In queste settimane, ma a dire il vero da un po’ di tempo, emergono personaggi che si interrogano sull’essenza dell’italianità. Che cosa contraddistingue l’essere italiano? A dare impulso a questa urgente domanda anche l’attuale governo, forse a volte in modo inconsapevole, che ha molto investito su una nuova definizione dell’identità della Nazione. La sensazione è che l’italianità espressa sino a questo dalla società fosse, nella visione della destra, una versione annacquata, rispetto a quella originale, se non traditrice dei veri valori della Nazione.
E’ ovvio ricordare che dibattiti di questo tipo possono prendere una deriva molto pericolosa. Così la tennista Paola Egonu non ha i tratti somatici tipici dello Stivale. I gay non sono normali, e quindi non rientrano all’interno di una normalità tutta italiota. Se ci si sforza, l’elenco può essere lungo. E allora, in questi tempi complessi, forse vale le pena investigare su che cosa vuol dire essere italiani e, per estensione, su che cosa può fare il bene della Nazione.
Dal mio modesto punto di vista essere italiani vuol dire pagare le tasse, rispettare le leggi, cercare di attuare ogni giorno i valori della Costituzione, festeggiare la festa della Liberazione, non picchiare, stuprare e uccidere le donne. Vuol dire difendere le vittime e non i carnefici di ogni sopruso e violenza, difendere i boschi e le bellezze della Nazione. Non è italiano chi non paga le tasse, anche se maschio, bianco e etero. Non è italiano chi confonde la festa della Liberazione con la festa della libertà, che afferma la nostra Costituzione non sia anti fascista. Non è italiano Non è italiano il mafioso, il camorrista e il ‘ndranghetista. Non è italiano chi allo stadio fa “buuu” ai giocatori di colore. Tornando alle accezioni positive, è italiano chi si ricorda dei propri trisnonni emigrati, chi si ricorda di Sacco e Vanzetti e di quando la nostra italianità era, agli occhi dello straniero, motivo di onta e insito pericolo sociale.
Intanto il mare piange le sue nuove vittime. Una di queste ha cinque mesi.
Qui a Lampedusa, dice il parroco dell’isola, è l’apocalisse.
Tommaso Nutarelli