La conclusione del contratto dei metalmeccanici, a causa del metodo, ha lasciato un senso generale di insoddisfazione, perché le stesse conclusioni potevano essere raggiunte un anno prima. Quanto concerne, invece, il merito, si è rimasti ancorati alle tradizioni, di innovativo c’è ben poco, come invece avevano fatto intendere.
Inoltre, la conclusione del contratto dei mtalmeccanici mette in luce delle contraddizioni, gettando delle ombre sul complesso del famoso e tanto celebrato accordo del 10 gennaio 2014 sulla rappresentanza del sindacato. Questo accordo si basa sulla certificazione dei dati, i quali, essendo certi, permettono o meno a un sindacato di essere rappresentativo. L’accordo interconfederale, inoltre, assegna l’approvazione degli accordi allo svolgimento di referendum, atti questi che hanno la facoltà di approvare o respingere gli accordi sindacali.
Ma veniamo al punto e alla falla nel sistema di certificazione che fa perdere credibilità all’accordo del 10 gennaio 2014: tutto il sistema della rappresentanza sindacale dei lavoratori deve essere certificato, mentre lo svolgimento e i risultati dei referendum sono assegnati all’autocertificazione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Questo ci rimanda al vecchio adagio popolare: “Oste il vino è buono? Ma certo che è buono”.
Tutto, quindi, deve essere certificato secondo l’accordo interconfederale, meno che l’atto conclusivo in grado di mettere in approvazione gli accordi raggiunti.
Questo non è un banco d’accusa che vuole mettere in dubbio la veridicità di quanto dicono le Commissioni Elettorali del sindacato, né tantomeno la loro buona fede, però com’è possibile che i verbali di votazione di singole aziende medio e grandi del Paese abbiano avuto un andamento omogeneo nel recente referendum metalmeccanici( bassissima partecipazione e voto negativo in tutti i verbali, anche con punte di NO dell’80 – 90%)? Mentre, invece il verbale della Commissione Nazionale (che non mettiamo assolutamente in dubbio) disegna una realtà totalmente diversa? (con 5986 aziende coinvolte, ha votato il 63,27% dei presenti e di questi ha votato SI l’80,11% e NO soltanto il 19,89%).
E’ necessario, quindi, apporre una modifica all’accordo 10 gennaio del 2014 dichiarando il referendum un atto puramente consultivo, oppure bisogna pensare a forme di certificazione del voto referendario.
Ciò che rischia di rendere aleatori e vani i risultati è l’aver affidato la certificazione dei dati sulla rappresentanza all’Inps piuttosto che al Cnel, infatti, l’assenza in moltissime province del Paese dei Comitati dei Garanti, fa sì che i dati arrivino all’Inps direttamente dagli uffici amministrativi delle aziende o attraverso i consulenti del lavoro. Di conseguenza, mentre i dati degli iscritti ai diversi sindacati sembrano essere abbastanza veritieri, quelli delle Rsu-Rsa sono o possono essere totalmente fantasiosi e palesemente errati. Cosa questa che rende irrealistica qualunque media ponderale si possa trarre mettendo insieme dati relativamente veri con quelli palesemente falsi.
Uscito indenne dalla consultazione referendaria, il Cnel dovrebbe riacquisire la certificazione dei dati, previa una campagna promossa dal ministero del Lavoro, volta a costituire in ogni provincia del Paese i Comitati dei Garanti, poiché i dati raccolti dall’Inps, ad oggi, a tre anni dall’accordo istitutivo, sono estremamente parziali e coprono forse un quarto delle aziende associate a Confindustria nel settore metalmeccanico.
Queste, quindi, le contraddizioni dapprima annunciate, ma che non fanno altro che sommarsi a quella più evidente: determinare la rappresentanza di organizzazioni sindacali soltanto basandosi sulle aziende associate a Confindustria e determinando per questa via – parziale – la rappresentatività sull’intero settore escludendo la pluralità di soggetti datoriali diversi da Confindustria e anche quelli che da Confindustria sono usciti negli ultimi anni, come per esempio FCA e Cnhi.
Queste contraddizioni persistono senza uno spiraglio di risoluzione, il che rende fortemente attaccabile il modello di certificazione della rappresentanza definita nell’accordo 10 gennaio 2014. E se si volesse sul serio decretare per questa via la rappresentanza o meno di organizzazioni sindacali sul territorio nazionale sarà inevitabile l’avvio di un’infinita serie di contenziosi giudiziari che, paradossalmente,renderebbero ancora più confuso il sistema di rappresentanza italiano, invece di risolverlo.