Oggi, nuova puntata della storia infinita dell’Altoforno 2. Stiamo parlando, ovviamente, del grande stabilimento siderurgico di Taranto. E diciamo subito che, per chi tifa per la sopravvivenza dello stabilimento, si tratta di una puntata positiva. Infatti, il Tribunale del Riesame della città ionica ha accolto il ricorso presentato, lo scorso 17 dicembre, dai Commissari straordinari dell’ex-Ilva, e ha quindi cancellato l’obbligo di spegnimento dell’altoforno stesso.
Va anche detto che la decisione del Tribunale è giunta, sostanzialmente, in extremis. Infatti, data la complessità tecnica delle procedure di spegnimento di un altoforno, era stato calcolato che per ottemperare alle precedenti – e opposte – disposizioni del Tribunale tarantino, le manovre di pre-spegnimento avrebbero dovuto intensificarsi proprio a partire dalla metà della settimana in corso.
A leggere questa notizia, si può avere una sensazione di déjà vu. Infatti, la storia dell’Afo 2, come l’altoforno n. 2 viene chiamato nel gergo aziendale, costituisce un capitolo particolarmente voluminoso all’interno della vicenda complessiva dell’ex-Ilva di Taranto.
L’inizio della storia è tragico. Nel giugno del 2015, una fiammata, mista a ghisa incandescente, raggiunse l’operaio Alessandro Morricella mentre quest’ultimo era intento a misurare la temperatura di colata. Morricella, allora trentacinquenne, non sopravvisse all’orribile incidente.
In seguito a questo drammatico avvenimento,la Procuradi Taranto impartì ai Commissari straordinari, che avevano assunto il loro incarico nel gennaio dello stesso anno, delle prescrizioni volte a impedire il ripetersi di simili incidenti, rendendo l’impianto più sicuro.
Inizia così una storia di sequestri e dissequestri.La Magistraturatarantina, infatti, ritenne che i lavori di ammodernamento dell’impianto, fatti eseguire dall’Amministrazione straordinaria, non avessero rispettato in modo soddisfacente le prescrizioni ricevute.
Dopo vari passaggi, si giunse così, nel giugno2019, aun nuovo sequestro, “senza facoltà d’uso”, dell’impianto. Sequestro avverso al quale l’Amministrazione straordinaria presentò uno specifico ricorso.
Bisogna infatti tenere presente che anche se, in base all’accordo del settembre 2018, AM InvestCo ha assunto la gestione del gruppo Ilva, l’Amministrazione straordinaria è ancora proprietaria degli impianti e ne è quindi giuridicamente responsabile. Tale Amministrazione è quindi il soggetto che aveva presentato istanza per la facoltà d’uso dell’Afo 2, onde poter portare a termine i lavori di messa a norma dell’impianto. Il 31 luglio 2019, però, il Giudice del dibattimento, Francesco Maccagnano, respinge l’istanza.
Il 2 settembre successivo, l’Ilva in Amministrazione straordinaria presenta in Tribunale appello, sostenendo che la situazione dell’altoforno era già migliorata rispetto a quella del 2015 e che, comunque, si impegnava, una volta recuperata la facoltà d’uso dell’altoforno, a portare a termine le migliorie ulteriormente richieste.
Venerdì 20 settembre, il Tribunale del Riesame accoglie il ricorso dell’Ilva in Amministrazione straordinaria, scongiurando lo spegnimento dell’altoforno. Tuttavia, lo stesso Tribunale condiziona l’utilizzo dell’impianto all’adempimento delle prescrizioni impartite alla proprietà entro tre mesi. In pratica, entro il 20 dicembre.
A questo punto, però, l’Ilva in Amministrazione straordinaria sostiene che tre mesi non sono assolutamente sufficienti per eseguire i lavori progettati, ma il 10 dicembre il Tribunale non accetta di prorogare il tempo concesso. Pare quindi che lo spegnimento dell’altoforno si profili come un destino ineluttabile.
Il 17 dicembre, l’Ilva presenta quindi un nuovo ricorso contro il rifiuto della proroga richiesta. Il 30 dicembre viene discusso in Tribunale il nuovo ricorso. E oggi, finalmente, è stata resa nota la decisione del Tribunale del Riesame. Una decisione che, da un lato, azzera l’obbligo di spegnimento dell’Afo 2 mentre, dall’altro, prescrive un nuovo dettagliato cronoprogramma per i lavori di ammodernamento e messa in sicurezza dell’altoforno stesso. In pratica, tale cronoprogramma prevede quattro tappe per le varie fasi di tali lavori fissate, rispettivamente, a 6 settimane, 9 mesi, 10 mesi e 14 mesi.
Tutto ciò non significa, ovviamente, che i molti problemi dell’ex-Ilva siano risolti. Significa solo che c’è n’è uno in meno. O meglio, significa che c’è un grosso problema in meno. Infatti, lo spegnimento dell’Afo 2 avrebbe ridotto a due soli gli altiforni attivi presso lo stabilimento di Taranto, riducendone fortemente le capacità produttive. Ma, cosa in prospettiva ancora più importante, toglie dalla scena la spada di Damocle incombente anche su l’Afo 1 e l’Afo 4, ovvero sui due altiforni aventi, secondo la stessa ArcelorMittal, caratteristiche tecniche molto simili all’Afo 2.
Insomma, sgombrato il campo dai rischi di chiusura dell’Afo 2, con le possibili conseguenze da ciò derivanti, tornano in primo piano i problemi strategici dell’ex-Ilva e del rapporto che ha con essa AM InvestCo, il soggetto creato ad hoc per gestirla da parte di ArcelorMittal. In base all’accordo “non vincolante” del 20 dicembre scorso, raggiunto dalla stessa AM InvestCo con i Commissari straordinari dell’Ilva, e quindi con il Governo italiano, restano tre settimane per trovare una soluzione dopo che ArcelorMittal aveva manifestato l’intenzione di recedere dal contratto di affitto di ramo d’azienda finalizzato al suo acquisto.
Stando al testo dell’intesa del 20 dicembre, si tratta di “continuare le trattative riguardanti un piano industriale per Ilva, incluso un investimento azionario da parte di un ente partecipato dal Governo”. Un compito che si presenta come assai complesso rispetto al tempo residuo che, almeno in teoria, scade alla fine di gennaio.
@Fernando_Liuzzi