Ambra Angiolini, sul palco del concerto del Primo Maggio, ha detto che il vero problema per le donne che lavorano non sono le desinenze (avvocata, ingegnera, ecc.) ma gli stipendi: “tenetevi le vocali in fondo alle parole, ma restituiteci quel 20 per cento di differenza salariale che ci divide dagli uomini”, ha scandito.
L’accusa, sottintesa, è che le donne in questi anni si siano battute assai più per ottenere le desinenze di genere che per abbattere le differenze salariali di genere. E, personalmente, sono d’accordo con Ambra. Le donne sono più preparate, più laureate, ma regolarmente meno occupate e meno pagate degli uomini. E vale a tutti i livelli, in una catena infinita: riguarda le star di Hollywood e le operaie, le top manager e le impiegate. Le donne precarie guadagnano meno di uomo precario, le donne immigrate meno di un immigrato maschio, le donne pensionate meno di un pensionato maschio. Aggiungerei: le donne con figli sono più povere delle donne senza figli, le donne con figli e con genitori anziani da accudire sono più povere ancora, e che le famiglie con figli formate da un solo genitore, se l’unico genitore è donna sono le più povere di tutti. Insomma: se vuoi cavartela decentemente in questo mondo devi essere: single, senza figli, orfano, e ovviamente maschio.
La ragione per cui le donne sono più povere si chiama, appunto, gender pay gap, ovvero differenza retributiva di genere. Esiste praticamente in quasi tutto il mondo, l’Italia non fa eccezione. L’Onu lo ha definito “il più grande furto della storia”. In Usa se ne parla da tempo, la foto che illustra questo articolo è il manifesto di una campagna per la parità di retribuzione, lo slogan significa: “donna: come un uomo, ma meno costosa”. Ho preso come esempio l’America perché è la patria del femminismo, e perché è il paese dove il valore del denaro collegato al lavoro è più forte. Negli Usa si dichiara in modo esplicito il proprio stipendio, da noi invece è considerato maleducato farlo, e tanto più chiederlo. Risultato: quasi nessuno sa – o quanto meno può comodamente far finta di non sapere – che la differenza salariale tra uomo e donna in Italia è mediamente del 20-25 per cento: per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna guadagna 80 centesimi. Una donna inizia a guadagnare il suo stipendio attorno alla fine di febbraio, prima è come se lavorasse gratis. Ma il peggio è che spesso proprio le donne sono le ultime a rendersene conto, e anche quando lo apprendono, fanno fatica a chiedere il ripristino della parità.
In America le cose vanno nello stesso modo: per ogni dollaro guadagnato da un uomo una donna prende 74 centesimi. La prima legge varata da Barack Obama come presidente degli Stati Uniti era dedicata proprio alla parità salariale: il Lilly Ledbetter Fair Pay Act, dal nome della donna che si è battuta per averla. “Il primo passo per eliminare il gap salariale che penalizza le donne”, disse Obama. La legge è stata approvata il 29 gennaio 2009, quattordici anni fa. Dopodiché la situazione è migliorata? Non direi proprio: se qualche tempo fa si era calcolato che in America ci sarebbero voluti 72 anni per arrivare alla parità salariale, oggi il dato è stato corretto: ce ne vorranno 120.
Ma perché è tanto importante questa differenza? Che conseguenze può causare? Tante e tutte dannose, perché si porta dietro molti altri problemi, tra cui uno fondamentale: il rapporto delle donne con il lavoro, da un lato, e con la famiglia, dall’altro. Ma c’è di mezzo anche l’autostima delle donne, la loro sicurezza, la loro autonomia, il loro posto nella società. Ci sono mille motivi per i quali le donne italiane sono poco presenti sul mercato del lavoro, ma un fortissimo motivo è proprio questo: sono pagate troppo poco, e certamente meno dei colleghi maschi a parità di prestazione. Per cui spesso il gioco non vale la candela.
Una paga bassa comporta che quando in famiglia arrivano problemi organizzativi, per esempio un figlio, o genitori anziani da accudire, e si deve decidere se rinunciare a uno dei due stipendi, è sempre a quello più basso che si rinuncia: cioè a quello della donna. Le percentuali delle donne che lasciano il lavoro dopo un figlio sono vergognosamente alte, e non per caso. Ma allora, si dirà, le donne almeno fanno figli? No, come ben sappiamo: se fai figli la speranza di lavorare, e soprattutto di avere uno stipendio elevato, si riduce di un altro 25%. Finisce che non si lavora, e non si fanno figli. E vale a tutti i livelli: Il 98% dei maschi che svolgono un ruolo di top manager in una azienda ha figli, contro solo il 35% delle donne top manager. Avere figli blocca le carriere e gli stipendi delle donne, ma evidentemente non quelli degli uomini.
Abbiamo visto che negli Stati Uniti si è cercato di fare qualcosa, con una legge. Ma anche in Italia abbiamo una legge sulla parità salariale. L’ha promossa e sostenuta la parlamentare del Pd Chiara Gribaudo, da poco in segreteria nazionale con Elly Schlein. La sua legge sulla parità salariale è stata approvata il 26 ottobre 2021, e scommetto che pochi ne hanno sentito parlare. Del resto, se la legge di Obama dopo 14 anni non ha ancora ottenuto risultati, sapremo noi fare di meglio?
Ma soprattutto, cosa potremmo fare? Molte cose, in realtà, e ciascuno per la sua parte: le aziende, imparando che ogni lavoro ha il suo valore a prescindere dal genere, e qualche passo avanti, infatti, lo stanno facendo. Ma devono farlo anche le donne, aumentando la propria autostima e la capacità di farsi pagare il giusto senza vergognarsi di chiederlo, con la consapevolezza che lo stipendio è qualcosa che ci meritiamo per il nostro lavoro, e non una sorta di “grazia” che qualcuno ci concede. E gli uomini, infine, posso contribuire smettendo di credere – perché sotto sotto lo credono – che in quanto donne possiamo accontentarci di uno stipendio più basso, ché tanto abbiamo un padre, un marito, che pensa a noi.
Ma il primo passo è, appunto, la consapevolezza di un problema che ancora si tende a sottovalutare, quando non a negare del tutto. E quindi, per concludere: davvero per il riconoscimento del nostro diritto di genere conta cosi tanto la desinenza? o non conterebbe di più il diritto di ottenere in busta paga quel 20 per cento che ci danno in meno per il solo fatto di essere donne? Pagateci uguale agli uomini, e vedrete che la desinenza giusta poi verrà da sé. E grazie ad Ambra, per avercelo ricordato in modo così clamoroso, davanti a una platea tanto vasta. Speriamo che il messaggio arrivi, e resti.
Nunzia Penelope