L’azienda preannuncia alle maestranze la necessità di dover procedere ad un licenziamento collettivo ma può rinunciare a questa procedura nel caso in cui le maestranze avessero accettato una riduzione momentanea della retribuzione mensile nella misura del 20% dell’imponibile fiscale. L’accordo doveva essere sottoscritto con modalità non più impugnabili nelle forme indicate dal codice di procedura civile agli articoli 410 e 411.
I lavoratori hanno accettato la proposta del datore di lavoro e hanno sottoscritto in azienda un verbale che hanno definito come atto di conciliazione con l’assistenza di una sola delle organizzazioni sindacali dei lavoratori.
Ma uno dei lavoratori successivamente ha impugnato l’accordo, ritenendo illegittima la riduzione della sua retribuzione, chiedendo di riavere in pagamento tutte le somme che il datore di lavoro aveva trattenuto in esecuzione dell’accordo. Il tribunale e la Corte di Appello hanno accolto la domanda. In particolare, la Corte di Appello ha ritenuto che l’accordo era stato sottoscritto alla presenza di un solo rappresentante sindacale presso i locali dell’azienda ma che non era stato ratificato presso una delle sedi protette abilitate a raccogliere per legge la volontà in modo inoppugnabile.
L’azienda ha proposto ricorso in Cassazione adducendo come erronea la decisione della Corte di Appello per aver giudicato invalida la conciliazione sottoscritta dalle parti. Per l’azienda l’accordo era valido perché nell’occasione il lavoratore aveva avuto una affettiva assistenza in sede di conciliazione da parte del rappresentante sindacale cui lo stesso aveva conferito mandato. L’azienda così ha sostenuto che soltanto l’assenza di un’effettiva assistenza sindacale può determinare l’invalidità dell’accordo conciliativo e non il luogo dove è stato sottoscritto. Il verbale di conciliazione, così come sottoscritto, per l’azienda corrisponde ai canoni giuridici previsti dagli artt. 410 e 411 c.p.c.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso perché quella tipologia di accordo sindacale non corrisponde agli accordi sindacali sottoscritti in sede protetta prevista dai richiamati articoli e non più impugnabili.
Il ricorso è stato respinto con questa motivazione che, per il suo interesse, riportiamo interamente:
” L’art. 2113 c.c., al primo comma, definisce non valide le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile. Il quarto comma esclude il divieto, e quindi legittima le rinunzie e transazioni ove siano oggetto di conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile”.
Il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di “protezione” del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo. Tale forma di protezione giuridica è non necessaria (art. 2113, ultimo comma c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette. Le disposizioni richiamate dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. individuano quali sedi cd. protette, la sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), le commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 ter e quater c.p.c.).
L’accordo conciliativo tra le parti in causa (integralmente trascritto alle pp. 4 e 5 del ricorso per Cassazione) è stato concluso ai sensi degli “artt. 410 e 411 c.p.c. e 2113, 4° comma, cod. civ.”, come si legge nell’intestazione, e reca la precisazione che lo stesso è da “ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate agli artt. 410 e 411 c.p.c.” (v. ricorso p. 5, secondo cpv.).
È pacifico che tale adempimento non sia mai avvenuto e che l’accordo in esame è stato sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore, alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società.
Tali modalità non soddisfano i requisiti normativamente previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni in base alle disposizioni richiamate e correttamente la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dell’accordo in esame.
Nel sistema normativo sopra descritto, la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere.
Le citate disposizioni del codice di procedura civile individuano infatti non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire, come emerge in modo inequivoco dal tenore letterale delle stesse. L’art. 410 prevede che il tentativo di conciliazione possa avvenire “presso la commissione di conciliazione” e l’art. 411, terzo comma, fa riferimento alla conciliazione “in sede sindacale”.
L’assistenza prestata da rappresentanti sindacali (esponenti della organizzazione sindacale cui appartiene il lavoratore o, comunque, dal medesimo indicati, v. Cass. n. 4730 d 2002; n. 12858 del 2003; n. 13217 del 2008) deve essere effettiva e ha lo scopo di porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in che misura così da consentire l’espressione di un consenso informato e consapevole.
I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza della controparte datoriale (non depone in senso contrario Cass. n. 1975 del 2024, concernente una conciliazione ai sensi dell’art. 412 ter c.p.c.).
Le considerazioni svolte conducono al rigetto del ricorso principale, dovendosi ribadire che la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore. ” Cassazione civile sez. lav. – 15/04/2024, n. 10065.
Nella pratica quotidiana è invalsa la comoda e pia illusione che basti solo un oscuro e compiacente funzionario sindacale per far rinunciare il lavoratore ai diritti inderogabili che sono rinunciabili, invece, solo con procedure ben più complesse e di garanzia, come ha affermato la Corte di Cassazione in questa sentenza. Il sistema di garanzie giuridiche delineato dalla Corte di Cassazione rappresenta un punto centrale e determinante del diritto del lavoro. Senza questo sistema di garanzie, non esisterebbe nemmeno il diritto del lavoro.
Biagio Cartillone