Per domani, martedì 9 giugno, è attesa un’altra giornata di passione non solo per lo stabilimento siderurgico di Taranto, ma per le sorti dell’intero gruppo siderurgico della Ex Ilva; gruppo che comprende anche gli stabilimenti di Cornigliano, alla periferia di Genova, e di Novi Ligure, in provincia di Alessandria. In mattinata, infatti, è convocato una conference call in cui il Governo incontrerà, nell’ormai consueta forma virtuale, i sindacati dei metalmeccanici che, in questi giorni, hanno chiesto ripetutamente di essere convocati.
L’incontro non si aprirà sotto buoni auspici. Stando alle parole usate, a partire dalla sera di venerdì 5 giugno, sia da vari dirigenti sindacali, sia dal Ministro dello Sviluppo Economico, il pentastellato Stefano Patuanelli, gli osservatori hanno avuto l’impressione che la situazione della Ex Ilva stia degenerando in una sorta di guerra di tutti contro tutti. Il Governo, per bocca dello stesso Patuanelli, molto polemico con ArcelorMittal, il colosso franco-indiano dell’acciaio che indossa, in questa vicenda, i panni dell’azienda acquirente della Ex Ilva. I sindacati polemici col Governo ma, ancor più, con ArcelorMittal. E perfino, nei giorni scorsi, un inatteso scambio di scortesie fra la stessa ArcelorMittal e i Commissari straordinari della Ex Ilva in Amministrazione straordinaria attualmente in carica.
Questi ultimi, infatti, allertati dalla Prefettura di Taranto, che era stata in precedenza sollecitata dai sindacati in merito alla necessità di accertare presunte gravi inadempienze aziendali in materia di conduzione dell’impianto tarantino, con particolare riguardo a questioni di sicurezza ambientale e lavorativa, hanno chiesto ad ArcelorMittal Italia la disponibilità all’effettuazione di una loro ispezione, indicando la data di lunedì 1° giugno. Al che la stessa AM Italia ha osservato che il 1° giugno non andava bene perché in quella giornata, ponte festivo fra la precedente domenica e la successiva festività del 2 giugno, non c’era la possibilità organizzativa di ricevere gli ospiti affinché potessero effettuare la loro ispezione. Gli ispettori, però, si sono presentati lo stesso, senza essere ricevuti. Insomma, una scaramuccia poco produttiva che è, però, sintomatica di un clima in netto peggioramento. Clima di cui fanno parte le esacerbate rimostranze di numerose aziende tarantine, fornitrici di beni e servizi allo stabilimento siderurgico, che lamentano, anche per bocca della locale associazione Confindustriale, le ripetute inadempienze di AM Italia in materia di puntualità nei pagamenti loro destinati.
Venendo a cose più rilevanti, si ricorderà che lunedì 25 maggio si era svolto un incontro in teleconferenza fra Governo, sindacati e AM Italia, il primo del dopo emergenza coronavirus. Nel corso dell’incontro, l’attuale Amministratore delegato dell’azienda acquirente della Ex Ilva, la combattiva Lucia Morselli, aveva annunciato la presentazione di un piano industriale entro una decina di giorni. In un successivo intervento parlamentare, il Ministro Patuanelli aveva poi precisato che la stessa Morselli lo aveva informato che il nuovo piano sarebbe pervenuto al Ministero nella giornata di venerdì 5 giugno. E così è avvenuto, infatti. Solo che, nel caso specifico, si è trattato della serata dello stesso venerdì. Al momento in cui scriviamo, il piano non è stato dunque ancora reso noto dal Ministero stesso.
Ciò dovrebbe avvenire domani, quando, in mattinata, è previsto l’incontro bilaterale fra Governo e sindacati. Un incontro, quindi, non solo ancora virtuale, ma privo di alcuna presenza aziendale.
In assenza di comunicazioni ufficiali, e dato anche che l’azienda acquirente non ha fatto nulla per stemperare l’atmosfera, il nervosismo generale è cresciuto. Oggi si è tenuta a Taranto un’infuocata riunione del Consiglio di fabbrica, mentre i sindacati nazionali Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil hanno proclamato per domani un nuovo sciopero.
Cosa temono i sindacati? E’ presto detto. Temono che il nuovo piano industriale si discosti in maniera significativa dall’accordo del 6 settembre 2018, quello che fu raggiunto fra loro e ArcelorMittal agli inizi del primo Governo Conte, quello che includeva la Lega e in cui Luigi Di Maio reggeva le sorti sia del Ministero dello Sviluppo economico sia di quello del Lavoro.
L’accordo prevedeva la produzione annua, a regime, ovvero entro il 2023, di 8 milioni di tonnellate di acciaio, nonché l’assunzione immediata di oltre 10.000 lavoratori e un’occupazione certa per quelli dei 1.800 lavoratori rimasti ancora a carico dell’Amministrazione straordinaria che, nel 2023, risultassero ancora in forza alla stessa Amministrazione. Inoltre, la rimessa in funzione dell’altoforno 5 e la prosecuzione dei lavori di risanamento ambientale.
A partire da venerdì sera, e con maggior forza nel corso di sabato 6, hanno però preso a rincorrersi voci che, rispetto a ciascuno di questi punti, parlavano di evidenti arretramenti. Non più 8 milioni di tonnellate, ma 6. Non più oltre 10.000 lavoratori, ma parecchi in meno. Niente sicurezza occupazionale per i 1.800 dipendenti ancora in forza all’Amministrazione straordinaria. I lavori sull’altoforno 5 rinviati a data da destinarsi. Rallentamenti nei lavori di ambientalizzazione. Tanto che, intervistato dal TG 1 delle ore 20:00 di sabato 6, il Ministro Patuanelli ha accusato l’azienda acquirente di aver presentato un piano che “non rispecchia neppure l’accordo del 4 marzo”, ovvero l’accordo in base al quale l’azienda stessa aveva ritirato l’iniziativa di recesso dall’accordo di acquisto presentata nell’autunno 2019 al Tribunale di Milano in seguito alla soppressione del famoso scudo penale eretto a difesa dei manager della stessa ArcelorMittal Italia.
Ne sapremo di più domani già forse a fine mattinata, ovvero alla fine dell’incontro “virtuale” fra Governo e sindacati.
@Fernando_Liuzzi