“Tornare alla crescita”, si chiude con queste parole l’ultima relazione del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che il 24 giugno sarà designato presidente della Bce.
Quello italiano “non è un declino ineluttabile”, ha detto, ma per tornare a crescere servono provvedimenti tempestivi, strutturali, “credibili agli occhi degli investitori”.
A suo avviso, è necessario puntare al pareggio di bilancio entro il 2014 e anticipare a giugno la definizione della manovra correttiva per il 2013-2014. Risanare certo significa tagliare le spese inutili, ma non significa tagliare indistintamente, fa notare Draghi: questo non farebbe altro che deprimere ulteriormente la crescita. “Per ridurre la spesa in modo permanente e credibile non è consigliabile procedere a tagli uniformi in tutte le voci: essi impedirebbero di allocare le risorse dove sono più necessarie”. Tanto che “una manovra siffatta inciderebbe sulla già debole ripresa dell’economia, fino a sottrarle circa due punti di Pil in tre anni”.
Se da un lato occorre “rendere più efficienti le amministrazioni pubbliche”, tagliando le spese inutili, ci sono una serie di settori dove occorre spendere invece di più e meglio. Occorre rilanciare la produttività, che ristagna da tempo “perché il sistema non è ancora bene adattato alle nuove tecnologie, alla globalizzazione”.
Riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d’ingresso, “migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani”, ha aggiunto. La diffusione dei contratti a tempo determinato e parziale, infatti, ha spiegato, se da una parte ha innalzato il tasso di occupazione, dall’altra “ha creato una vasta sacca di precariato, soprattutto giovanile, con scarse tutele e retribuzioni”.
D’altra parte anche la “scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore cruciale di debolezza del sistema”. Nonostante “oggi il 60 per cento dei laureati sia formato da giovani donne” in Italia l’occupazione femminile è ferma al 46 per cento della popolazione in età da lavoro, venti punti in meno di quella maschile”, e le retribuzioni sono “a parità di istruzione e di esperienza, inferiori del 10 per cento a quelle maschili”. Draghi sottolinea infine l’importanza di un adeguato sistema di flexsecurity: “Il sistema di protezione sociale deve essere posto in grado di offrire, a chi perde definitivamente il lavoro e ne cerca attivamente un altro, un sostegno sufficiente; occorre che la sorte di chi lavora in aziende che non hanno più prospettive di mercato sia resa meno drammatica, anche per non ostacolare il fisiologico ricambio delle imprese”.
Ridurre il peso del fisco su imprese e lavoro è un altro obiettivo fondamentale. “Andrebbero ridotte in misura significativa – afferma – le aliquote sui redditi dei lavoratori e delle imprese, compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale, in aggiunta a quelli, veramente apprezzabili, che l’amministrazione fiscale ha recentemente conseguito”.
Perché l’Italia torni a crescere non bastano solo i fattori economici.
Occorre, osserva Draghi, “sconfiggere gli interessi corporativi che in più modi opprimono il Paese”, sanare gli squilibri, a cominciare da quelli tra Nord e Sud, superare “divisioni e conflitti di fazione”, che portano a “un indebolirsi della fiducia tra cittadini e Stato”. La crescita, infatti, sottolinea il governatore di Bankitalia, dipende anche dalla fiducia nelle istituzioni. Anche l’efficienza della giustizia civile, così come del sistema di istruzione valgono ciascuna un punto percentuale di Pil. Nel primo caso ricorda Draghi, il tempo medio dei processi ordinari di primo grado supera i 1.000 giorni e pone l’Italia al 157esimo posto su 183 nelle graduatorie della Banca mondiale. “L’incertezza che ne deriva, aggiunge, è un fattore potente di attrito nel funzionamento dell’economia oltre che di ingiustizia”. Minor tasso di crescita del Pil fino a un punto percentuale può derivare anche, secondo l’Ocse, dal “distacco del sistema educativo italiano rispetto alle migliori pratiche mondiali”, afferma ancora Draghi, secondo il quale occorre “innalzare i livelli di apprendimento”, ridurre i divari interni al Paese anche nella scuola dell’obbligo, e creare maggiore concorrenza tra gli atenei.
Un ampio passaggio della relazione è dedicato al nodo delle infrastrutture. Draghi ricorda i ritardi nel completamento delle opere e lo scarso utilizzo dei fondi pubblici e comunitari. “L’Italia è indietro nella dotazione di infrastrutture rispetto agli altri principali Paesi europei” e inoltre “incertezza dei programmi, carenze nella valutazione dei progetti e nella selezione delle opere, frammentazione e sovrapposizione di competenze, inadeguatezza delle norme sull’affidamento dei lavori e sulle verifiche degli avanzamenti producono da noi opere meno utili e più costose che altrove”.
Il federalismo, a suo avviso, può aiutare nella gestione dei conti pubblici. Ma a due condizioni: che i nuovi tributi locali siano accompagnati da un taglio delle tasse al centro; che ci sia un controllo di legalità sui nuovi compiti decentrati.
Francesca Romana Nesci