Tra le bizzarrie dell’ultima tornata elettorale di marzo c’è il caso Puglia. Regione che ha tributato un successo enorme alle liste dei Cinque Stelle, e tuttavia regione che vive anche in buona parte attorno all’Ilva di Taranto, la cui chiusura è uno dei punti chiave del programma politico dei Cinque Stelle. Una contraddizione non da poco, che riguarda ovviamente anche il sindacato e la sua base. Il Diario del lavoro ne ha parlato con Daniela Fumarola, segretario generale della Cisl Puglia.
Fumarola, come si spiega questa sorta di schizofrenia dei cittadini pugliesi? Votare 5 Stelle, e vivere dell’Ilva, come si concilia?
La spiegazione è abbastanza semplice: le persone scindono la rappresentanza politica da quella sociale. Noi, e intendo la Cisl, abbiamo sempre avuto una base associativa diversificata, che raccoglie diversi schieramenti politici: non è una novità. Però, come spesso è avvenuto, le nostre persone fanno determinate scelte nelle urne, ma poi chiedono a noi di tutelarli. Tant’è che c’è una battuta che circola nel sindacato, ed è che dopo le elezioni dobbiamo difendere i nostri iscritti dal loro stesso voto
E voi come affrontate questa diciamo ambiguità?
Mettendo in campo la nostra capacità di interlocuzione con qualunque forza politica che voglia dialogare con le parti sociali, con qualunque governo di qualunque colore. Con i Cinque Stelle e con la Lega, che pure ha avuto una forte affermazione al sud, ci comporteremo nello stesso modo: chi vuole dialogare ci trova sempre disponibili.
Però il confronto con chi chiede la chiusura dell’Ilva non sarà facile
Le opinioni degli altri le rispettiamo ma certamente non le condividiamo. Noi siamo contrari alla chiusura. L’Ilva è una realtà produttiva che dà lavoro a ventimila persone. Non è solo Taranto che vive dell’Ilva. Non la si può spegnere come la cucina di casa. Adesso siamo arrivati a un momento dirimente, ci sono stati i pareri Ue, ci sono le risorse, noi chiediamo che si faccia presto e per bene.
Ma c’è anche un problema legato alla salute pubblica, o no? Ho sentito un giovane dipendente dell’Ilva dire la seguente frase in una intervista: ‘’tra morire di cancro tra vent’anni, o di fame subito, preferisco il cancro’’. Possibile che sia questa la scelta obbligata? Lavoro o fame, lavoro o morte?
È un sentimento molto presente. Tutto questo è il simbolo di come si vive a Taranto. I ragazzi in particolare hanno un atteggiamento molto conflittuale con l’Ilva, non possono rinunciare al loro lavoro, ma temono per la loro salute. Quando qualche anno fa si fece un referendum per la chiusura dello stabilimento, indetto da un comitato civico, andarono a votare in pochi. Perché le persone devono e vogliono lavorare. Però vogliono anche il risanamento della fabbrica.
Ed è davvero possibile risanarla?
Siamo convinti che la questione si possa risolvere solo coinvolgendo tutti, e cioè istituzioni, mondo scientifico, sindacati, cittadini, lavoratori. Rendere la fabbrica ecocompatibile è possibilissimo, noi lo abbiamo dimostrato fin dal 2003, quando portammo a Taranto esperti di tutto il mondo. È provato che i territori colpiti da industrie pesanti una volta risanati sono i migliori per vivibilità. E l’Ilva potrebbe diventare un modello nel nostro paese.
Resta che a Taranto i cittadini hanno votato in massa un partito che vuole la chiusura dell’Ilva.
Non credo che il voto ai Cinque Stelle sia legato al tema Ilva. Intanto c’era l’onda che montava, c’erano le persone stufe dell’atteggiamento dei partiti tradizionali.
Per cui è stato un voto “di pancia”, come si usa dire?
A me non piace usare questa definizione: non è un voto di pancia, ma un voto che riassume un sentimento che è oggi dominante tra le persone. Si vota Cinque Stelle perché si vuole dire basta al vecchio sistema. Salvo poi venire da noi, dal sindacato, a cercare lavoro e protezione sociale.
