Il diario del lavoro ha intervistato Massimo Dapporto, presidente dell’ApTI, Associazione per il Teatro Italiano, per chiedergli lo stato di salute del settore spettacolo dal vivo prima e durante l’emergenza Coronavirus.
Dapporto, com’è la situazione del settore, ai tempi del Coronavirus?
Si sente la mancanza di regole. Le compagnie sono ferme, i teatri sono chiusi, gli attori non ricevono la paga. Ma la situazione prima era simile per quanto riguarda le regole e il dialogo con la politica.
In che senso?
Quando nel 2018 abbiamo discusso a Milano sul Welfare del Teatro Italiano, ci sono state tante belle parole ma non c’è stato seguito. Noi andiamo avanti e facciamo vedere che ci siamo. Dobbiamo sederci a un tavolo e discutere, sopratutto con Francheschini.
Non c’è dialogo con la politica?
Il problema è che chi ci dovrebbe ascoltare comunque non capisce le dinamiche del nostro settore, sono dei tecnici, capiscono fino a un certo punto. Non sono dentro ai problemi che circondano l’attore italiano.
Non sono competenti o proprio non gli interessa?
Entrambe le ipotesi, tra loro in parte collegate. È mancanza di competenza, e quando non capiscono le nostre dinamiche, di conseguenza non prendono neanche a cuore i nostri problemi, li prendono con le molle.
Come pensa possa cambiare la situazione?
Sono dei tecnici, penso dovrebbero affiancarsi a qualche importante nome dello spettacolo italiano e ascoltarlo. Se non vogliono ascoltare il gruppo, le associazioni, almeno ascoltino il singolo. Ma questa persona deve aver vissuto in prima persona le nostre dinamiche, e riuscire ad aprirgli gli occhi. Rimandano gli incontri, rimandano gli impegni, poi dicono si dopo anni e finisce sempre che non cambia nulla.
Dal punto di vista contributivo, qual è la situazione degli attori?
Ci sono persone alle quali non hanno conteggiato i contributi che hanno fatto per tutta la vita teatrale. Molti datori di lavoro non pagano i contributi e dopo lo Stato li chiede dall’attore. Parlo per esperienza personale.
E come avete reagito?
Alcuni di noi si sono messi in gruppo con un avvocato per chiarire delle questioni contributive con l’Enpals, oggi Inps, e sono saltate fuori delle gravissime mancanze. La Cassazione ha riconosciuto che la colpa era dei datori di lavoro che non versavano, non dell’attore che i contributi non li ha mai visti. Ma nel nostro caso ci siamo dovuti organizzare in gruppo con tanto di avvocato.
Un singolo attore come può orientarsi su queste questioni?
L’attore di teatro e l’attore in generale ci capisce poco di questioni burocratiche. Per quanto ci riguarda sono stati gli avvocati ad informarci sul fatto che lo Stato ci doveva soldi. Pensi che all’inizio ci rispondevano che dovevamo pensarci prima. Ci sono casi dove le imprese private non pagano proprio gli attori o li pagano meno del minimo sindacale. Quando falliscono, l’attore non vede mai un centesimo.
Ma non basta rivolgersi al sindacato?
In effetti si tende a pensare che esista un sindacato che ti difende; nella realtà è sempre più latitante. Ci siamo resi conto che la Cgil dovrebbe essere più presente nei nostri confronti. Purtroppo stiamo ancora a fare i discorsi dei vecchi del tipo “una volta era diverso”…
In che senso?
Una volta c’erano degli impresari veri. Adesso ci stanno degli avventurieri, che prendono nomi che vanno per la maggiore che non hanno mai messo piede in un palcoscenico; ma siccome c’è la curiosità del pubblico, allora li prendono e li mettono in scena, questi personaggi improvvisati. Li fanno girare per un anno per fare cassa. Questi impresari sono dei bottegai che non hanno niente a che fare con l’amore per l’arte. Una volta, il produttore andava a vederle le prove, mentre adesso manca proprio la presenza a livello artistico dell’impresario.
Esiste una differenza nel modo di trattare gli attori tra gli Stabili e i Teatri privati?
Solitamente gli Stabili rispettano le regole. Sono i teatri privati invece che non le seguono, ed è qui che dovrebbe intervenire il sindacato. Penso ai giorni di riposo, che spesso non esistono.
Cioè?
