Non succede, ma se succede? Ovvero, se succede che contro tutte le previsioni e tuti i sondaggi il centrodestra non riuscisse a vincere le elezioni. Nel senso che certamente arriverebbe primo ma senza ottenere la maggioranza assoluta dei voti e neanche dei seggi parlamentari. Cosa accadrebbe, si farebbe un altro governo tecnico, Mario Draghi verrebbe richiamato a furor di popolo, oppure si cercherebbero voti di qua e di là in parlamento (magari pescando nel partito di Calenda o in quello di Renzi, entrambi sensibili al richiamo del potere), pur di raggiungere una maggioranza in grado di sostenere il governo? Che ovviamente sarebbe di centrodestra ma certo non sarebbe quell’invincibile armada di cui si parla ormai da mesi. E quindi, chissà quanto durerebbe?
L’ipotesi è attualmente improbabile, tuttavia non è detto che non si verifichi. Anche perché i sondaggi, che non si possono pubblicare, segnalano una progressiva discesa della Lega di Salvini, accompagnata da un’analoga crisi di consensi del partito di Berlusconi, mentre i Fratelli d’Italia non danno segni di cedimento, tutt’altro. Giorgia Meloni non si arresta, i suoi consensi continuano a crescere: ma dove di fermerà: al 25, al 28, al 30 per cento? Domenica notte lo scopriremo così come sapremo se nei prossimi anni saremo governati da questo centrodestra oppure, invece, da qualcos’altro che ancora non è possibile prevedere.
Nell’attesa, occupiamoci dello scenario più probabile al momento. Ovvero che tutti insieme, i tre partiti di centrodestra (anzi di destra) riusciranno a vincere e a formare un governo. Ma anche se così fosse, sarebbero talmente squilibrati i rapporti di forze al loro interno, con Meloni uber alles e gli altri due distaccati di parecchi punti, da far pensare che non sarà semplice per loro governare con tranquillità. Superato l’entusiasmo per la vittoria, risolta la questione della formazione del governo (e qui saranno lacrime e sangue), quanto tempo ci vorrà prima che scoppino scontri nel merito delle scelte: basta pensare al rapporto con la Russia (chissà nel frattempo cosa sarà successo in Ucraina), a quello con l’Europa, che non sarà certamente amichevole per usare un eufemismo, alle decisioni da prendere in politica economica, il gas, le bollette, la disoccupazione che crescerà, la povertà che aumenterà, le tasse che non potranno essere tagliate… Insomma, come sappiamo sarà un periodo durissimo, e ognuno di tre “vincitori” cercherà di imporre la sua ricetta. Che in ogni caso sarà sbagliata, a meno che non avvenga il miracolo, una sorta di folgorazione sulla via del buon senso, quello praticato dal governo in uscita.
E dall’altra parte, cosa succederebbe nel centrosinistra o chiamatelo come vi pare? Molto dipenderebbe da quanti voti prenderebbero il Pd e i suoi piccoli alleati. Ma altrettanto dal risultato dei Cinquestelle, i quali a sorpresa sembrerebbero in crescita, parecchio in crescita soprattutto al sud. Si diceva che il Partito di Giuseppe Conte era ormai uno zombie, un morto che cammina. Invece pare che corra e pure veloce. Sarà populismo o pauperismo, sarà demagogia, saranno le promesse che l’ex premier sbandiera nei suoi comizi sempre più affollati di gente che ci crede. Sarà quel che sarà, ma quel Movimento non è morto e rischia di essere un grosso problema per Enrico Letta che ha rifiutato qualsiasi accordo in nome del governo Draghi dopo il voto di non fiducia dei Cinquestelle. Ma siccome la politica è l’arte del possibile, e di solito non guarda indietro, è evidente che Letta e Conte, insieme a Bersani, Speranza, Fratoianni, Bonelli, Bonino e gli altri pezzi sparsi dei progressisti, dovranno trovare un modus vivendi nel prossimo Parlamento.
Che significa una seria e unita opposizione a quello che nelle nostre ottimistiche previsioni sarà un precario governo della destra: sarebbe l’unica strada per resuscitare un centrosinistra in grave crisi di identità e soprattutto per cercare di mettere in crisi la futura maggioranza. Magari pensando alle elezioni successive, che potrebbero arrivare molto prima della fine della prossima legislatura. Cinque anni di governo Meloni-Salvini-Berlusconi proprio non ce li vedo, ma forse questo è solo l’ottimismo della volontà di gramsciana memoria. L’alternativa, sempre restando al pensiero del fondatore del Partito comunista, è il pessimismo della ragione. Chissà quale dei due Gramsci vincerà la partita politica che comincia un secolo dopo di lui?
Riccardo Barenghi