Pochi hanno dubbi su chi siano le vere vittime della crisi attuale: i giovani, la generazione perduta, destinata, forse, a non lavorare mai. Le cifre dell’Unione europea disegnano un disastro: fra i 15 e i 24 anni, il tasso di disoccupazione, in Europa, è intorno al 24 per cento, in Italia al 40, in Spagna e in Grecia vicino al 60 per cento. Sono i giovani, dunque, l’epicentro della catastrofe? Sì, in particolare in Italia, ma non sono quelli i numeri giusti per capirlo. Non è vero, insomma, che in Italia 4 giovani su 10 sono disoccupati. Almeno, non nel senso proprio del termine.
Le statistiche, infatti, riferiscono il tasso di disoccupazione al numero di giovani senza impiego, che lo stiano attivamente cercando. Ma, al di sotto dei vent’anni, nelle economie occidentali, i giovani, normalmente, stanno a scuola, non in cerca di lavoro. Gli economisti calcolano che solo il 10 per cento dei giovanissimi greci, ad esempio, stia attivamente cercando un lavoro. Se il 60 per cento di questi non lo trova, significa che il 6 per cento del totale dei greci al di sotto dei 20 anni è, effettivamente disoccupato. Anche se in modo meno vistoso, lo stesso discorso vale, in buona misura, anche per i giovani fra i 20 e i 24 anni, spesso (e per fortuna) ancora impegnati negli studi.
Assai più utile, dunque, guardare ai dati sui Neet – i giovani lontani sia dal mercato del lavoro, sia da qualsiasi tipo di formazione, scolastica o meno: quelli che hanno rinunciato o, quanto meno, il mondo si sta lasciando indietro. I dati sono meno vistosi di quelli sulla disoccupazione, ma più significativi. Nell’eurozona, i giovani Neet fra i 15 e i 24 anni sono passati dal 10,8 per cento dei loro coetanei nel 2007 (prima cioè della crisi) al 13,2 per cento nel 2012. Ma nei paesi deboli lo sbalzo è stato di gran lunga superiore. In Spagna, i giovani che hanno gettato la spugna sono aumentati di oltre la metà, dal 12,2 al 18,8 per cento. In Italia, sono saliti dal 16 al 21 per cento: un giovane italiano su cinque non fa, semplicemente, nulla. E’ una cifra spaventosa. In tutta l’Unione europea, nessuno ha più giovani fermi a casa di quanti ne abbiamo noi, fatta eccezione per la Bulgaria. Anche la Grecia ne ha di meno. Eppure, se si guarda alla classifica che dà un’altra serie di dati, quelli sul numero di giovani occupati, rispetto al totale dei loro coetanei, si vede che i giovani greci e spagnoli sono stati espulsi dal mercato del lavoro, in misura maggiore degli italiani. In altre parole, a dare il record dei Neet all’Italia sono sopratutto i giovani che hanno finito o abbandonato gli studi, senza affacciarsi sul mercato del lavoro: la generazione “bandiera bianca” è un fenomeno squisitamente italiano.
E, peraltro, non nuovo. La crisi ha sicuramente inasprito la fuga dei giovani, ma tutti i dati (dai disoccupati agli occupati, ai Neet) mostrano che l’esclusione, per i 15-24enni, nasce, in Italia, prima della crisi e non è un effetto della recessione, ma, anzitutto, dei meccanismi strutturali dell’economia italiana. Fra il 2003 e il 2007, prima, dunque, della grande crisi finanziaria, i Neet italiani oscillavano già fra il 16 e il 17 per cento dei loro coetanei. Sopra questa quota, in Europa, solo i bulgari. Da questo punto di vista, per tornare ai dati sui senza lavoro, il dato veramente negativo non è che in Italia, il tasso di disoccupazione giovanile sia tre volte quello generale, con una differenza assai più marcata di quanto accada, ad esempio, in Francia e in Spagna. Il dato veramente negativo è che era già tre volte quello generale nel 2007. Non saranno la fine della recessione e la ripresa a ridare speranza ai giovani.
Maurizio Ricci