Guerra di comunicati fra General Motors e United Automobile Workers. Venerdì 11 ottobre, la maggior casa costruttrice di autoveicoli degli Stati Uniti ha fatto una mossa atipica nel conflito che la oppone, da quasi un mese, al sindacato nordamericano dei lavoratori del settore attorno al rinnovo dell’accordo quadriennale di gruppo. Con una lettera firmata da Gerald Johnson, il vice Presidente esecutivo incaricato del “global manufacturing”, GM si è rivolta direttamente ai propri dipendenti, scavalcando la dirigenza sindacale.
A quasi un mese dal lancio dell’iniziativa di lotta, avviatasi lunedì 16 settembre, Johnson scrive che “lo sciopero è stato duro per voi, le vostre famiglie, le nostre comunità, l’azienda, nonché per i nostri fornitori e per chi vende i nostri prodotti”. E poi aggiunge: “Abbiamo detto con chiarezza al sindacato che è fondamentale che noi torniamo a produrre veicoli di qualità per i nostri clienti”.
Come era forse prevedibile, questa iniziativa ha avuto il risultato immediato di irritare la dirigenza sindacale. Che infatti, a stretto giro di posta, ha accusato l’azienda di voler “affamare” i lavoratori impegnati nello sciopero.
Ora, il primo commento che si può fare a queste notizie è che se dopo un mese di sciopero, accompagnato peraltro da ininterrotti negoziati, le parti arrivano a guerreggiare attraverso comunicati contrapposti, è quantomeno probabile che i negoziati stessi non stiano andando benissimo. Cosa che, a dire il vero, si era già capita una decina di giorni fa, quando Terry Dittes, il vice Presidente dello UAW incaricato del rapporti con la GM, assunse l’iniziativa di dichiarare che le trattative stavano andando “di male in peggio”. La novità, però, sta appunto nel carattere aggressivo di quest’ultima iniziativa aziendale, volta implicitamente a creare una frattura fra la base e il vertice del sindacato.
In un precedente articolo, avevamo osservato che le parti, fin qui, sono state abbastanza avere di dettagli sui contenuti del negoziato. Quello che adesso si comincia però a comprendere è che, al di là delle prevedibili distanze in materia salariale, nonché di quelle relative a altri punti specifici del negoziato, le parti sembrano essersi date diverse tattiche negoziali.
Da un lato, la General Motors si è dichiarata disponibile a imprimere un’accelerazione alle trattative, chiedendo pubblicamente al sindacato di accettare che le trattative stesse si svolgano “around-the-clock”, ovvero senza interruzioni. Questa esigenza di imprimire un ritmo più rapido al negoziato deve essere considerata molto importante dalla casa costruttrice. Tanto da impegnare personalmente la stessa Ceo, la notissima Mary Barra. La quale, infatti, mercoledì 9 ottobre ha avuto un incontro ad hoc col Presidente dello UAW, Gary Jones, e col citato Terry Dittes.
Dall’alto lato, lo United Automobile Workers ha consegnato alla controparte, venerdì 11, un testo in cui chiede invece che il negoziato si concentri preliminarmente sui “five issues”, ovvero sui cinque punti che più stanno a cuore al sindacato. E che, a quanto si comprende, non hanno una natura rivendicativa minuta, ma sono relativi a questioni di strategia industriale.
Secondo quanto scrivono Ben Klayman e David Shepardson, in una corrispondenza congiunta datata da Detroit e da Washington e pubblicata dall’agenzia Reuters, uno di questi cinque punti è infatti relativo alle quattro fabbriche, tutte collocate negli Stati Uniti, che secondo la GM potrebbero essere destinate alla chiusura. Un secondo punto, indubbiamente collegato al primo, riguarda invece i cambiamenti tecnologici ormai in corso nell’industria automobilistica.
In particolare, scrivono i due giornalisti, la preoccupazione più viva in casa sindacale è quella che la produzione di veicoli elettrici, verso cui GM si sta dirigendo, richieda un numero minore di lavoratori, e che la produzione di batterie per tali veicoli richieda lavoratori meno qualificati di quelli addetti alla produzione di motori e quindi anche lavoratori destinati a ricevere paghe più basse.
Non per caso, un attento osservatore delle vicende dell’industria dell’auto come Giuseppe Berta, interpellato oggi sul Corriere della Sera da Gianni Antoniella, afferma che alla base del conflitto in corso alla General Motors c’è il processo di passaggio dall’auto dotata di motore alimentato da combustibili all’auto elettrica. Un passaggio che, da un lato, richiede enormi investimenti in ricerca e sviluppo mentre, dall’altro, può spingere le case automobilistiche a chiudere interi stabilimenti, provocando la scomparsa di molti posti di lavoro.
Non è quindi strano se quella che poteva configurarsi come una classica vertenza aziendale, sia pure in un’impresa di grandi dimensioni, abbia assunto non solo toni piuttosto aspri, ma anche un indubbio rilievo strategico. Ben al di là dei confini del Michigan o dell’Ohio, la vertenza GM è ormai al centro delle preoccupazioni dei protagonisti della vita politica a stelle e strisce. Sarebbe forse bene se anche i dirigenti politici europei buttassero un occhio su ciò che accade a Detroit.
@Fernando_Liuzzi