Cinquant’anni fa, esatti, nacque la grande esperienza delle 150 ore. Una conquista sindacale che arrivò con il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, firmato appunto il 19 aprile del 1973. L’accordo prevedeva il diritto per tutti i lavoratori di seguire corsi di studio, usufruendo di permessi per 150 ore nel triennio, per prendere la licenza elementare, o quella media, e in generale per rispondere a domande soggettive di acculturamento. Rimase famosa la domanda che nel corso delle trattative un rappresentante del fronte imprenditoriale rivolse ai sindacalisti: “Ma cosa vogliono imparare? A suonare il clavicembalo”? E ancora più famosa la risposta, tranchant: “Sì, se lo desiderano”.
Alla base di questa rivendicazione c’era una precisa richiesta dall’Ilo, l’organizzazione del lavoro delle Nazioni Unite, perché si accrescesse il livello culturale dei lavoratori. E fu Bruno Trentin, allora alla guida della Fiom Cgil, a battersi per portarla avanti. Se ne parlava molto e fu il contratto dei metalmeccanici del 1973 a realizzarla. Non fu l’unica grande conquista di quel famoso contratto, che tradusse in realtà la grande spinta dell’autunno caldo del 1969. Con quel contratto si definì il nuovo inquadramento unico, che superò la divisione tra operai e impiegati, prima di allora due mondi distinti e divisi. E ancora, fu sancito il principio dell’aumento salariale uguale per tutti. Non fu un grande affare quest’ultimo, perché, unito al valore unico del punto di contingenza, che fu varato due anni più tardi, in breve tempo scardinò l’intero sistema retributivo. Ma fu questo il primo momento di attenzione alla persona, che poi si perse e che è tornato di attualità proprio nell’attuale stagione, dopo la triste esperienza della pandemia.
Complessivamente, le 150 ore furono molto importanti per la crescita del paese. Vi parteciparono milioni di lavoratori, almeno un milione prese il diploma della scuola d’obbligo. Crebbe il livello culturale del paese nel suo complesso, ma anche il livello di democrazia. Tutto il sindacato si mobilitò per anni con coraggio e grande forza d’animo. Poi finì. Un po’ perché la gran parte dei lavoratori interessati aveva compiuto questa esperienza formativa, si era esaurito il bacino dove pescare, un po’ perché con gli anni 80 iniziarono le divisioni nel sindacato, tra le confederazioni, e questo spense quel fuoco che aveva dato vita all’operazione.
Da qualche anno però l’argomento è tornato all’attenzione generale. Se ne sono fatti carico ancora una volta i metalmeccanici quando, con il rinnovo contrattuale del 2016, hanno sancito il diritto alla formazione, destinando otto ore l’anno a questo obiettivo. Non è esattamente la stessa cosa, in realtà. Se le 150 ore erano destinate a far crescere il livello di acculturamento degli operai, per farli uscire da una situazione di minorità, il diritto alla formazione punta invece a far crescere l’occupabilità dei lavoratori. Ma la situazione è cambiata in questi cinquant’anni. Adesso l’urgenza è far fronte alla condizione di chi, più o meno, è costretto a cambiare lavoro ogni sette, otto anni e deve essere in grado di rispondere alle richieste del mercato del lavoro, la formazione continua è un’esigenza.
Il contratto del 2021 ha poi confermato e ampliato quel diritto. Ma è ancora poco, bisognerebbe estenderlo, impegnarvi ancora più risorse. O meglio, sarebbe necessario spendere meglio le risorse che ci sono già e che sono ingenti. Alla fine degli anni 90 infatti fu deciso di accantonare lo 0,30% del monte salari e di destinare questa somma alla formazione. Erano gli anni in cui si propugnava la società della conoscenza e si giunse così alla creazione dei fondi interprofessionali, che hanno cambiato il panorama della formazione continua.
Questi fondi funzionano, anche bene, ma accumulano tantissimi, troppi residui passivi, un vero tesoretto che non a caso suscita l’interesse dei governi, tutti tentati dalla voglia di metterci le mani. La scommessa allora dovrebbe essere quella di partire ancora una volta da questa esperienza e riuscire a dare maggiore ampiezza e concretezza all’impegno per la formazione, che viene indicata da tutti come l’unico vero strumento per affrontare il futuro, ma che vive per lo più stentatamente. Servirebbe fantasia, e un po’ di coraggio.
Massimo Mascini