Mi piacerebbe per una volta commentare una notizia. Tipo che in Italia c’è un forte rialzo dell’occupazione, e che il gap uomo-donna è scomparso, o quasi.
Invece anche i dati Eurostat, resi noti nei giorni scorsi sul fronte occupazione confermano l’Italia al penultimo posto in Europa, dopo di noi soltanto la Grecia, e ai primissimi posti per divario tra uomini e donne che lavorano (-20punti percentuali), dove ci supera soltanto Malta.
Nel resto d’Europa non va così: secondo Eurostat rispetto al 2014 il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni e’ aumentato quasi in tutti i paesi dell’Unione europea, attestandosi nel 2015 al 70,1% e alcuni hanno già raggiunto gli obiettivi della strategia Europa 2020 che fissanno il target dell’Ue al 75%. In Itallia si è fermato al 60,5%, contro il 59,9% nel 2014 . La differenza rispetto al dato europeo è dunque di 9,6 punti percentuali.
Per le donne in Europa l’andamento è in continua crescita: si è passati da un tasso del 63,5 nel 2014 al 64,3 per cento nel 2015 e la differenza tra il tasso di occupazione delle donne di età 20-64 ( 64,3 %) e quello degli uomini di età compresa tra 20-64 ( 75,9 % ) è stata di 11,6 punti contro i 17,3 punti del 2002. Non è così per l’Italia, e nell’anno del jobs act.
Che cosa c’è che non va? Evidentemente la deregolazione del mercato del lavoro non ha avuto effetti positivi sull’occupazione e sulla crescita, in generale.
Mentre la bassa occupazione delle donne è la spia di una condizione di marcate disuguaglianze e discriminazioni, che fanno tornare indietro il mondo femminile, nonostante numerosi studi in questi anni ci dicono che una maggiore occupazione femminile farebbe aumentare il Pil. E nonostante le donne raggiungano risultati più brillanti lungo il percorso formativo e in tutti gli indirizzi di studio rispetto ai maschi. Eppure nel mercato del lavoro scontano ancora un forte divario in termini occupazionali e retributivi, che non ci stanchiamo mai di denunciare, anche in assenza di un interlocutore, perché questo è il primo governo senza un referente politico per quello che riguarda le politiche di genere. Ufficialmente la delega alle pari opportunità è in mano allo stesso presidente del Consiglio, ma è chiaro che non la esercita e che il tema non è tra le priorità dell’agenda del governo, così come è chiaro che non sono sufficienti modesti proveddimenti a spot, ma è necessario un impegno concreto a partire da politiche mirate per creare occupazione, per aumentare servizi e tutele sociali, per strutturare adeguate politiche di conciliazione, possibilmente coordinate tra loro da una figura istituzionale con un’ampia delega, la cui designazione non è più rinviabile.
Le conseguenze di questo vuoto politico e del disinteresse generale, sono tutte in questi dati che vorremmo non dover più commentare.