Sono trascorsi vent’anni da quella tremenda mattina in cui Massimo D’Antona venne atteso da un commando delle Nuove Brigate Rosse ed assassinato durante il tragitto tra la sua abitazione e lo studio. Massimo si accorse dell’agguato. Provò a difendersi, inutilmente, al riparo della borsa che portava con sé. Ma gli assassini non gli lasciarono scampo. D’Antona era un giuslavorista, uno dei migliori della sua generazione, succeduta a quella dei grandi maestri che, nel dopoguerra, aprirono nuovi orizzonti in materia di diritto del lavoro, in particolare nel settore del diritto sindacale, fino ad allora rimasto confinato in una ‘’terra di nessuno’’ compresa tra il diritto corporativo e l’attesa messianica dell’attuazione dell’articolo 39 Cost.
Ricordo ancora quel 20 di maggio. Io ero presidente f.f. del Collegio dei sindaci Inpdap e stavo nella sede di Via Gerusalemme 55, la stessa che, da anni, è occupata ed è salita nei giorni scorsi agli onori delle cronache per il colpo di mano dell’Elemosiniere del Papa, che, con l’esperienza di un elettricista dei servizi speciali, ha riattivato la corrente la cui erogazione era stata bloccata per il mancato pagamento delle bollette. Mi avvertì della tragedia il presidente del CIV Aldo Smolizza, già segretario della Cisl, quando io lo ero della Cgil. Sul momento, pensai che quell’atroce sorte fosse toccata a Sergio D’Antoni allora leader della Confederazione di Via Po, forse perché non mi sarei mai aspettato che Massimo, una persona mite e in un certo senso ‘’defilata’’ potesse entrare nel mirino dei terroristi. Quando Smolizza mi chiarì l’equivoco fui travolto da sentimenti di dolore che, tuttavia, non riuscirono a prevalere sullo stupore per quell’attentato.
Ancora oggi, a vent’anni di distanza, non riesco a fornire un senso a quell’omicidio. Se posso azzardare una valutazione, ebbi allora l’impressione che un filo rosso di stupore fosse intessuto anche nel grande dolore della moglie Olga, quando volle prendere la parola e ricordare il marito durante la manifestazione di protesta che seguì l’omicidio. Olga si rivolse agli assassini di Massimo chiedendo loro in quale caverna fossero vissuti per tanti anni senza rendersi conto di quante cose fossero cambiate nella società e per decidere, con il solo supporto della loro ideologia, di uccidere un uomo buono e gettare nello sconforto la sua famiglia. Credo però che sia tempo sprecato quello rivolto a trovare una logica nella follia del terrorismo. Conoscevo bene Massimo. Era uno stretto collaboratore del coordinamento giuridico della Cgil, di cui io ero responsabile per la segreteria confederale; in quel ruolo svolgeva un’attività di consulenza non solo per la confederazione e le federazioni di categoria, ma anche per le strutture periferiche, essendo la sua autorevolezza riconosciuta dai colleghi che colà collaboravano. Massimo era stato anche sottosegretario ai trasporti. In precedenza si era occupato, insieme ad altri, tra cui Franco Carinci, della c.d. privatizzazione del pubblico impiego (forse fu questa grande operazione di carattere politico e culturale che non gli fu mai perdonata).
Negli ultimi mesi di vita era consigliere del Ministro Antonio Bassolino (che ha voluto dedicare un affettuoso ricordo al suo collaboratore nel XX anniversario della sua scomparsa). La strategia assassina delle BR è sempre stata rivolta a colpire (fu così anche per il mio amico Marco Biagi) personalità- chiave nei processi decisionali, quelle che sanno impostare e portare a termine l’elaborazione di un provvedimento, spesso in simbiosi con il leader politico che si assume il compito di condurlo a destinazione. È questo il profilo di tanti martiri del terrorismo: Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli, Massimo D’Antona, Marco Bagi. La presenza di queste persone nella realizzazione di un importante progetto politico è fondamentale, per l’apporto di dottrina, esperienza e professionalità con cui possono corredare e implementare – di sostanza scientifica e giuridica – l’intuizione del responsabile politico. Ho avuto anche il piacere di conoscere Olga D’Antona: ambedue deputati, in parti avverse, nella XVI legislatura. Olga mi rese un onore grandissimo, quando mi chiese, nel 2009, di commemorare suo marito in una cerimonia che si tenne alla Sapienza. Erano già trascorsi dieci anni da quel 20 maggio di sangue e dolore.