Tutto è bene ciò che finisce bene. Così recita, un vecchio adagio. Che ieri sarà forse venuto in mente al segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, e all’ormai ex segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, quando, poco prima delle 17.00, il Presidente del Comitato direttivo della stessa Cgil, Morena Piccinini, ha letto i risultati della votazione appena conclusasi. Votazione con cui Landini è stato eletto, dall’Assemblea generale Cgil, nella segreteria della maggior confederazione sindacale italiana.
Che Landini stesse per entrare a far parte della segreteria confederale della Cgil era, da giorni, cosa nota. Di più: era considerata come cosa imminente da quando la confederazione di Corso d’Italia aveva annunciato di aver convocato, a Roma, la propria Assemblea generale per le giornate di lunedì 10 e martedì 11 luglio.
L’Assemblea generale è un organismo costituito tre anni fa su decisione del più recente Congresso della Cgil. Esso è costituito da tutti i membri del Comitato direttivo, più un numero di membri pari a quelli dello stesso Comitato. E in questo secondo caso si tratta, in larga parte, non di funzionari sindacali, ma di delegati eletti nei luoghi di lavoro. Totale: 329 aventi diritto al voto.
Ora bisogna tener presente che l’ingresso di Landini nella segreteria Cgil era largamente atteso per due motivi. Primo, perché tale ingresso era favorito da una proposta che veniva dalla segreteria confederale e, in particolare, da Susanna Camusso. In sostanza, anche se Landini, nei sette anni in cui è stato alla guida della Fiom, ha avuto talvolta un ruolo di oppositore rispetto alle linee prescelte e seguite da Camusso, adesso ci si trovava di fronte a una proposta che aveva, nei termini della vita interna alla Cgil, un carattere ampiamente unitario, essendo volta, appunto, a ricomporre precedenti divergenze. In secondo luogo, va tenuto presente che Landini era pronto a entrare nella segreteria Cgil sull’onda del successo ottenuto, nel novembre scorso, quando è riuscito a firmare con la Federmeccanica un contratto dei metalmeccanici che vedeva l’auspicata ricomposizione delle fratture che avevano tenuto a lungo la stessa Fiom separata e lontana dagli altri due sindacati confederali della categoria, ovvero da Fim-Cisl e Uilm-Uil.
Tutto chiaro, dunque. Solo che, come vedremo, giunto a pochi metri dal traguardo Landini ha corso il rischio di fare la fine del mitico Dorando Petri.
Intorno alle 15:30 di ieri, al termine del dibattito, e subito prima dell’intervento conclusivo della stessa Camusso, Morena Piccinini ha infatti annunciato ufficialmente i risultati della votazione sulla proposta avanzata dalla segreteria; una votazione avvenuta, come sempre in questi casi, a voto segreto. Ebbene, presenti nelle due giornate, 215. Votanti 214. Sì alla proposta di elezione di Landini, 184. E qui è scoppiato l’applauso. Ma subito dopo Angelo Pozzi, un seguace della minoranza di estrema sinistra che si fregia del nome di “Il sindacato è un’altra cosa”, ha chiesto la parola e ha fatto notare che, in base allo Statuto vigente, affinché l’elezione di uno o più segretari confederali sia valida occorre che al voto abbiano partecipato almeno due terzi degli aventi diritto. In pratica, nel nostro caso, 220 votanti rispetto, come si è detto, a 329 aventi diritto. Ma 214, ahimé, è evidentemente una cifra inferiore a 220.
Sconcerto in sala, ovvero nel salone posto al piano seminterrato del Centro congressi di via dei Frentani, ove si stava svolgendo la riunione. A questo punto ha preso la parola Susanna Camusso che, con tono risoluto, ha detto che bisognava ripetere la votazione. Cosa possibile nell’immediato perché, come ha spiegato Morena Piccinini, la seconda votazione non implicava nessun quorum per essere valida.
Il voto è stato dunque ripetuto. Al secondo appello, si sono presentati alle urne 174 delegati dell’Assemblea (una quarantina, nel frattempo, erano già partiti). Sì all’elezione di Landini, 166. No, 7. Astenuti, 1. Applauso due volte liberatorio.
