Il modo in cui la stampa italiana ha trattato la recente visita a Mosca del leader cinese Xi Jinping non ha forse aiutato l’opinione pubblica del nostro Paese a comprendere i profondi mutamenti della scena internazionale che tale visita ha suggellato.
Non che manchino, ai giornali italiani, analisti e commentatori di vaglia che, da Lucio Caracciolo a Ugo Tramballi, siano più che capaci di cogliere il senso dei movimenti che agitano tale scena. Ma il punto è che l’interrogativo attorno a cui sono stati impostati titoli e servizi dedicati al viaggio di Xi è stato quello che può essere così riassunto: l’iniziativa cinese potrà portare, se non alla pace, almeno a un’interruzione della guerra fra Russia e Ucraina?
L’urgenza di tale interrogativo è certo comprensibile. E’ evidente, infatti, che in un’ottica non solo italiana, ma anche europea, la più importante, starei per dire la più urgente, fra tutte le questioni di politica internazionale è quella relativa al tragico conflitto che si è aperto l’anno scorso con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. La mia impressione, però, è che lo scopo di fondo del viaggio di Xi non fosse tanto quello di verificare il grado di accoglienza di Putin rispetto al cosiddetto piano di pace presentato dalla Cina nelle settimane scorse, quanto quello di esibire di fronte al mondo, e quindi di affermare, il nuovo ruolo del Paese da lui guidato. Quello della seconda potenza globale, unica comprimaria degli Stati Uniti.
Non ho le prove di quello che sto per scrivere, ma mi sono fatto l’idea che l’anno scorso, di questi tempi, i sentimenti e i pensieri di Xi Jinping fossero molto, ma molto contrariati per ciò che stava accadendo in Ucraina. Ovvero sia per l’improvvida iniziativa, assunta da Putin, di lanciare, a partire dal 24 febbraio, l’invasione dell’Ucraina, sia per l’evidente fallimento della cosiddetta “operazione militare speciale”; operazione che si era ormai impantanata nel fango del disgelo primaverile.
Infatti, la somma di questi due accadimenti aveva rapidamente creato una situazione molto sfavorevole per i disegni fin lì coltivati dal Presidente della Repubblica Popolare Cinese. In primo luogo, il giudizio fortemente negativo che si stava rapidamente diffondendo, tra la maggioranza dei Paesi del nostro Pianeta, circa l’invasione russa, costringeva lo stesso Xi Jinping a congelare qualsiasi progetto relativo a Taiwan. Meglio non parlare neppure di un altro territorio la sovranità sul quale poteva risultare contesa fra due Governi.
In secondo luogo, cosa più importante, nella primavera dell’anno scorso la Cina stava rialzando la testa dopo la tempesta del Covid. Il principale problema di Xi, in quel momento, era quello di riavviare quel processo di inarrestabile crescita che aveva portato il suo Paese al secondo posto delle classifiche economiche internazionali. E la prima conditio sine qua non per tale ripresa era una situazione di calma sui mercati mondiali delle materie prime, della componentistica e dei prodotti finiti.
In terzo luogo, in quei mesi era in preparazione il 20° Congresso del Partito Comunista cinese, quello che, secondo i programmi, doveva dare a Xi il terzo mandato di Segretario generale, mantenendolo per altri cinque anni al vertice del potere del Paese più popoloso del mondo. Ora è chiaro che, dopo il diffuso scontento provocato dalla gestione ferrea della lotta contro la diffusione del Covid-19, Xi aveva bisogno, in vista del Congresso, di poter esibire le prospettive più rosee possibili. Ma ecco che la maledetta guerra di Putin stava rigettando nel caos i traffici economici a livello mondiale.
Nei progetti che Xi aveva fatto per il 2022, il fatto che le Olimpiadi invernali dovessero svolgersi a Pechino a partire dall’inizio di febbraio era certo un importante trampolino di lancio per un’annata che lui preconizzava come molto significativa. I comportamenti minacciosi assunti in quei giorni da Putin nei confronti dell’Ucraina, venivano a turbare tali prospettive. Ma ecco la prima abilissima mossa di Xi. Ricevendo Putin a Pechino proprio all’inaugurazione delle Olimpiadi, il leader cinese aveva acconsentito a parlare di una “amicizia senza limiti” tra Cina e Russia. Insomma, esibizione di grande cordialità sì, ma nessun ricorso all’uso di una parola impegnativa come “alleanza”. A margine, la firma di un contratto trentennale di fornitura di gas naturale dall’estremo oriente russo al Nord-Est della Cina. Insomma, mani libere, ma un occhio puntato agli interessi economici di un Paese che, come il suo, è particolarmente bisognoso di materie prime energetiche.
