Devono essere recepite entro il 30 luglio 2020 le nuove disposizioni europee relative al distacco transnazionale dei lavoratori, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale UE a luglio con la direttiva n.2018/957 (modificando quella 96/71/CE).
L’obiettivo di queste modifiche è mettere in sicurezza i lavoratori e garantire tra le imprese una concorrenza leale, senza dumping economico e sociale. La direttiva definisce altri limiti rispetto al distacco transnazionale, fissati a 12 mesi, con possibilità di proroga di 6 mesi; nuove regole relative alla retribuzione dei lavoratori distaccati all’estero e al riposo; maggiore attenzione rispetto alle indennità per spese di viaggio, vitto e alloggio. È importante che per ogni lavoratore distaccato verranno applicate le norme del paese ospitante e i contratti collettivi regionali o settoriali. Nel dettaglio, la nuova direttiva sul distacco transnazionale decretata dal Parlamento europeo il 29 maggio 2018, stabilisce:
salario giusto: i lavoratori distaccati riceveranno una retribuzione conforme alle norme del paese ospitante. Gli stati comunitari dovranno provvedere alla somministrazione di contratti collettivi regionali/settoriali. A tal proposito, nel corso del tempo i paesi membri hanno cominciato a pubblicare su un portale unico tabelle retributive e norme legate al paese ospitante;
durata: come sopra la durata del distacco sarà di massimo 12 mesi, con eventuale proroga di ulteriori 6. Concluso questo periodo, il lavoratore potrà continuare a lavorare nel paese ospitante, ma nel rispetto delle sue condizioni di lavoro;
- regime previdenziale: ci sarà una riduzione da 24 a 12 mesi (con possibile proroga a 18) del regime previdenziale del paese di origine per il lavoratore distaccato, rafforzando il principio di parità di trattamento retributivo;
- riposo: ci saranno regole rigide sui periodi di lavoro, di riposo e sui congedi retribuiti.
Ai paesi comunitari è concesso un periodo massimo di due anni per adeguarsi alle nuove disposizioni e garantirne il rispetto, dopodiché dovranno accertarsi che le imprese distaccatarie assicurino ai lavoratori distaccati le stesse condizioni offerte ai dipendenti interni.
Ma la situazione oggi come è ? In Europa cresce il numero di persone inviate temporaneamente dalle loro imprese a lavorare in un altro stato comunitario: i dati parlano di 2,3 milioni di lavoratori in ‘distacco’ nel 2016, il 50% in più rispetto al 2011.
Una ricerca dell’Università Ca’ Foscari Venezia e svolta sul campo in 9 paesi, tra cui l’Italia, svela come il distacco intracomunitario dei lavoratori copra spesso casi di vero e proprio dumping sociale.
Lo stipendio è quello del paese di origine, ma arriva ad essere del 30% inferiore agli stipendi del paese di destinazione. Il tentativo di abbassare il costo del lavoro attraverso il ricorso al distacco ha portato a una vera e propria esplosione del fenomeno, in particolare nel settore delle costruzioni (45% dei distacchi) e dell’industria (24%) e in alcuni rami dei servizi (29%, in particolare nel trasporto), ovvero in settori in cui il costo del lavoro vivo costituisce una voce importante dei bilanci delle imprese.
Si tratta di un fenomeno rilevante ma poco conosciuto dal grande pubblico e talvolta anche da parti sociali, ispettori e consulenti del lavoro . Nella duplice dinamica di unificazione e segmentazione del mercato mondiale del lavoro, il ‘posting of workers’ si presenta come l’esito della convergenza dei processi di precarizzazione del lavoro e di precarizzazione delle migrazioni. E’ una sorta di migrazione nascosta, con la specificità che i posted workers sono poco radicati e inseriti, invisibili, scarsamente inquadrati nel sistema delle relazioni industriali, in una situazione di debolezza e ricattabilità nei confronti dei datori di lavoro; fruiscono poco dei servizi del territorio, sono poco collegati con i sindacati e le associazioni, non sempre vedono riconosciuti i propri diritti sociali: dalle retribuzioni agli orari di lavoro, dagli infortuni alla previdenza sociale.
Anche in Italia sono stati registrati numerosi casi che confermano il ricorso al distacco come forma di dumping sociale. Ad esempio, il sindacato edili di Milano ha riportato il caso di un’impresa romena, impiegata nell’ambito della catena di subappalti per una importante ristrutturazione che ha impiegato 25 lavoratori romeni per uno stipendio lordo tra 110 e 176 euro a settimana (ovvero 2,75 – 4,4 euro all’ora), ma presentando una busta paga di 2.100 euro al mese.
Chissà se l’attuale ministro del lavoro e dello sviluppo economico, confusamente impreparato, ci metterà mano?
Alessandra Servidori