Si può anche cambiare segretario, si può anche cambiargli il simbolo, al limite si può addirittura cambiargli il nome (e questa idea di chiamarlo Partito del lavoro è forse la più interessante), ma il problema dell’attuale Partito democratico è un altro. Ovvero sé stesso.
Come si dice con una frase fatta, il difetto sta nel manico, dove il manico sarebbe la sua nascita. Se invece di fondersi in un partito unico (una fusione peraltro fredda, anzi gelida) i Ds e la Margherita fossero rimasti separati nelle loro strutture, nei gruppi dirigenti e in parte nella loro cultura politica, forse, chissà, oggi potremmo avere due partiti di centrosinistra distinti ma alleati, capaci di raccogliere più voti di quel misero 18 per cento che hanno preso alle ultime elezioni, e magari in grado di raggiungere la maggioranza dei seggi parlamentari, magari aiutati dai piccoli satelliti della sinistra. Invece quell’”amalgama non riuscito” (D’Alema dixit) non è appunto riuscito. E oggi si dibatte fra nomi da presentare alla primarie (ancora le primarie..), tra linee politiche delle quali non si distingue la differenza sostanziale, tra promesse di rinnovamento o addirittura di rifare tutto il Partito che lasciano il tempo che trovano. Come quelle del marinaio.
Ma siccome la storia non si fa con i “se”, è questo Pd che bisogna analizzare e fotografare. E francamente la fotografia che ne viene fuori è tutt’altro che confortante. Sfocata, mossa, confusa, sbiadita nei suoi contorni. È un partito di sinistra? Non sembra, malgrado gli annunci di alcuni dei suoi dirigenti. Di centrosinistra? Non si è mai capito cosa fosse il centrosinistra: una sinistra più moderata, un centro più radicale, un ectoplasma che si muove come una zattera trascinata dalle correnti del momento? Un qualcosa che prende idee (chiamiamole così) una volta da una parte e una dall’altra? Un partito che fa dei diritti civili la sua ragion d’essere (ma anche qui le posizioni sono diverse al suo interno)? Oppure che mette i diritti sociali al centro della sua iniziativa politica? E qui entriamo nella sfera dell’oblio: la questione sociale è da tempo scomparsa dall’agenda del Partito democratico, salvo riaffiorare ogni tanto quando qualcun altro la brandisce come arma politica (vedi Conte e i suoi Cinquestelle).
Tuttavia per quanti difetti abbia, per quanto inadeguato appaia di fronte alle sfide della attualità, per quanto abbia perduto lo zoccolo duro del suo elettorato, ovvero quello dei lavoratori dipendenti, il Pd è ancora il Partito principale della sinistra (?). E dunque non si può far finta che non esista, lui e i milioni di elettori che ancora lo votano. Ecco perché bisogna guardare con curiosità al suo imminente congresso, alle candidature che in questi giorni di susseguono, ai programmi che a dir la verità non si vedono ancora, insomma a quel mondo che forse in futuro, un futuro che oggi sembra molto lontano, potrebbe rappresentare il fulcro della rinascita e della rivincita contro la destra di Giorgia Meloni.
Prima però tocca aspettare che nei prossimi mesi questo partito ci spieghi chi è, da dove viene (questo in realtà lo sappiamo) e soprattutto dove vuole andare. Con chi e per fare che cosa. E non basterà scegliere uno dei vari dirigenti che si sono messi in corsa, da Stefano Bonaccini a Elly Schlein, fino a Paola De Micheli e a chi si aggiungerà nei prossimi giorni. Ognuno di loro ha certamente un profilo politico d mettere in campo, ma quel che manca è il profilo generale, quello del Partito.
Ecco allora una proposta indecente, o se volete un consiglio non richiesto: cari dirigenti del Pd, chiunque voi siate, chiamate un bravo regista – ce ne sono parecchi – uno che ovviamente ami la sinistra. E che abbia voglia di girare un documentario come fece Nanni Moretti ai tempi della svolta di Occhetto. Uno che vada in giro per le sezioni che oggi si chiamano circoli e intervisti gli iscritti al Pd, prima che scompaiano del tutto. E da loro si faccia dire quale partito vogliono, quali dirigenti preferiscono e quali sono i valori sui cui basare il futuro della sinistra. Chissà che non esca fuori qualche buona idea, in fondo sarebbe una procedura democratica, questa sì veramente costituente, capace di coinvolgere una massa di persone tanto brave e volenterose quanto oggi allo sbando. Quel documentario di Moretti si chiamava “La Cosa”, questo si potrebbe chiamare “Che cosa?”.
Riccardo Barenghi