Lei deve ogni giorno, e attraverso lei il Comune di Torino, misurarsi con i problemi del lavoro. Con quale ruolo e in quali forme?
I problemi del lavoro, lei dice. In realtà, soprattutto i problemi della perdita del lavoro. Il campo dei nostri interventi riguarda infatti, essenzialmente, la disoccupazione. Alla quale facciamo fronte, d’intesa con le Provincia, e agendo insieme, in modi diversi. Attivando cantieri di lavoro per centinaia di persone, intervenendo sulla disoccupazione di lunga durata, individuando le forme più efficaci per i giovani o per le persone di età media, realizzando iniziative di outplacement, di tirocinio, di formazione. Siamo nell’ordine di migliaia di uomini e donne ogni anno: da cinquemila in su i contatti che abbiamo, sempre più di mille gli interventi messi in atto.
Quando nascono vertenze, quando un’azienda ristruttura, dichiara esuberi o cessa l’attività, intervenite?
Seguiamo le vertenze, sì. Anche se la loro sede istituzionale, quando è necessario arrivare a questo livello, è la Regione o la Provincia, se si tratta di aziende torinesi il primo impatto è nostro, passano, per così dire, prima da noi. E noi siamo a fianco del sindacato e al tempo stesso cerchiamo di stabilire le condizioni migliori per il dialogo; Seguiamo in modo costante e puntuale tutte le situazioni di difficoltà e/o crisi aziendali. Tutte le operazioni di riorganizzazione di aziende private in corso sono costantemente monitorate attraverso un continuo dialogo con i sindacati confederali e di categoria e con le imprese. Nel rapporto con queste ultime, usiamo la nostra conoscenza della realtà territoriale per individuare tutte le soluzioni possibili comprese le possibilità di ricollocazione dei lavoratori.
Deindustrializzazione, crisi del territorio, la Fiat e il suo indotto. Situazione grave, soluzioni tutt’altro che semplici.
Lo sapevamo, in questi anni abbiamo avuto la conferma. Da tre anni la perdita di migliaia di posti di lavoro nell’industria non viene compensata dalla crescita degli occupati nell’edilizia, che pure è forte, per le Olimpiadi, per le infrastrutture da costruire. E’ il problema più grande, e coinvolge principalmente l’indotto Fiat, anche se una parte si è diversificata e, attraverso un mix di innovazione e conoscenza, ha sviluppato sbocchi commerciali alternativi, sia in altri mercati, sia in altri settori dell’autoveicolo, sia in settori diversificati, in Europa e non solo.
Come affrontate questo problema?
Intanto, abbiamo con il ministero del Lavoro un accordo che garantisce a Torino, a livello regionale, provinciale e delle parti sociali, una maggiore attenzione in materia di cassa integrazione e mobilità. Poi, tenendo conto che il processo al quale lavoriamo, di profonda trasformazione strutturale, urbanistica ed economica, non è stato rallentato dal parziale mutamento dello scenario economico generale, ci muoviamo in due direzioni. La prima, una strategia delle ricollocazioni, che non sono facili perché dalle aziende in crisi escono lavoratori in possesso di professionalità importanti ma difficilmente riconvertibili. Quindi, su questo terreno, il nostro impegno è rivolto ad innalzare i livelli di formazione e riqualificazione. L’altra linea è la valorizzazione dell’insieme delle strutture produttive torinesi.
In che modo?
Abbiamo in mente una idea di distretto industriale. Crediamo sia la strada giusta per lo sviluppo dell’economia torinese. Il tentativo è quello di promuovere un impegno comune, uno sforzo solidale e coordinato delle aziende rivolto alla loro evoluzione tecnologica, ad iniziative verso il mercato internazionale, alla gestione della formazione, insieme ad un salto di qualità, che, sviluppando nell’ottica di sistema integrato il tessuto manifatturiero, di componentistica e di servizi che costituisce la filiera dell’auto a Torino ed in Piemonte, ci porti ad essere da distretto nazionale dell’auto a distretto internazionale.
Come pensate di arrivarci?
Un primo lavoro di lettura approfondita della realtà, per capire e governare le ragioni della crisi, è già stato fatto. In questa fase è aperta la discussione con Fiat per sapere quali sono le possibilità di continuità e la consistenza della presenza a Torino, non solo in termini di intelligenza, ma anche in termini di produzione. Oltre a ciò è necessario fare leva sulle altre basi dell’economia cittadina, quali ad esempio la Rai e l’aeronautica, ma accanto a queste filiere è necessario lavorare sulle nuove generazioni industriali come le telecomunicazioni e l’aerospaziale. E’ una idea di città che si propone di valorizzare anche la propria cultura ed il turismo, nella direzione quindi di una città che si trasforma senza perdere la sua storia, le sue conoscenze e le sue capacità, di una città che sa integrare old e new economy in una logica di sviluppo armonico e socialmente sostenibile. Con la consapevolezza che gestire questa transizione è possibile solo con una forte unità di intenti, e pertanto di concertazione territoriale.
Dovrete necessariamente coinvolgere le rappresentanze delle parti sociali.
Certamente. I rapporti con le parti sociali sono un elemento centrale della nostra politica. Abbiamo con loro relazioni costanti, che consideriamo fondamentali, prima di tutto in se stesse, in quanto metodo, ma più che mai in una situazione come quella di Torino, con tutte le sue oggettive difficoltà. Ci possono essere e ci sono problemi, all’interno di queste relazioni. Ma esse hanno una caratteristica di fondo: la serietà. Intendiamo per serietà delle relazioni la necessità di assumere insieme le priorità dello sviluppo del territorio.
E con i sindacati, in particolare?
Molti rapporti, a livello sia confederale che di settore, con la serietà cui accennavo prima, nella convinzione di tutti che quello della concertazione è il metodo giusto. Ad esempio, ogni anno , quando si deve impostare il bilancio ci confrontiamo con le strutture confederali per discutere, nei limiti delle risorse disponibili, determinati orientamenti di investimento e di spesa, stilando un verbale di accordo che chiamiamo ‘prova di concertazione’.
Ultima domanda. Le è servito, nell’esperienza di assessore, aver fatto per tanti anni il sindacalista?
Sì, più di quanto credessi. Mi ha insegnato – penso alle vertenze dei grandi gruppi – la consapevolezza della complessità, e comprendere e dominare la complessità è oggi non solo uno dei nostri problemi, ma uno dei problemi essenziali dell’uomo sociale moderno.