La proposta di bilancio presentata dalla Commissione Europea per il periodo 2021-2027 ha suscitato non poche reazioni da parte dell’opinione pubblica. Se da una parte l’Europa mette nero su bianco un maggior impegno per far fronte all’innovazione tecnologica, ai cambiamenti nel mondo del lavoro e alle politiche destinate ai giovani, dall’altra a far storcere il naso ci sono i tagli alla politica agricola comunitaria e al fondo di coesione. Altro passaggio cruciale l’aumento dei fondi destinati all’immigrazione, molto contestato da una parte della compagine politica. Anche il sindacato ha voluto dire la sua. Cgil, Cisl e Uil hanno inviato un documento unitario alla Commissione, indicando gli aspetti nei quali l’impegno europeo non è all’altezza delle sfide globali. Ne abbiamo parlato con Fausto Durante, responsabile delle politiche internazionale ed europee della Cgil.
Qual è la vostra valutazione rispetto all’ultimo bilancio presentato dalla Commissione Europea?
La valutazione fatta dai sindacati non è, nel complesso, positiva. Ci sono dei punti, come l’immigrazione, la gestione dell’innovazione tecnologica, i cambiamenti nel mercato del lavoro e le politiche giovanili, nei quali si può apprezzare uno sforzo maggiore, anche se i fondi messi a disposizione risultano comunque insufficienti, visto l’ampiezza e la complessità delle questioni. Altri aspetti, invece, sono stati fortemente trascurati. È mancata, da parte dei singoli stati, l’assunzione di responsabilità e la volontà di sostenere con più decisione le politiche europee, e questo genera una colossale contraddizione. Da una parte si chiede una presenza maggiore dell’Europa, ma poi i paesi si tirano indietro quando c’è bisogno di sostenerla, anche sul versante finanziario. Inoltre, dopo la Brexit, i 27 avrebbero dovuto farsi carico del mancato gettito, cosa che non è avvenuta.
In quali aspetti, secondo i sindacati, è deficitaria l’Unione Europea?
Cgil, Cisl e Uil, di concerto con la confederazione dei sindacati europei, hanno ribadito più volte la necessità di dar vita a una politica fiscale ed economica comune, ripensando totalmente il modello di governance delle istituzioni europee. L’Unione costituisce uno dei principali generatori di ricchezza al livello globale, e può veramente essere un player di primo piano negli scenari politico-economici mondiali. Tuttavia, questa sua forza viene ridimensionata dal fatto che ci sono 27 politiche economiche e fiscali diverse. Non è possibile pensare che le uniche istituzioni che si muovono veramente all’unisono si attivino solo in situazioni di emergenza, come il fondo salva-stati. Ecco perché sarebbe auspicabile avere un ministro delle finanze e dello sviluppo comuni, per poter dar vita a piani di ripresa occupazionali collegiali.
Nel documento che avete inviato alla Commissione Europea, quali sono le vostre rivendicazioni?
Nel testo presentato alla Commissione Europea, si richiede un maggior coinvolgimento delle parti sociali. Infatti, molto spesso, veniamo consultati nella fase ultima del processo decisionale. O si dà importanza e valore al dialogo sociale europeo, oppure saremo condannati a gestire solo sul piano nazionale le decisioni prese altrove. Senza una partecipazione attiva delle forze sociali, verrà meno il valore del lavoro come fattore di ricchezza e coesione. Altre due questioni di primo piano riguardano la politica agricola comune e il fondo di coesione. Entrambi fortemente ridimensionati e sottoposti a pesanti tagli.
Due decisioni molto criticate in Italia, assieme alla scelta di aumentare le risorse per la gestione dei flussi migratori, soprattutto da certa parte del mondo politico. Cosa ne pensa?
L’immigrazione è un tema complesso e spinoso. I sindacati hanno più volte invocato una presenza maggiore dell’Europa su questo aspetto, perché si tratta di una dinamica che i singoli stati non riescono a gestire da soli. Basti pensare agli sforzi messi in campo dai paesi del Mediterraneo, come l’Italia e la Grecia. Le risorse destinate non sono mai state sufficienti e non c’è stata solidarietà da parte degli altri membri nei confronti di quelli interessati in prima linea. Con queste premesse era impensabile che l’Europa non incrementasse le risorse. E siamo anche conviti che se non lo avesse fatto, si sarebbero rafforzate tutte le istanze di quelle forze populiste e di destra, che cercano di difendere una sorta di purezza europea. Tagliare i fondi destinati all’immigrazione o quelli per la coesione sociale, certamente non farà cessare i flussi e non migliorerà la condizione delle aree più depresse. Un maggiore impegno dell’Europa, l’attuazione di una politica migratoria comune, certamente ridurranno l’insorgere di tensioni sociali.
Quindi le forze di destra che vorrebbero bloccare l’immigrazione e criticano l’aumento dei fondi comunitari compiono un clamoroso autogol.
Non vi è dubbio che con meno risorse avremmo molta più difficoltà nella gestione del fenomeno. Le critiche che molte forze politiche avanzano alle politiche europee si basa no esclusivamente su motivazioni ideologiche. Inoltre, la presenza dei migranti riveste un ruolo strategico per l’Europa e l’Italia. Basti pensare a tutte le conseguenze legate all’invecchiamento della popolazione che si ripercuoteranno anche sul mondo del lavoro.
Altra questione il fondo di coesione. C’è il rischio che i tagli abbiano delle ripercussioni negative, soprattutto per il Mezzogiorno?
Oggettivamente c’è il rischio di un regresso per le regioni più in difficoltà, tra cui quelle del nostro Sud. Francamente questa impostazione cozza totalmente con gli intenti e gli impegni solennemente presi dalle istituzioni europee, che hanno più volte ribadito la necessità di uno sviluppo armonioso di tutti gli stati membri. È molto difficile pensare che la sola crescita economica, che in molte aree è piatta, possa incrementare il benessere. Ridurre il fondo di coesione mina la possibilità per certe zone di raggiungere gli obiettivi economici e di integrazione sociali posti in sede europea.
Dopo le elezioni del 4 marzo temete per il ruolo dell’Italia in Europa?
È difficile dare una risposta definita a questa domanda. Le promesse fatte in campagna elettorale, da una parte dello scacchiere politico, non lasciano presagire nulla di buono. Anche durante le trattative per la formazione del nuovo governo, Lega e Cinque stelle hanno espresso ostilità e scetticismo nei confronti dell’Europa, solo perché aveva ricordato all’Italia il mantenimento degli impegni presi in sede comunitaria. Ora che il contratto di governo è stato ultimato, sono convinto che il nuovo esecutivo non potrà ignorare i vincoli che ci legano all’Europa.
Tommaso Nutarelli