Dopo l’inizio della guerra, Xi Jimping si è ritagliato, per qualche tempo, il ruolo di un osservatore silenzioso. Nessuna condanna dell’iniziativa russa, ma anche nessuna adesione. E, in parallelo, il mantenimento di fruttuosi rapporti economici con l’Ucraina.
Poi, il passare del tempo, e il permanere di una situazione di stallo sul fronte russo-ucraino, hanno cominciato a mostrare a Xi che per lui non si trattava più solo di evitare i guai connessi al deterioramento delle relazioni internazionali, ma anche di cogliere le opportunità, verosimilmente impreviste, offerte dalla situazione.
Con la Federazione Russa tagliata fuori dal resto del mondo dall’effetto combinato della condanna politica e delle sanzioni economiche, e con gli Stati Uniti totalmente concentrati, per non dire assorbiti, per ciò che riguarda il loro ruolo di player internazionale, dal compito di sostenere politicamente le capacità difensive dell’Ucraina, Xi ha cominciato a rendersi conto che con quelle sue mani libere poteva anche fare qualcosa.
Se ne è avuta una prova il 10 marzo scorso. In quel giorno a Pechino, mentre la Riunione plenaria del Congresso nazionale del Popolo e della Conferenza politica consultiva del Popolo cinese conferiva a Xi Jinping, per la terza volta consecutiva, la carica di Presidente della Repubblica, veniva dato un annuncio clamoroso. E cioè che, proprio a Pechino, e alla presenza del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, i rappresentanti dell’Arabia Saudita e dell’Iran avevano raggiunto un accordo per il riavvio tra i loro Paesi delle relazioni diplomatiche da tempo interrotte.
E’ solo alla luce di queste due notizie che può essere pienamente compreso il senso del viaggio a Mosca di Xi Jinping.
Nella capitale di un paese impelagato in un conflitto apparentemente irrisolvibile, Xi si è presentato agli occhi del mondo, innanzitutto, come un leader sorridente e sereno, sicuro di poter stare a capo del proprio Paese per altri cinque anni.
In secondo luogo, Xi si è presentato come il leader di una potenza compiutamente globale, ormai capace di insidiare la primazia degli Stati Uniti non solo nell’Estremo Oriente e nel Pacifico, ma anche in quell’area del mondo che i cinesi, come ci ricorda spesso Claudio Landi, chiamano Asia Occidentale; insomma, nel Medio Oriente. Riuscendo nell’impensabile, cioè a favorire il riaprirsi di un dialogo fra due potenze regionali a lungo strategicamente contrapposte.
In terzo luogo, Xi si è presentato come un leader portatore di un documento qualificato come “Piano di pace”. Ora non importa che non solo gli Stati Uniti, ma anche numerosi analisti, abbiano dichiarato che quel testo, non privo di contraddizioni, non poteva ambire a tale qualifica, essendo privo di sufficienti indicazioni di percorso e contenendo solo vaghi obiettivi. Ciò che importa e che Xi ha potuto farsi bello di tale ruolo mirando a un target specifico, quanto significativo, ovvero di fronte ai leaders di Paesi quali Brasile, India e Sudafrica. Paesi, cioè, che sentono il conflitto russo-ucraino come qualcosa di molto lontano e di poco comprensibile e che non amano l’idea di doversi schierare al fianco dei Paesi del Nord del Mondo, quali gli stessi Stati Uniti o potenze ex coloniali come Regno Unito e Francia.
In quarto luogo, Xi è tornato a casa, a Pechino, dopo aver affermato col suo interlocutore moscovita che nelle transazioni fra Russia e Cina il Renminbi, ovvero la “Valuta del popolo” emessa dalla Repubblica Popolare Cinese, può avere ed ha un ruolo importante e specifico. Il che significa, in parole povere, che siamo di fronte non solo all’idea, ma al fatto concreto, di transazioni nel campo delle materie prime energetiche non effettuate in dollari.
Concludendo: Xi non ha bisogno di una pace immediata fra Russia e Ucraina, così come non ha bisogno di soffiare sul fuoco. Ciò che a lui interessa è profittare del conflitto in corso per conquistare terreno per una Cina che, dopo la Belt and Road Initiative, si sta affermando come potenza globale anche in campo politico.
E’ diffusa la voce secondo cui molti anni fa, quando era un giovane rivoluzionario, Mao Tse-tung abbia detto “Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente.” Ecco, forse ultimamente anche Xi Jinping, dal suo specifico punto di vista, si è trovato a condividere questo celebre motto del suo più famoso predecessore.
@Fernando_Liuzzi