Le parlo anche per esperienze personali, ma i giorni di riposo nella pratica non ci vengono pagati. Non abbiamo più un contratto continuativo, ma a spettacolo, a Cachet, questo è il punto. Quindi se l’attore si ferma per prendersi un giorno, in teoria un suo diritto, non viene semplicemente riconosciuto. Sulle trasferte è il delirio: a volte fanno viaggiare gli attori in macchina per 400 Km il giorno stesso dello spettacolo. Si immagini, dopo ore di viaggio, come si possa andare poco dopo, trafelato, in scena.
Tutto per risparmiare l’albergo e pasti?
Certo. In teoria, superati i 300 Km, un attore avrebbe diritto a un giorno di riposo dopo il viaggio. Quindi ci si ferma e si lavora il giorno dopo. Certo, non succede tutti i giorni, per fortuna. È un accordo tra noi attori e l’impresa privata. Una dinamica anche ricattatoria, perché rifiutarsi di fare il viaggio della speranza per poche lire significa anche mettere in mezzo tutta la compagnia, lo spettacolo, i colleghi, insomma salterebbe tutto quanto. Spesso molti attori risolvono pagando di tasca propria albergo e ristorante per arrivare almeno il giorno prima.
Pagate anche la benzina?
La benzina almeno non la paghiamo.
Conosco realtà dove il carburante lo pagano gli attori. Per questo mi sembra di capire che le regole cambiano non in base ai contratti ma alla contrattazione individuale dell’attore.
Si, dipende dallo spessore dell’attore, da quanta esperienza ha nel settore, da quanto è conosciuto dal pubblico. Bisogna fare gavetta anche per quanto riguarda il compenso. Allora si riesce ad avere dei margini di contrattazione. Chi vuole fare questo mestiere deve avere qualità, talento ma tanta, tanta fortuna.
La gavetta almeno prevede un certo grado di sicurezza, qui sembra la legge del più forte…
Si, la situazione è disastrosa. Io sono stato fortunato, ho lavorato tanto, nel teatro, nel cinema, doppiaggio, ho fatto l’accademia, con una gavetta dal ’71 all’84 con mille lavoretti, e una volta che il mio nome iniziava a circolare, qualcosa nel lavoro ingranava. Ma se non avessi avuto determinati incontri nella vita, con grandi personaggi dello spettacolo, non so in che situazione sarei adesso. Questa è la fortuna che le dicevo prima.
Se la situazione del settore era disastrosa, adesso come riesce l’attore ad andare avanti, con l’Italia in emergenza Coronavirus?
In questi anni sono stato una formichina, quindi in questo periodo posso resistere economicamente qualche tempo. Ma tanti colleghi sono allo sbaraglio. Per dire, adesso le prove non si possono fare. E chi le ha fatte non può andare in scena per i Teatri chiusi. Che fanno adesso, si girano i pollici?
Voi come vi siete organizzati?
Abbiamo rimandato degli spettacoli a Giugno, ma i miei colleghi sono in dubbio se andranno o meno in scena. Nel frattempo, prepariamo da casa la memoria, e quel che possiamo fare lo facciamo. Perché ci fa sentire vivi. Faremo le prove al telefono, che le devo dire. Senza contare che mi chiedo come faranno gli altri lavoratori del mondo teatrale.
Ad esempio?
Tutto il personale dei teatri privati, mandati a casa, salutati e basta. Ma stanno ricevendo una paga regolare? E le maschere? I bar? I tecnici, che fine hanno fatto? Ora è tutto fermo, riusciranno ad ottenere dei soldi per andare avanti? Siamo nell’indifferenza più totale da parte della classe politica.
Esiste un sostegno, per questi lavoratori, per aiutarli in questo momento di emergenza?
Il problema è proprio la natura dell’emergenza: per causa di forze maggiore, si cancella tutto, ti mandano a casa e basta. L’epidemia è forza maggiore, è come un terremoto. Guardi, noi siamo tristi. Mi sembra che ci sia nell’aria il lutto, il dolore del lutto. Io lo sento. Penso che ne usciremo segnati. Sono quelle cose che ti mandano dallo psicanalista. La borsa prima o poi riprende. Noi, vedremo.
Alla fine della fiera bisogna vedere se riuscirete a pagarvelo lo psicanalista.
Ma si, alla fine ci rivolgeremo ai sindacati.
Emanuele Ghiani