Che fare? Era un libro scritto da Lenin nel 1902, in cui il leader bolscevico e poi capo della rivoluzione d’ottobre nonché primo presidente dell’Urss, spiegava cosa avrebbero dovuto fare la classe dei proletari e chi voleva dirigerla per rovesciare il regime zarista e dar vita al primo Stato socialista (anzi, comunista) al mondo. Ci vollero 15 anni per raggiungere quell’obiettivo, che poi in poco tempo degenerò nella dittatura stalinista che, pur garantendo lavoro, istruzione e sanità gratis per tutti, non ebbe un grande successo. Soprattutto per il popolo russo, privato delle libertà fondamentali come quella di pensiero, di espressione, di stampa, di dissenso, di organizzarsi in partiti o comunità diverse e magari alternative al partito unico, cioè il Pcus. In una parola, la democrazia.
Noi che invece la democrazia ce l’abbiamo per fortuna, e difficilmente Giorgia Meloni e Matteo Salvini riusciranno ad abolirla, malgrado i tentativi che faranno e qualche restrizione che metteranno in campo soprattutto sui diritti civili e forse pure su quelli sociali, che faremo? Certo non possiamo pensare di copiare i precetti leninisti di 120 anni fa, certo è totalmente infondata l’ipotesi di una rivoluzione oggi o domani in Italia, figuriamoci la presa del Palazzo d’Inverno (Quirinale o Chigi che sia).
Il proletariato come classe non esiste più da tempo, e ormai manco vota a sinistra (almeno in maggioranza). La sinistra che esiste continua a sopravvivere per pura forza d’inerzia, senza un’idea, un programma, non parliamo di un progetto, senza niente che non sia la banalità che è meglio – o meno peggio – questa sinistra della destra. E infatti il risultato si è visto: una sconfitta storica del Partito democratico di Enrico Letta (ormai in via d’uscita). Una decente ma sterile affermazione del Partito di Giuseppe Conte, che furbescamente ha scommesso tutto su chi sta peggio, togliendo parecchi voti potenziali al Partito democratico (che poi questi nuovi Cinquestelle siano di sinistra nel vero senso della parola è ancora tutto da dimostrare). Un risultato mediocre di quelli che avrebbero dovuto essere di centrosinistra ma che si sono rivelati molto di centro e che non vedono l’ora di accordarsi col nuovo potere (Renzi e Calenda). Infine, piccole formazioni politiche che sono entrate in Parlamento per un pelo o non sono entrate affatto.
Ecco allora che ritorna la domanda di Lenin: che fare? L’unica risposta possibile è ricostruire. Ricominciare quasi da zero, in termini di idee da proporre a coloro che si vorrebbe tornassero ad essere non solo elettori, ma anche e soprattutto partecipanti al progetto che dovrebbe essere messo in campo. Un tempo si chiamavano militanti, oggi non importa il nome bensì il ruolo. Esistono in Italia milioni di persone che pensano di essere di sinistra ma che non trovano qualcuno in grado di rappresentarli tra i partiti vigenti (e che infatti si astengono). Possibile che nessuno di questi partiti sia capace di proporsi come il centro di gravità che attragga tutte questa gente, magari insieme ad altri, ovvero gli stessi che avrebbero dovuto dare vita a quel Campo largo ipotizzato da Letta e miseramente naufragato grazie ai grossolani errori dello stesso Letta e degli altri eventuali alleati?
Purtroppo non solo è possibile, ma al momento è realtà, triste e solitaria realtà (e Osvaldo Soriano ci perdonerà la citazione impropria di un suo splendido libro). Ma la storia non finisce qui, non finisce mai. Può sempre rinascere dalle sue ceneri, basterebbe un po’ di volontà politica, basterebbe smettere di guardare ognuno nel suo piccolo e malandato orticello, basterebbe insomma cominciare insieme la nuova avventura. Che si chiama opposizione. E che ovviamente non ti regala niente, non ti gratifica di risultati immediati, ti costringe a combattere e a soffrire senza potere. E’ durissimo anche immaginarlo per chi, ad esempio il Pd, è nato e cresciuto (cresciuto si fa per dire) con in testa una sola idea: il governo. Dove infatti è riuscito a stare senza aver mai vinto un’elezione, dove il suo ceto politico ha prosperato senza grandi meriti, dove è riuscito a mantenere quel piccolo consenso che si trascina sempre uguale ormai da anni.
Eppure è l’unica strada che quel che resta della sinistra può provare a percorrere. Cantava Giorgio Gaber: “C’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza…”.
Riccardo Barenghi