L’agghiacciante report della Fim Cisl su Stellantis (tutti gli stabilimenti per la prima volta in negativo, una produzione che a fine anno toccherà a stento le 300 mila unità) ha fotografato con la crudezza dei numeri una crisi dell’automotive italiana che rischia di diventare irreversibile. Non a caso da molti mesi i sindacati chiedono disperatamente al governo un confronto a Palazzo Chigi, arrivando a proclamare uno sciopero generale. Ma Palazzo Chigi all’auto non sembra prestare grande attenzione, forse perché non considera che valga la pena di investirci più di tanto. Così almeno parrebbe di intuire, dalle parole pronunciate dalla stessa premier Giorgia Meloni, in occasione dell’assemblea di Confindustria del 18 settembre scorso.
Parlando alla platea degli industriali e riferendosi al settore auto, Meloni ha infatti invitato a essere “preparati ai cambiamenti che sono in atto e che potrebbero subire un’accelerazione nel prossimo futuro”. “Penso al settore dell’auto”, ha precisato la premier, affermando poi testualmente: “dal dopoguerra a oggi, in Europa l’auto è stata il driver dello sviluppo: auto voleva dire acciaio, voleva dire vetro, voleva dire cemento. Ma voleva dire anche libertà, perché l’auto era anche un modello di vita. Oggi – avverte Meloni – questo sentimento rischia di cambiare. L’auto sta uscendo dai consumi dei giovani, non è più una loro priorità. Nelle generazioni precedenti era un fatto di realizzazione sociale, e l’evidenza ci dice che per le nuove generazioni potrebbe esserlo di meno, che i giovani potrebbero essere progressivamente sempre meno disposti a dedicare una parte significativa del proprio reddito familiare all’acquisto e al mantenimento di un’auto. Dobbiamo farci conto e dobbiamo farlo per tempo. Dobbiamo capire come possiamo prevenire, affrontare, risolvere, come possiamo individuare settori sui quali puntare, come possiamo accompagnare eventuali trasformazioni che sono necessarie”. In altre parole, la premier sembra domandarsi se per caso l’auto non sia ormai in un declino irreversibile, e se non convenga dunque puntare altrove.
In modo abbastanza curioso, Maurizio Landini, concorda con l’analisi di Meloni sul declino dell’auto, ma le sue conclusioni sono differenti. Intervistato da Marianna Aprile alla Festa della Cgil di Roma e Lazio, il 27 settembre, l’attuale leader della confederazione, un tempo a capo della Fiom, e dunque con una esperienza diretta sul campo, condivide l’idea della premier che l’acquisto di un’automobile non sia più centrale: “Quando quelli della mia generazione compivano i 18 anni – dice Landini – la prima cosa era comprarsi l’auto, la libertà era comprare l’auto. Oggi non è più così perché i giovani sempre più non compreranno l’auto, ma l’uso del mezzo di trasporto quando ne hanno bisogno. Non si tiene l’auto ferma in garage cinque giorni alla settimana, per poi usarla magari un solo giorno, pagando però intanto sempre bollo e assicurazione”. Dunque, osserva il leader Cgil, in prospettiva “chi vende le auto, comprese le concessionarie, dovranno trasformarsi e vendere solo l’uso dell’auto. E questo cambia tutto: quello che fa la differenza non è più l’auto, o il camion, ma la mobilità, ovvero come si spostano le persone, come si spostano le merci…”
“Questa battaglia va fatta in Europa – prosegue Landini – perché senza una politica europea non si va da nessuna parte. Siamo ad un passaggio importante: oggi il problema non è produrre solo le auto, oggi è produrre la mobilità. E questo pone anche il problema, che già si stanno ponendo i principali produttori di auto in Cina e in Giappone, di quali autostrade realizzare, perché le future autostrade dovranno essere costruite considerando le esigenze delle auto elettriche, ma anche di come dovranno essere le città, eccetera. E dunque di immaginare un modello sociale, di produzione e di sviluppo che abbia rispetto per l’ambiente”. Parlando poi del destino di Stellantis, Landini ricorda gli scontri con Marchionne: “nel 2010, nel 2011, eravamo solo noi della Fiom Cgil a dire che le scelte che faceva la Fiat, diventata poi FCA, erano sbagliate: perché allora la teoria era che l’elettrico era una cavolata, che bisognava investire sul lusso, che bisognava abbandonare determinate linee. All’epoca tutti i governi sostenevano le scelte dell’azienda, e oggi scoprono che paghiamo quei ritardi lì, che paghiamo le scelte non fatte, che paghiamo il fatto che la Famiglia si ridistribuisce gli utili anziché fare gli investimenti”.
D’accordo sulla necessità di giocare la partita sul campo europeo anche Matteo Renzi: “Non solo Stellantis è in difficoltà – ha sottolineato il leader di Italia Viva parlando all’assemblea romana del suo partito – ma perfino Volkswagen oggi è costretta a chiudere stabilimenti e a licenziare 15 mila persone, a causa dell’auto elettrica prodotta in Cina. E dire che fino a qualche tempo fa Volkswagen era cosi forte che esportava le sue auto proprio in Cina”. Il vulnus iniziale, prosegue Renzi, va individuato nella decisione Ue sulla fine del motore endotermico: “è la scelta affrettata sull’auto elettrica che ha distrutto l’automotive” scandisce, trovandosi in sintonia con Meloni, che ha definito “una scelta non molto intelligente” quella europea del green deal, nonché con la Confindustria, che sul green deal da un giudizio totalmente negativo, e perfino con una parte del sindacato, fin dall’inizio convinto che la scadenza del 2035 sarebbe stata nefasta per il settore. Ma Renzi aggiunge un dettaglio in più: e cioè che, in prospettiva, “il tema dell’auto elettrica potrebbe diventare un problema di sicurezza nazionale”. L’ex premier cita a questo proposito un recentissimo documento dell’amministrazione americana, che partendo dalla catena di esplosioni delle batterie di cercapersone e walkie talkie in Medio Oriente, fa esplicito riferimento ai potenziali rischi che potrebbero rappresentare le auto elettriche alimentate “con batterie prodotte in paesi sui quali non è possibile esercitare un controllo democratico”. Ovvero, appunto, Cina e dintorni.
Quanto a Stellantis e alle altre Case europee, per Renzi la salvezza sta nell’accorparsi: “l’auto può farcela solo con la creazione di un grande campione europeo, altrimenti Cina e Usa in breve tempo ci faranno a pezzi”. Campione europeo del quale dovrà far parte anche Stellantis, assieme a Renault: “È giusto chiedere a John Elkann di investire di più -avverte- ma non sarebbe comunque sufficiente. Stellantis ha un futuro solo se entra in un grande gruppo europeo. Un accordo con Renault sarebbe positivo”. Un’uscita che ha provocato le reprimende della destra: “Renzi e il Pd vogliono regalare l’auto alla Francia”, hanno commentato i giornali più vicini al governo. Ma per il leader di Iv non esiste il problema della nazionalità: “non servono certi paraocchi ideologici. Pazienza se Stellantis diventerà ancora più francese di quanto già non sia oggi, visto che è già assieme a Peugeot. L’importante è che non chiudano le nostre fabbriche e non ci siano licenziamenti. E poi, in fondo, Renault ha un capo italiano, Luca De Meo, mentre Stellantis ha un Ad portoghese…”
Nunzia Penelope