Recentemente il clima sindacale si è riacceso di nuove conflittualità.
In tutta Europa si è diffuso uno sciopero del personale di volo che ha coinvolto quasi tutte le compagnie aeree, ad esclusione di ITA, fino alle dimissioni di importanti manager del settore.
In Italia due giorni di sciopero (forse sarebbe meglio chiamarlo serrata, come ha ben spiegato dal quotidiano IL FOGLIO) dei proprietari di licenza di TAXI, contro ogni possibile modifica di un mercato protetto e chiuso ad ogni ulteriore innovazione.
Cosa accomuna e cosa distingue questi due avvenimenti a parte l’ovvia, ma non scontata, constatazione che il primo sciopero ha contagiato quasi tutte le compagnie aeree europee e lo “sciopero” dei tassisti è un fenomeno esclusivamente nazionale.
Proviamo a indagare meglio.
Il settore del trasporto aereo ha vissuto, nel recente passato, una prolungata fase di liberalizzazione.
Con l’ingresso delle compagnie Low-cost le consolidate rendite di posizione (profitti e salari) sono state completamente sovvertite, di questo ne sono stati avvantaggiati i consumatori (compresi quelli contro la globalizzazione, che hanno continuato a volare tranquillamente con Ryanair).
Durante la pandemia la crisi del settore si è accentuata e in assenza di tutele (la cassa integrazione c’era solo in Italia) si è assistito a miglia di licenziamenti.
La ripresa post pandemica, nonostante la penalizzazione dell’incremento del costo del carburante, non ha rallentato la ripresa del mercato, anzi il traffico aereo ha avuto una improvvisa impennata difronte alla quale le strategie delle principali compagnie aeree, comprese quelle low-cost, si sono dimostrate del tutto inadeguate.
È in questo nuovo contesto che si assiste alla ripesa di una, più che legittima, azione di mobilitazione dei lavoratori della categoria, volta anche a recuperare alcune posizioni retributive.
Il conflitto è tornato e certamente troverà un nuovo equilibrio tra gli interessi delle parti in gioco, quello che mi preme sottolineare è che questo nuovo equilibrio non potrà in nessun modo rimettere in discussione la liberalizzazione del mercato. Del tutto diversa la situazione del mercato nazionale del trasporto con taxi.
In Italia lo stesso vale lo 0.7% del PIL contro il 3% della Francia e di altri paesi europei, questo la dice lunga sulle dimensioni di un mercato asfittico e dalle potenzialità invece molto più significative, potenzialità di crescita paradossalmente frenate dalla strenua, quanto regressiva, battaglia in difesa di consolidate posizioni di rendita.
Quando ci si renderà conto che la difesa corporativa degli interessi altro non è che il modo migliore per accelerare la crisi endemica del mercato di riferimento?
La scarsa lungimiranza delle sigle sindacali che hanno promosso questo sciopero è l’ennesima conferma che fuori da ogni logica di mercato aperto che non esclude, anzi, la richiesta di maggiori tutele per garantire un passaggio meno traumatico alla liberalizzazione, non resta che la difesa corporativa di una cittadella assediata, che prima o poi sarà spazzata via senza molti rimpianti.
Due scioperi differenti ma un’unica lezione: fuori dalla società aperta non c’è altro che la desertificazione industriale e chi ne paga le maggiori conseguenze sono anche gli operatori del settore.
Luigi Marelli