E se non tutto il Trump venisse per nuocere? Certo, bisogna avere molta fede. Però, ogni sciagura, dicono i veri ottimisti, nasconde una opportunità. In questo caso, per individuare opportunità, bisogna scavare (molto) fra le iniziative più detestabili del nuovo presidente americano.
Cominciamo dal plateale e mediatico rifiuto dell’ambientalismo e dei paletti all’inquinamento fissati dieci anni fa a Parigi, l’inno ai combustibili fossili e il “drill, baby drill”. La marcia indietro sugli obiettivi “verdi” è una tragedia mondiale, forse non finale, ma che comunque il pianeta pagherà a caro prezzo. E però…E però libera risorse e spazi ad uso altrui.
Quando Joe Biden lanciò il suo Inflation Reduction Act che, in realtà, era la grande svolta ambientalista dell’economia americana, l’iniziativa fu accolta in Europa con entusiasmo. Ma con un retrogusto molto amaro. Le centinaia di miliardi di dollari di incentivi che Biden riversava sulle aziende e sui settori industriali su cui doveva navigare la svolta verde lasciavano il protagonista storico dell’ambientalismo mondiale, l’Unione europea, con la sensazione raggelante di essere stata scavalcata, doppiata, immiserita. La promessa e l’opportunità di cavalcare e guidare la grande transizione ecologica passava dall’altra parte dell’Atlantico, con tutti i benefici (economici) che comportava guidare, governare le tecnologie della transizione e le industrie che la alimentavano.
Be’, non più. L’America di Trump si è chiamata fuori. E, allora, le possibilità sono due. O si pensa che Trump abbia ragione e che questa storia del riscaldamento globale – nonostante incendi e alluvioni – sia una enorme bufala e si debba tornare al buon senso di una volta, riempiendo di benzina il serbatoio dell’auto, di gas la caldaia e dio provveda. Oppure si ragiona che la minaccia del clima è una cosa seria, che la storia spinge verso la scommessa della sostenibilità, che quella di Trump, invece, è solo una momentanea battuta d’arresto e la storia, poi, riprenderà il la sua marcia verso una inevitabile transizione. In questo secondo caso, l’esempio dell’Ira di Biden va ripreso e ampliato, riversando energie e (soprattutto) mezzi e risorse, crediti e incentivi verso una politica industriale che affidi all’Europa il primato tecnologico e industriale della transizione, sia nei prodotti (auto elettriche, pompe di calore, pannelli, eliche) sia nei processi (decarbonizzazione, cattura e sequestro dell’anidride carbonica, aumento di efficienza delle reti). Aprire la borsa della spesa al grido “la storia è con noi!” e non – come avverebbe altrimenti – in appalto esclusivo alla Cina.
La seconda opportunità è finanziaria. Attualmente, quasi il 90 per cento delle transazioni commerciali globali avviene in dollari e in dollari è poco meno del totale di riserve valutarie nel mondo. Le riserve delle banche internazionali in euro superano di poco, invece, il 20 per cento del totale.
Trump agita come una clava, nei suoi discorsi agli altri paesi, questa egemonia del dollaro. I dollari, infatti, vengono stampati negli Stati Uniti e, per procurarseli, tutti, nel mondo, devono avere un conto su una banca americana. Trump può dunque imporre alle banche del suo paese di non avere più rapporti (con l’Iran come con la Danimarca), privando l’altro paese di dollari e mettendolo in ginocchio.
L’eccesso di iattanza dell’inquilino della Casa Bianca può, tuttavia, innescare una ritirata dal dollaro e dal possibile ricatto di Washington. E il porto più sicuro ed efficiente, fuori dal dollaro, è l’euro, già presente nelle riserve, assai più del rembimbi cinese. La statura e il peso internazionale dell’Europa potrebbero moltiplicarsi, approfittando delle mosse scomposte di Trump.
Ma, dopo gli ottimisti, è il turno dei pessimisti, anche di quelli più moderati. E, ai loro occhi, la possibilità che l’una o l’altra opportunità vengano colte è pari esattamente a zero.
Sulla politica ambientale, Trump rappresenta, con più foga, lo spirito che, già oggi, sembra prevalente in Europa, dove la marcia indietro dal Green Deal non è più solo patrimonio della destra radicale e di corporazioni socioeconomiche, ma ha conquistato anche i partiti conservatori. A livello europeo e, ancor più a livello nazionale, Trump troverà soprattutto imitatori, entusiasti della ritirata, anche a costo di svuotare investimenti già fatti. Le istruzioni per il mondo del futuro, si può scommettere, saranno scritte in cinese.
Non troppo diverse le prospettive intorno al dollaro. Al di là degli obiettivi ostacoli di una concorrenza anche diplomatica al dollaro, un ruolo internazionale dell’euro si dovrebbe appoggiare ad un mercato finanziario interno dell’euro meno farraginoso e frammentato di quello attuale. Vuol dire unione bancaria, mercato comune dei capitali, un ampio bacino di titoli di Stato per alimentare i processi della finanza. Tutte riforme ferme da anni nella Ue e ancora più problematiche ora, con il nazionalismo rampante. I tanti sovranisti europei dovrebbero interrogarsi sul significato attuale della parola sovranismo.
Maurizio Ricci