Si dice che nel successo dei 5Stelle al sud abbia pesato non poco la promessa del reddito di cittadinanza, è così?
Non c’entra niente il reddito di cittadinanza. Basta vedere il dinamismo che c’è qui tra i ragazzi, la voglia di crescere anche culturalmente che hanno. Le persone vogliono un lavoro, non un sussidio. E quindi quello che dobbiamo fare è attivare tutto il possibile per creare occupazione e per rendere stabile ciò che oggi è precario.
Nella sconfitta della sinistra, secondo lei, che cosa invece ha pesato, quali errori sono stati commessi dal governo del Pd? Governo nel quale, oltretutto, erano presenti due ministri molto amati dalla vostra base, come Carlo Calenda e Teresa Bellanova, che si sono spesi come nessuno mai per cercare di risolvere gravissime crisi industriali, compresa l’Ilva.
È vero. Sia Calenda, che conosco poco, che la Bellanova, che invece ho frequentato di più, hanno fatto molto bene. Sono persone che hanno dimostrato di crederci, di darsi da fare per trovare soluzioni a problemi enormi che toccano la vita di migliaia di persone. E però nella cabina elettorale non se lo ricorda nessuno, non conta. E’ strano, perché mai come con questo governo ci sono state attenzioni e misure concrete per il territorio di Taranto, dal Cis (Contratto Istituzionale di Sviluppo) alle bonifiche. Ma la gente ha percepito soltanto un Pd litigioso e spaccato in correnti interne. Qui, nella regione di Emiliano, ne sappiamo qualcosa…Inoltre, direi che il governo del Pd non ha saputo raccontare nel modo giusto le molte cose positive che sono state fatte. Hanno indirizzato male la comunicazione, si sono rivolti alle élite, mentre la gente ‘’normale’’, diciamo, non si è sentita chiamata in causa come interlocutore, e non ha capito. Serviva un linguaggio diverso, più diretto e vero. Per questo le persone che abbandonano la sinistra non abbandonano invece il sindacato: perché noi della Cisl parliamo un linguaggio di verità.
Tra gli “errori” che il governo può aver pagato nelle urne noto che non ha citato il Jobs act. Come mai? Non crede che la contestatissima riforma del lavoro abbia contribuito alla perdita di consensi?
No, non credo che il Jobs Act abbia influito sul voto. Diciamo che ciascuno lo ha rapportato alla propria posizione, che era molto individuale, e poi questo è diventato un fatto collettivo. In Puglia, per esempio, ha pesato di più il tema della salute. Qui in regione non si fa praticamente nulla per risolvere una situazione che ha aspetti drammatici. Faccio un esempio: nel 2016 come sindacati avevamo fatto un importante accordo con la Regione, per occuparci bilateralmente dei problemi della sanità pubblica. Be’, dopo la firma, sono passati ben dieci mesi prima di riuscire ad avere un altro incontro, una interlocuzione a qualunque livello, e l’accordo è restato lettera morta. Il governatore ovviamente non lo vediamo mai, ha altro da fare…
Come vede il futuro del paese, alla luce del caos post-elettorale, della possibilità che si torni addirittura a votare?
Sono molto preoccupata. Penso che l’Italia non si possa permettere di non avere un governo stabile, che dia seguito a quei segnali di crescita economica che da tempo sono evidenti, anche al Sud. Pensare che tutto quello che è stato fatto finisca nell’oblio è drammatico. Soprattutto al Sud: avremmo bisogno di investimenti massicci, perché si ripete sempre che se cresce il sud cresce anche il paese, però in campagna elettorale nessuno ha parlato di sud, e di fatto non abbiamo interlocutori.
Visto come si stanno mettendo le cose, magari tra qualche settimana, o tra qualche mese, ci sarà un governo Salvini. Sarà un interlocutore per il mezzogiorno, per il sindacato nel mezzogiorno?
Salvini è molto amato anche da queste parti, ha avuto un grosso successo. E credo che se si rifaranno le elezioni prenderà ancora più voti anche al sud, certamente più dei Cinque Stelle. Se così sarà, è chiaro che parleremo anche con Salvini: a schiena dritta, come facciamo con tutti.
Nunzia Penelope