“I sindacati in Italia stanno dormendo un lungo sonno dal quale nessuno sa se, come e quando si sveglieranno”. Commenti come questo, che Stefano Cingolani nei giorni scorsi ha affidato a Il Foglio, non sono purtroppo rari. Nell’immaginario collettivo le rappresentanze dei lavoratori in Italia quanto meno hanno perso smalto, nel caso peggiore stanno vivendo una crisi dalla quale non riusciranno mai a uscire. Il rapporto di Jelle Visser per l’Ilo di qualche anno fa in effetti ha dato un’immagine abbastanza disastrata del sindacalismo nel mondo, eppure i sindacati italiani hanno sempre rappresentato un’anomalia, sono sempre stati in controtendenza o, quanto meno, le loro difficoltà sono apparse meno forti che altre.
Tra i motivi del loro progressivo indebolimento vi sono certamente le divisioni che si sono verificate e che persistono tra le diverse sigle. Cgil, Cisl e Uil non marciano più compatte come una volta, è storia di tutti i giorni, e questo si riflette sul loro stato di salute e sull’efficacia della loro azione. Ne fanno fede i risultati del confronto con il governo e in generale con le forze politiche. È sparita qualsiasi forma reale di dialogo sociale che riesca in qualche modo a incidere sulla realtà economica e sociale. L’interlocuzione si è ridotta a pochi incontri con l’esecutivo, per lo più a ridosso delle riunioni dei consigli dei ministri, senza una vera possibilità di intessere un proficuo confronto.
Le confederazioni avrebbero adesso un’occasione storica per rialzare la testa e riacquistare un effettivo ruolo. Il confronto con la Confindustria di Emanuele Orsini potrebbe ridare forza al dialogo sociale nel suo insieme. Se le parti riprendessero a presentarsi unite e avanzassero idee e proposte negli incontri con la politica, acquisterebbero certamente un ruolo, potrebbero riprendere a trattare come effettivi soggetti politici. Ma la sensazione è che le divisioni stiano ampliandosi piuttosto che restringersi.
In realtà in questi ultimi anni Cgil, Cisl e Uil hanno marciato compatte. Assieme hanno messo a punto le rivendicazioni e assieme le hanno presentate, con maggiore o minore fortuna, ai governi che si sono succeduti. Le divisioni però si sono sempre verificate nella seconda fase degli incontri. Cgil e Uil hanno per lo più valutato negativamente gli esiti del dialogo e di conseguenza hanno avviato varie forme di protesta. La Cisl ha sempre espresso un giudizio meno drastico, più possibilista, ha cercato di valorizzare quanto ottenuto, astenendosi da proteste troppo forti. Questo ha consentito alle tre organizzazioni di minimizzare finora le divisioni perché comunque le battaglie venivano portate avanti assieme.
Adesso invece sembra che qualcosa stia cambiando. Cominciano a differenziarsi le letture che i diversi soggetti danno della realtà economica e sociale e le conseguenti decisioni operative. Maurizio Landini vede un’economia disastrata e una società in grande difficoltà, oppressa da livelli di precarietà molto avanzati, così forti da chiedere una risposta drastica, come quella dei referendum. Una analisi che non è condivisa dalla Cisl, che non nega le difficoltà, ma vede anche una ripresa forte dell’occupazione, specie di quella stabile, con contratti a tempo indeterminato. Il solito bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno? Forse c’è qualcosa di più, non fosse che perché queste analisi sfociano poi in una differenza di azione.
Un quadro allarmante, ammorbidito dalla costatazione che la divisione è viva solo tra le confederazioni. Le federazioni di categoria e i territori, infatti, non presentano casi di distanziamento, se non in forme molto limitate. Per lo più marciano assieme e solo così si spiegano le fortune delle relazioni industriali, il rapido e soddisfacente rinnovo dei contratti, di categoria ma anche di azienda. C’è stato un episodio recente, un accordo con l’Enav che non è stato sottoscritto da Cgil e Uil. Si è subito gridato all’allarme politico, ma in questo caso le distanze sono state solo tecniche, dettate dai contenuti dell’accordo e non dalla distanza tra le confederazioni.
Il clima di forte unione tra i sindacati di categoria potrebbe portare ad attenuare i problemi tra le confederazioni e in qualche modo a spingerle a riconsiderare l’importanza dell’unità sindacale. Basta pensare a quanto avvenuto a fine luglio nel settore della ceramica. Il contratto di questa piccola categoria ha dato un taglio netto alle divisioni confederali introducendo una clausola per introdurre l’obbligo della misurazione della rappresentanza, sia sindacale che datoriale. Una buona pratica che potrebbe essere di esempio per le grandi centrali sindacali che, sul tema della rappresentanza, sono molto lontane tra loro.
Massimo Mascini