Ci mancava solo il plurimiliardario Elon Musk. Ci mancava solo lui per completare il quadro mondiale in cui siamo costretti a vivere. Con Meloni e Salvini in Italia, con Trump negli Usa, con Orban e i sovranisti dell’est in Europa e Putin lì a due passi, con Netanyahu in Israele, Hamas e Hezbollah da quelle parti, con Khamenei in Iran, Kim Jong-un in Corea del nord, Milei in Argentina, e con tanti altri dittatori o aspiranti tali sparsi per il mondo. Ma ora è arrivato pure lui, amico intimo e consigliere del Presidente eletto negli Stati uniti, che partecipa alle sue telefonate, che interviene nella politica di altri Paesi che evidentemente considera roba sua come fossero Tesla, X o altre sue proprietà. L’ultima di Musk, appena nominato da Trump a capo del nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa, è la sua dichiarazione di martedì scorso contro i giudici italiani, “che se ne devono andare”. Per il semplice motivo che hanno bocciato per la seconda volta il decreto del governo che consentiva la deportazione dei migranti in Albania in attesa di rispedirli nei loro Paesi di origine che la nostra premier considera sicuri ma l’Europa no. Purtroppo per lei e per il suo alleato leghista, la normativa europea prevale sulla legge italiana, dunque quei poveri disgraziati arrivati su barconi in Italia e portati dall’altra parte dell’Adriatico a bordo di navi militari, devono tornare nel nostro Paese e aspettare qui nuovi ordini.
Ovviamente, la decisione dei giudici ha scatenato violente polemiche da parte dei nostri governanti, a cominciare da Meloni e Salvini e a finire con l’intervento, anzi con l’ingerenza a gamba tesa di Musk. Col quale naturalmente il capo della Lega si è dichiarato subito d’accordo. Dunque quei magistrati “se ne devono andare”… Ma dove dovrebbero andare e soprattutto chi decide se un magistrato deve lasciare il suo incarico? Non certo il governo e tanto meno uno straniero che, per quanto sia ricco e potente, non ha alcuna legittimazione popolare, elettorale e democratica. Come ha sottolineato Sergio Mattarella, con una dichiarazione che non lascia dubbi: “l’Italia sa badare a se stessa, nel rispetto della sua costituzione”.
Ma non importa, ormai tutto fa brodo per la nostra destra, da Musk ai giovani fascisti che manifestano a Bologna con corredo dei loro simboli e dagli immancabili saluti romani. Non si butta niente, purché faccia comodo alla “propaganda live” di chi ci governa. Dunque vanno benissimo i fascisti in piazza mentre chi protesta viene caricato dalla polizia e insultato dal vicepremier a colpi di “zecche comuniste”. Per non parlare della premier che attacca violentemente il sindaco bolognese che si era permesso di attaccare quelli “ che ci mandano in città trecento camicie nere”. Una città che i fascisti li conosce bene, e non solo quelli del Ventennio ma anche quelli che il 2 agosto del 1980 piazzarono una bomba alla stazione centrale provocando la morte di 85 persone.
Mala tempora currunt, eccome se currunt. Purtroppo non è che si vedano alternative all’orizzonte. Magari, forse, la sinistra riuscirà a vincere le elezioni di domenica prossima in Umbria e in Emilia Romagna, ma pure se così fosse (e in Umbria non è affatto scontato, in Emilia invece dovrebbe esserlo ma chissà), non sarà questo risultato a cambiare le sorti né dell’Italia né di un mondo che va dalla parte opposta.
E allora, che fare?, direbbe Lenin. Lui però il punto interrogativo non l’aveva messo nel titolo del suo famoso libro, sapeva benissimo cosa si doveva fare e lo fece: cioè la rivoluzione. Che poi degenerò in un regime dispotico, stalinista e illiberale, lo sappiamo: ma questa è un’altra storia. Invece la storia che ci riguarda non contempla rivoluzioni socialiste e o di sinistra, semmai un lento ma incessante lavoro di ricostruzione del rapporto che una volta legava i ceti, anzi le classi sociali più deboli alla sinistra. Che oggi votano a destra oppure non votano. Ecco, questo è il problema direbbe Amleto: che fare per convincere queste persone a tornare nel luogo politico in cui sono state per decenni? Il compito di Elly Schlein, di tutto il Pd e dei suoi alleati di oggi e di domani non è dunque semplice, tutt’altro. Le parole d’ordine della destra sono tanto semplici quanto efficaci, dagli immigrati che infastidiscono i cittadini delle nostre periferie, e che quindi vanno rimandati a casa loro passando per l’Albania, alle tasse che sono troppe e troppo alte e via elencando tutte le promesse demagogiche fatte in campagna elettorale ma impossibili da mantenere. E non basta la sanità ridotta a pezzi e giustamente denunciata dalla leader del Partito democratico per invertire la tendenza: evidentemente serve qualcosa di più e di diverso, servirebbe un paziente e faticoso lavoro per capire cosa pensano e di cosa hanno bisogno i cittadini meno agiati e meno garantiti. Magari ci vorrà qualche anno, ma forse alla fine ne sarà valsa la pena.
Riccardo Barenghi