Lo stato del Wisconsin, culla dei diritti sindacali negli Stati Uniti, ha approvato una controversa legge che limita drasticamente i diritti di negoziazione dei sindacati nel pubblico impiego. Il provvedimento, voluto dal neogovernatore repubblicano dello stato, Scott Walker, elimina la contrattazione collettiva nel pubblico impiego salvo che per la negoziazione del salario minimo, prevede il raddoppio della pressione fiscale nei confronti di coloro che operano nel pubblico impiego, aumenta i costi previdenziali e abolisce la deduzione della quota annuale versata nelle casse del sindacato. La legge servirebbe, secondo il governatore, ad abbattere i costi della pubblica amministrazione per diminuire il deficit dello stato. I democratici hanno osteggiato fino all’ultimo l’approvazione delle nuove norme arrivando perfino a far lasciare lo stato ai suoi 14 senatori che si sono rifugiati in Illinois pur di far mancare il numero legale per l’approvazione della legge. La legge del Wisconsin prevede per l’approvazione delle norme sul bilancio la maggioranza qualificata e la possibilità, in caso i senatori si rifiutino di partecipare al voto, di farli prelevare dalla polizia. Ecco perché i senatori democratici si sono rifugiati nello stato dell’Illinois dove la legge è differente e non possono essere prelevati. I repubblicani hanno comunque trovato un escamotage per far approvare la nuova legislazione estrapolando dalla legge finanziaria i provvedimenti che aboliscono la contrattazione collettiva per i dipendenti pubblici e approvandoli come legge a sé.
L’approvazione della norma ha portato a una fortissima reazione dei democratici, degli studenti che si sono mobilitati via facebook e del regista Michael Moore che ha definito il voto “un atto di guerra”. Ne e’ seguita una mobilitazione che ha portato in piazza 70 mila persone.
Ma è solo l’inizio, perche l’Ohio e l’Indiana stanno seguendo lo stesso esempio del Wisconsin e le proteste, finora concentrate nel solo stato dei laghi, rischiano di allargarsi su scala nazionale.
Il presidente americano Barack Obama sì è schierato dalla parte dei lavoratori e ha fatto sapere di considerare il provvedimento “un vero e proprio attacco al sindacato”.
Sul fronte repubblicano molti esponenti del cosiddetto Tea Party, movimento che si rifà alla storica protesta degli abitanti di Boston contro le tasse dell’impero inglese, si sono invece detti favorevoli all’approvazione della legge in altri stati americani. È probabile, secondo molti osservatori, che questa iniziativa, nata in uno stato popolato solamente da sei milioni di persone, possa innescare in tutto il paese una battaglia non priva di durezze e risvolti ideologici nel mondo sindacale e del lavoro negli Stati Uniti. Dopo la riforma sanitaria voluta dal presidente Obama il lavoro potrebbe quindi essere il prossimo terreno di battaglia tra il Tea Party che propone una forte diminuzione della spesa pubblica e vede in Obama il presidente che sta trasformando gli Stati Uniti in un paese socialista, e chi come i democratici vede al contrario nelle sanità per tutti e nelle battaglie sindacali conquiste civili fondamentali per cui combattere.
Luca Fortis