Nel quartiere romano dell’Eur, all’angolo tra viale dell’Astronomia e viale Tupini, c’è una palazzina che fa parte della sede nazionale di Confindustria e viene utilizzata per ospitare incontri e riunioni. Oggi, sullo schermo elettronico posto su una parete del corridoio al primo piano, si poteva leggere l’elenco degli appuntamenti previsti per la giornata: Federmeccanica – Rinnovamento CCNL. Sala G – H. Inizio ore 9.00.
Ecco, in questa scritta innocente sta tutta la difficoltà della situazione che, al terzo incontro della trattativa in corso, ha assunto contorni ormai netti. Perché la parola chiave, tra quelle apparse sul display, è, evidentemente, rinnovamento. Infatti, non si vuole dire da che mondo è mondo, ma almeno dagli anni Cinquanta, a proposito delle trattative sindacali di categoria, si è sempre parlato di rinnovo del contratto. Ma questa volta Federmeccanica, che ha imposto il proprio lessico anche ai display confindustriali, non vuole più parlare di rinnovo, ma solo di rinnovamento. Cioè di un mutamento della natura e della funzione del contratto nazionale della maggiore categoria dell’industria.
Dopo le parole intercorse nei primi due incontri della trattativa, tenutisi rispettivamente il 5 novembre e il 4 dicembre, il fatto principale di questo terzo incontro è che Federmeccanica e Assistal hanno presentato ai sindacati dei metalmeccanici un testo composto da sette pagine e intitolato, ormai sappiamo perché, “Proposte per il rinnovamento contrattuale per il triennio 2016-2018”.
Questo testo ha due caratteristiche principali. La prima sta nel fatto che, come ha detto il Presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi, il testo costituisce una “proposta organica”, le cui diverse parti “si legano in modo armonioso”. Il tutto allo scopo di assegnare al contratto dei metalmeccanici una duplice funzione: di “garanzia salariale” e di “tutela sociale”.
La seconda caratteristica sta nel fatto che, quando parla di “garanzia salariale”, Federmeccanica pensa a una rivisitazione radicale del contratto che non muta solo il rapporto tra contrattazione nazionale, o di primo livello, e contrattazione aziendale, o di secondo livello, ma anche la funzione del più classico istituto contrattuale, i minimi salariali, e quindi, come si è detto, quella del contratto nazionale in quanto tale.
E veniamo quindi alla parte salariale della proposta presentata oggi dalle due associazioni imprenditoriali di categoria aderenti a Confindustria.
Primo punto. Secondo Federmeccanica e Assistal per tutto il 2016 gli aumenti retributivi derivanti dal contratto nazionale dovranno essere pari a zero. Ciò “al fine di recuperare almeno parte degli importi retributivi” risultanti “dal raffronto tra l’inflazione prevista” dal precedente contratto per il triennio 2013-2015, e quella “consuntivata”, ovvero, quella realmente verificatasi.
Secondo punto. Dal 1° gennaio 2017 “cesserà di operare l’istituto relativo all’elemento perequativo”. In pratica sarà abolito il punto del contratto che stabilisce che ai lavoratori dipendenti da imprese che non effettuano contrattazione di secondo livello tra due rinnovi contrattuali, deve essere corrisposta una cifra che entra nelle loro buste paga come Edr, ovvero come “elemento distinto della retribuzione”. In altri termini, come un importo monetario che, non entrando a far parte della paga oraria di riferimento, non interagisce, come base di calcolo, con altri istituti retributivi (straordinario, lavoro notturno e festivo, ecc.). Peraltro, dopo la cancellazione, l’importo annuo derivante da tale istituto, pari a 485 euro, “sarà inserito”, sempre a partire dal 1° gennaio 2017, nei cosiddetti “minimi di garanzia”, per un importo mensile “pari a 37,31 euro”.
Terzo punto. Qui si comincia con la definizione del concetto di “retribuzione individuale”. La quale consiste nella somma di “tutte le voci retributive fisse e continuative presenti nella busta paga (minimi contrattuali in vigore al 31 dicembre 2015, superminimi individuali e collettivi, aumenti periodici di anzianità”, cui si aggiungono le cifre derivanti dai vecchi “premi di produzione orari e mensili” e gli eventuali “importi retributivi fissi corrisposti con cadenza non mensile”. Il testo specifica poi che dalla retribuzione individuale “restano escluse” le voci retributive “strettamente connesse alla prestazione lavorativa (cottimo, straordinario, maggiorazioni per lavoro notturno, ecc.)”, nonché “i premi di risultato, i premi di presenza” e “i premi incentivanti comunque denominati”.
Quarto punto. Ancora a decorrere dal 1° gennaio 2017, i minimi contrattuali costituiranno il cosiddetto “salario mensile di garanzia inderogabile relativo ad ogni singolo livello dell’inquadramento contrattuale”, assumendo la “funzione di parametro con cui confrontare la retribuzione individuale di ogni lavoratore”.
