 occupati”. Il che, secondo la Fiom, potrebbe lasciar intendere “l’esclusione dei circa 1.700 lavoratori ancora in Amministrazione straordinaria per i quali, nell’accordo del 2018, esisteva una clausola sociale di salvaguardia”.
A questo punto non resta che aspettare i giorni a cavallo fra la prima e la seconda settimana di giugno, quando ArcelorMittal Italia presenterà il suo nuovo piano industriale. Solo allora si potrà, forse, cominciare a capire se, da allora a novembre, avranno ragione gli ottimisti, ovvero quelli che pensano che ArcelorMittal resterà, oppure i pessimisti. Che, secondo il nostro modo di vedere, sono quelli che temono che ArcelorMittal, in realtà, voglia andarsene da un Paese come il nostro. Ovvero da un Paese in cui non si può dire che il colosso franco-indiano sia stato accolto con tutti gli onori.
@Fernando_Liuzzi