Ero un giovane sindacalista alle prime armi, componente della segreteria della Fiom di Bologna. Appartenevo alla generazione dei socialisti che erano stati immessi nella Cgil, dopo che nel 1964 la gran parte dei funzionari era passata al Psiup. A ripensare a quelle esperienze si spiegano tante cose della Confederazione di Corso d’Italia. Innanzi tutto la consapevolezza della componente comunista (e del Pci) di di ricostruire il tradizionale pluralismo della Cgil anche nella situazione nuova che si era venuta a determinare dal momento della partecipazione del Psi ai governi di centro-sinistra; e nello stesso tempo l’interesse che il partito socialista conservava nei confronti della Cgil (la prospettiva del sindacato socialista, affacciata nel quadro delle unificazione socialista del 1966, sollevò un coro di proteste che l’affossarono fin dai primi tentativi). Ma c’è anche un altro aspetto che meriterebbe di essere considerato, anche se ormai il trascorrere del tempo ha macinato tante generazioni di dirigenti. Ci fu un momento però in cui di socialisti era composta in prevalenza la generazione di mezzo tra i grandi leader provenienti dalla Resistenza o entrati nell’immediato dopoguerra (Lama, Scheda, Trentin, Garavini, Luciano Romagnoli ed altri) e i giovani emersi dal movimento studentesco o comunque dalle esperienze sessantottine fino all’autunno caldo. In sostanza, i socialisti entrati in Cgil dopo la scissione hanno determinato (ovviamente solo in parte) il salto di una generazione nei gruppi dirigenti comunisti: tra Trentin, l’ultimo dei grandi sauri, e Sergio Cofferati, il primo della nuova generazione, c’erano un differenza di 23 anni di età; in mezzo c’erano Dino Marianetti , Fausto Vigevani, Alberto Bellocchio, Ottaviano Del Turco, Enzo Ceremigna, Cesare Calvelli e altri tra i quali chi scrive. Ma questa ricostruzione di alberi genealogici è un pretesto per raccontare un episodio capitatomi all’inizio della mia ‘’carriera’’ che mi è tornato in mente nei giorni scorsi assistendo, attraverso gli schermi televisivi e le cronache dei quotidiani, ad un’iniziativa di un importante partito politico di opposizione. Torniamo ai miei primi anni. Quando si svolgevano degli scioperi (e in quei tempi succedeva spesso) i segretari provinciali andavano in appoggio ai responsabili di zona (allora tutta l’attività si svolgeva all’esterno delle fabbriche). A me toccava la zona di Casalecchio di Reno (che ebbe un momento di tragica notorietà perché anni dopo un aereo militare si infilò in una scuola). Il responsabile di quel zona (che non era delle più importanti) si chiamava Enzo Guermandi, detto Cioè, perché era questo un intercalare che infilava ogni tre parole. La fabbrica più importante di quella zona era la Giordani, allora titolare di un marchio importante nelle carrozzine. Era una fabbrica ‘’difficile’’ perché non scioperava quasi nessuno. La nostra presenza nei pressi dell’azienda la mattina dello sciopero era poco più che un atto di testimonianza. Le maestranze, in generale donne, arrivano a piccoli gruppi che si allargavano quando si avvicina l’ora fatidica dell’inizio del turno. La sola cosa che poteva aver una qualche utilità era quella di imbastire un comizietto volante mentre le operaie entravano in gran fretta. Una mattina mi recai da solo davanti alla Giordani perché mi ero diviso i compiti con ‘’Cioè’’. Con grande stupore non vedevo arrivare nessuno. Mi chiesi se quella volta le maestranze avessero scioperato al 100%. Poi mi resi conto che c’era qualche cosa di strano, perché, all’ora dell’ultima chiamata’’ non suonò la sirena. Mi avvicinai ai cancelli (cosa che di solito non si osava fare) e li trovai sbarrati. C’era affisso un cartello in cui stava scritto che l’azienda era chiusa per evitare incidenti (che non c’erano mai stati, in verità). In sostanza mi era capitato di compiere un picchetto solitario ad una fabbrica chiusa. Quando e perché mi sono rammentato di quella topica? Quando ho visto il sit in del Pd davanti alla Rai nel buio di viale Mazzini. A Elly Schlein è andata meglio perché non mancava la presenza dei soliti aficionados. Però anche alla segretaria dem è capitato di presidiare un’azienda vuota. Non ha tenuto conto del Festival di Sanremo dove si erano rifugiati, a bordo di un <freccia rossa> speciale, tutti i capintesta della Tv di Stato. Il giovane Cazzola in quella mattina degli anni ’60 non poteva immaginare che il padrone della Giordani avesse deciso di non aprire la fabbrica. Alla meno giovane Schlein sarebbe bastato leggere i giornali per ricordarsi che ‘’Sanremo è sempre Sanremo’’.
Giuliano Cazzola