Liberatorio, in primo luogo, perché le voci di dentro della Cgil, interrogate dal Diario del lavoro, escludono che i 6 voti mancanti per raggoiungere il quorum nella prima votazione siano frutto di un agguato orchestrato da eventuali oppositori dell’elezione di Landini. Interpretando le assenze con la difficoltà incontrata da quadri periferici impegnati in vertenze aziendali o territoriali, o trattenuti da altri compiti organizzativi, a partecipare a una riunione il cui esito appariva, peraltro, scontato. Liberatorio, soprattutto, perché, con l’elezione di Landini, Susanna Camusso, e quindi la maggioranza che la segue, ha condotto in porto un’operazione perseguita con determinazione da tempo e cioè, come minimo, dai mesi in cui fu impostato il lavoro preparatorio del Congresso del 2014, ovvero dalla seconda metà del 2013. Operazione volta, come si è detto, a ricostituire l’unità se non di tutto il gruppo dirigente della Cgil, almeno della sua stragrande maggioranza.
A 55 anni di età, Maurizio Landini entra dunque nella segreteria confederale della Cgil dopo aver guidato la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici Cgil, per 7, difficili anni (fu infatti eletto alla carica di Segretario generale il 1° giugno del 2010). A lui è stato consentito quel passaggio dal vertice della Fiom alla segreteria della Cgil che è riuscito solo ad alcuni dei suoi predecessori. E’ cioè riuscito a Luciano Lama, Piero Boni, Bruno Trentin e Angelo Airoldi, ma non a Pio Galli, né a Claudio Sabattini o a Gianni Rinaldini. Diversi i casi di Sergio Garavini e di Fausto Vigevani, che arrivarono al vertice della Fiom a fine carriera, quando avevano già fatto l’esperienza della segreteria Cgil.
Nato a Castelnovo ne’ Monti, in provincia di Reggio Emilia, il 7 agosto del 1961, Landini è stato operaio metalmeccanico e poi sindacalista Fiom, prima nella sua provincia e poi in quella di Bologna, nonché segretario generale della Fiom regionale dell’Emilia-Romagna. Nel 2005 è entrato a far parte della Segreteria nazionale della stessa Fiom con l’incarico di responsabile del settore degli elettrodomestici e poi dell’Ufficio sindacale, quello che segue gli aspetti “orizzontali”, ovvero non settoriali, delle vertenze, a partire da quella per il contratto nazionale.
Tutta la prima parte della carriera sindacale di Landini si è svolta quindi sotto il segno di quella che possiamo definire come la “filiera emiliana”, ovvero una linea radicale di pensiero e di azione sindacali innescata dal bolognese Claudio Sabattini, segretario generale Fiom dal 1994 al 2002, e proseguita poi dal reggiano Gianni Rinaldini, che gli subentrò nella carica dal 2002 fino al 2010.
Ciò che ha portato poi Landini a una rapida fama mediatica è stato lo scontro frontale con Sergio Marchionne, ovvero con il manager che era a capo di quell’azienda che, allora, si chiamava ancora Fiat e poi, proprio per impulso decisivo dello stesso Marchionne, è divenuta Fca.
Ma torniamo agli eventi di ieri. Dopo la seconda votazione e un ampio intervento conclusivo di Susanna Camusso, i cronisti presenti vengono finalmente ammessi nella sala dove si è svolta l’assemblea e circondano un sorridente Landini. Cosa farà adesso nella Cgil? “Bisogna ricostruire l’unità del mondo del lavoro”, risponde il neo-segretario confederale. “Un mondo del lavoro che non è stato forse mai così frammentato”, prosegue Landini. E poi aggiunge: “E si tenga presente che quando dico questo non mi riferisco solo al lavoro dipendente, ma anche al lavoro autonomo”.
E la ‘Coalizione sociale’ da lui lanciata nel 2015 che fine ha fatto, incalza una cronista d’agenzia. E un altro insiste: come si pone oggi Landini di fronte alle divisioni che lacerano la sinistra politica? “Io sono un sindacalista – replica Landini – e non mi occupo dell’unità della sinistra. Quello che mi interessa è costruire un’unità sociale attorno ai temi del lavoro. Nel 1970, quando fu approvato dal parlamento, lo Statuto dei diritti dei lavoratori fu votato da gran parte dello schieramento politico, compresi partiti di centro. In anni assai più recenti, invece, la sinistra ha votato il Jobs Act. Ecco, io credo che oggi si debba lottare per cancellare il Jobs Act e conquistare nuovi diritti per il mondo del lavoro.” Insomma, per citare una celebre battuta di De Gaulle, quello a cui pensa il neo segretario della Cgil è, come minimo, un “vasto programma”.
@Fernando_Liuzzi