Quinto punto. Ebbene, qualora “il differenziale tra la retribuzione individuale e il salario di garanzia del livello di inquadramento del lavoratore sia negativo, il relativo importo dovrà essere corrisposto a titolo di ‘Adeguamento salario di garanzia’”.
Sesto punto. La rivalutazione del salario di garanzia avverrà sì “annualmente”, ma solo “ex post”, ovvero applicando ai minimi di ogni livello di inquadramento in vigore al 31 dicembre dell’anno precedente, il tasso annuo di inflazione misurato con l’Indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca), al netto dell’effetto inflativo dei prodotti energetici importati. In pratica, a partire dal 2017, “le parti verificheranno le dinamiche inflative medie” entro il mese di giugno dell’anno in corso, per poter adeguare i minimi di garanzia a partire dal successivo mese di luglio.
Settimo punto. Gli aumenti retributivi veri e propri saranno demandati alla contrattazione aziendale. Peraltro, nel corso del triennio di vigenza contrattuale, e cioè dal 2016 al 2018, le imprese che non effettuano contrattazione di secondo livello “dovranno predisporre, anche unilateralmente, un sistema di salario variabile per obiettivi, destinando a tal fine un valore retributivo pari ad almeno 260 euro annui”. Tale premio “dovrà essere corrisposto per intero al pieno raggiungimento degli obiettivi prefissati”. Qualora, invece, una simile impresa non dovesse introdurre tale elemento retributivo variabile, la stessa cifra andrà destinata “a forme integrative di welfare”.
Ottavo punto. In relazione all’introduzione dei cosiddetti “minimi di garanzia”, Federmeccanica e Assistal propongono anche di procedere alla “ridefinizione e semplificazione dell’attuale sistema di classificazione del personale, risalente al Contratto del 1973”. Ciò allo scopo di rendere tale sistema “più flessibile e aggiornato in relazione ai profondi cambiamenti organizzativi e tecnologici intervenuti ed alle ulteriori evoluzioni connesse a Industry 4.0”.
E’ adesso appena il caso di accennare che rispetto alla “tutela sociale”, l’altra funzione assegnata da Storchi al contratto “rinnovato”, Federmeccanica e Assistal hanno avanzato una serie di proposte volte, da un lato, a irrobustire il cosiddetto welfare aziendale, e, dall’altro, ad effettuare attività di formazione del personale utili sia per le aziende che impiegano tali lavoratori, che per incrementare l’occupabilità dei dipendenti in caso di crisi.
In particolare, per ciò che riguarda la previdenza complementare la proposta imprenditoriale prevede di innalzare la contribuzione di parte aziendale dall’1,6% al 2% della paga base, mentre quella del lavoratore può restare all’1,6% o scendere all’1,2%, senza far parimenti decrescere quella aziendale. Per ciò che riguarda, invece, la sanità integrativa, la proposta imprenditoriale è quella di cancellare il contributo dei lavoratori che volessero accedervi, migliorando le prestazioni ed estendendole al nucleo familiare del lavoratore stesso. Un insieme di ipotesi che, sempre secondo le associazioni confindustriali, andrebbero valorizzate come pari a 351 euro all’anno (156 per la sanità integrativa, 91 per la previdenza complementare e 104 per i costi delle attività di formazione).
Ma torniamo alla parte retributiva delle proposte imprenditoriali, su cui ci siamo sopra dilungati. Non si può negare che il “rinnovamento” immaginato da Federmeccanica e Assistal sia radicale. In primo luogo, infatti, e questa è la sostanza della proposta, la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni dei metalmeccanici è pressoché totalmente demandata alla contrattazione di secondo livello, quella che, in pratica, avviene nelle aziende medio-grandi o nei grandi gruppi.
Per il resto, il contratto nazionale effettuerà un recupero ex-post dell’inflazione già verificatasi qualora si verifichi e, comunque, al netto degli effetti inflattivi delle spese sostenute dal sistema-paese per procurarsi energia. Il che non è tutto. Perché, in realtà, la crescita dei salari nominali sarà determinata dal contratto nazionale solo per quei lavoratori la cui “retribuzione individuale” risulti inferiore a quanto dovrebbe essere l’ammontare del cosiddetto “salario di garanzia” per il livello di classificazione in cui il lavoratore stesso risulta inquadrato.
In pratica, obiettano i sindacati, nel corso del triennio 2016-2018 i ritocchi al salario di garanzia effettuati dal contratto nazionale avranno effetti solo sulle buste paga dei nuovi assunti, cioè dei dipendenti che non potranno ancora aver goduto di nessuno scatto di anzianità.
I sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil dovranno adesso riflettere sulle proposte di parte padronale ed elaborare le loro risposte. Le quali, a occhio e croce, non potranno avere un carattere meno complessivo del testo oggi illustrato da Federmeccanica e Assistal. Prossimo appuntamento, giovedì 21 gennaio.
@Fernando_Liuzzi