A Mirafiori è passato il sì all’accordo voluto da Fim e Uilm e bocciato dalla Fiom. I lavoratori hanno trovato la via della ragione e hanno dato via libera a quell’intesa. Come del resto avevano fatto anche i loro compagni di Pomigliano l’anno passato. Un risultato importante perché ha sventato l’ipotesi, concreta, che la Fiat rinunciasse per sempre all’investimento che è stato prospettato. Le percentuali non sono state quelle prevedibili, il no ha avuto una adesione più ampia di quanto non si credesse, ma per capire quanto è successo occorre tener presente la forte campagna che si è svolta soprattutto negli ultimi giorni, il carattere simbolico e purtroppo anche politico che ha assunto questa consultazione. Non erano solo gli investimenti della Fiat e l’accordo con Fim e Uilm in gioco, ma la tenuta di un modello sindacale di antagonismo e contrapposizione che trova il suo alfiere, ma forse anche l’unico sostenitore, nella Fiom di Maurizio Landini.
Adesso però si apre un capitolo tutto diverso. Fim e Uilm avranno le carte in regola per chiedere alla Fiat di rispettare gli accordi e dare il via al progetto avviato. Del resto Marchionne era stato molto chiaro nei giorni scorsi, affermando che gli sarebbe bastato il 50% più un voto per procedere nel ruolino già segnato. Poi si vedrà se si tratterà del solo capitolo Mirafiori o invece del complesso degli investimenti prospettati dalla Fiat, che prevedono una spesa di 20 miliardi per avere il raddoppio della produzione di auto nel nostro paese. Importante è che Mirafiori sia salva, che abbia un avvenire, che i posti di lavoro siano mantenuti e anzi accresciuti.
Il problema adesso è tutto dentro la Cgil, dove la partita che si apre è molto complessa e di difficile soluzione. Landini ha portato avanti la sua battaglia in solitudine: ha avuto l’appoggio della confederazione, ma il protagonista assoluto di tutta la vertenza è stato lui e solo lui. Ed è giusto che adesso sia chiamato a rispondere delle sue scelte, della doppia sconfitta che ha riportato in sei mesi, della scomparsa della Fiom da Mirafiori come conseguenza del non voler apporre nemmeno una firma tecnica a quell’accordo. La giustificazione che lui con tutta la Fiom ha già portato avanti, che i lavoratori non avevano scelta perché sottoposti a un duro ricatto, non sta in piedi, perché tutto era già chiaro dall’inizio e quindi le scelte sono state fatte sapendo che si poteva arrivare a questo risultato, quasi dandolo già per scontato. E quindi solo lui deve rispondere della decisione di andare avanti, di non accettare una linea di compromesso, nemmeno per quella firma tecnica che gli aveva chiesto la confederazione.
Il direttivo della Cgil questo problema deve considerare e non è possibile che tutto finisca con un abbraccio unitario che ignori le responsabilità di chi ha cercato lo scontro senza deflettere mai minimamente dalla direzione presa. Non sarà una decisione semplice, ma la confederazione, tutta la confederazione deve decidere se la strategia della Cgil è quella della Fiom, o se le posizioni sono disgiunte, come ha provato del resto il congresso dell’anno passato, quando la federazione dei metalmeccanici ha portato avanti una precisa strategia antagonistica e, nonostante fosse appoggiata dalla potente federazione della funzione pubblica e da quella dei bancari, forse meno corposa, ma sempre rilevante, non ha trovato il consenso nemmeno del 20% dei voti congressuali.
Diciamo che Landini ha gettato un’opa verso la Cgil e ha perso, adesso è giusto che sia chiamato a giustificarsi di questa ennesima sconfitta. Non può finire a tarallucci e vino. Anche perché le relazioni industriali sono state messe a dura prova in questi mesi, prima per Pomigliano, poi per Mirafiori. Gli equilibri che hanno retto fino ad ora sono per lo più saltati e o stanno per saltare non si sa il terremoto quanti danni alla fine porterà. Per questo è necessario che si stilino delle regole più precise per i prossimi anni. Regole e non deroghe perché affidarsi solo alle deroghe, si è visto in queste occasioni, può essere pericoloso, soprattutto perché in questo modo non si hanno mai dei punti fermi, dei quali invece hanno bisogno assoluto sia i sindacati che, soprattutto, le imprese. Una nuova trattativa sulle regole, quindi, alla quale partecipi da protagonista anche la Cgil. Un negoziato è già in piedi tra le parti sociali sui temi dello sviluppo: deve terminare velocemente e soprattutto allargarsi ai temi delle relazioni industriali. Se questo sarà fatto in fretta e bene forse, ma solo forse, si potranno recuperare delle certezze capaci di reggere le relazioni industriali dei prossimi anni.
Massimo Mascini
15 Gennaio 2011