Mario Draghi fa compiere un altro passo alla Bce verso un potenziamento degli stimoli all’economia: “Il livello di accomodamento monetario dovrà essere riesaminato a dicembre – ha detto il presidente della Bce al termine del Consiglio direttivo, che si è svolto in trasferta a Malta – quando saranno disponibili le nuove previsioni macroeconomiche dei tecnici”. Un segnale molto esplicito sulla possibilità che nell’ultima riunione del 2015 vengano decise nuove misure, a cominciare da un rafforzamento del piano di acquisti di titoli.
Attualmente il quantitative easing della Bce procede al ritmo di 60 miliardi di euro al mese, prevalentemente titoli di Stato, è iniziato a marzo con l’idea di portalo avanti fino al settembre del 2016. Draghi ha ribadito che il programma dispone della sufficiente flessibilità per essere aggiustato, in caso di necessità, facendo leva sulla sua mole mensile e sulla sua durata, o su entrambi questi fattori.
La prospettiva di un Qe potenziato si è immediatamente fatta sentire sui mercati, a cominciare dai cambi valutari dove l’euro ha segnato un repentino deprezzamento, finendo sotto 1,12 dollari per la prima volta da circa due settimane. Le Borse invece hanno segnato nette accelerazioni.
“La forza e la persistenza dei fattori che attualmente rallentano il ritorno dell’inflazione a livelli vicini al 2 per cento – ha detto Draghi – richiedono una accurata analisi”. Tra questi ha menzionato la debolezza della domanda esterna, dovuta alla frenata delle economie emergenti, in particolare la Cina, la debolezza dei prezzi del petrolio ma anche gli apprezzamenti dell’euro.
“Uno dei rischi al ribasso deriva dai cambi nominali dell’euro, che negli ultimi 4-5 mesi sino sono apprezzati in maniera significativa. Il tasso di cambio non è un obiettivo della politica monetaria dalla Bce, non lo è mai stato, ma è significativo – ha spiegato – per i suoi effetti sulla stabilità dei prezzi e sulla crescita”.
Insomma l’incursione estiva dell’euro sopra quota 1,15 sul dollaro sembra aver il suo peso, specialmente ora che la prospettiva di una stretta monetaria della Federal Reserve, la banca centrale americana, si fa più vacillante. Perché un euro in risalita crea due tipi di problemi. Il primo è che frena le esportazioni, già compromesse dalla debolezza di Cina e emergenti. E su questo aspetto forse ci sono sensibilità particolari anche nella componente germanica della Bce, solitamente ostile alle manovre espansive. Ora magari è più attenta ai potenziali rischi, viste anche le possibili ripercussioni che si potrebbero trascinare con lo scandalo sulle emissioni alterate a Volkswagen.
L’altro problema del super euro è che tende ad avere un effetto deprimente sull’inflazione interna, che secondo l’istituzione è già troppo debole. A settembre, zavorrata dai nuovi ribassi di energia e petrolio, è ricascata sottozero. La definizione di “stabilità dei prezzi” della Bce inquadra invece il caro vita ad un livello inferiore ma vicino al 2 per cento sulla media di 18-24 mesi.
Altra ipotesi allo studio è quella di abbassare ulteriormente i tassi sui depositi che le banche commerciali parcheggiano presso la Bce stessa. Ma sono già a livelli negativi e a Draghi è stato obiettato che lo scorso anno, nel settembre 2014, quando vennero abbassati ai livelli appena confermati – 0,05 per cento sul rifinanziamento principale, 0,30 per cento sulle operazioni marginali e meno 0,20 per cento, appunto, sui depositi – per questi ultimi era stato affermato che si era arrivati al livello minimo.
Tuttavia “in un contesto di tassi vicini a zero, quando le attese di inflazione diventano più negative i tassi reali diventano più elevati”. Queste attese di inflazione nelle ultime settimane sono rimaste sostanzialmente stabili sul medio-lungo termine, ma si sono indebolite per il breve termine. I rischi di “disancoraggio” di queste attese dai livelli obiettivo “non si sono materializzati, ma sono aumentati”. E la Banca centrale deve adattarsi a questa eventualità.
Ad ogni modo “per ora non abbiamo preso nessuna decisione – ha precisato Draghi – abbiamo solo esaminato diverse possibilità”. Il direttorio si attende che la ripresa di Eurolandia prosegua, anche se frenata dai fattori esterni e anche qui con rischi orientati al ribasso.
Appuntamento al 3 dicembre quindi, stavolta nella sede istituzionale di Francoforte per l’ultimo direttorio “operativo” del 2015. Secondo Ken Wattret di Bnp Paribas, nello sbilanciarsi su segnali di altre misure espansive Draghi si è spinto fin dove poteva senza arrivare a annunciare provvedimenti concreti. “Il messaggio è stato ricevuto e compreso dai mercati”.
E anche gli analisti di Barclays concordano che chiaramante c’è da attendersi delle misure a dicembre, con ogni probabilità un potenzialemto del Qe. Tenuto anche presente della decisione “propedeutica” in tal senso che era stata presa a settembre: quella di alzare dal 25 al 33 per cento sul totale di una emisisone come limite agli acquisti della Bce.