‘’Il bullismo consiste in comportamenti aggressivi e ripetitivi perpetrati da una o più persone nei confronti di una vittima incapace di difendersi’’. È questa la definizione degli atti di prevaricazione che alcuni soggetti vili ed arroganti esercitano nei confronti di persone più deboli, nell’ambito della medesima comunità. Alla lunga, il bullismo finisce per assumere i connotati della discriminazione e, se la vittima presenta particolari caratteristiche, può scivolare nel razzismo.
Limitarsi a tacciare di bullismo gli esponenti del governo e della maggioranza giallo-verde è un gesto di prudenza e di cortesia che loro non meriterebbero, perché la linea di condotta che tengono nei confronti degli stranieri denota una vera e propria ostilità preconcetta, tanto più grave quando essa si esprime attraverso l’utilizzo del potere legislativo ed amministrativo.
Non credo che ci sia da aggiungere nuovi particolari nel segnalare il ricorrente abuso di potere del ministro di Polizia, Matteo Salvini, quando gli capita a tiro un’imbarcazione di una odiata onlus che si sia azzardata a soccorrere qualche dozzina di profughi dispersi nel Mediterraneo. Tutti sappiamo che gli sbarchi avvengono ancora e non potrebbe che essere così sulle spiagge di un Paese, come l’Italia, che è una grande portaerei a bagnomaria nel mare nostrum.
Ma Salvini ha imparato a cogliere l’attimo, a trovare l’occasione buona per abbindolare una massa di beoti affetti da celodurismo (purtroppo è un virus che sta dilagando per tutta la penisola). La legge sulla sicurezza (i profughi vengono messi assieme ai mafiosi e ai delinquenti) ha gettato, poi, in mezzo ad una strada centinaia di migranti in possesso del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nelle operazioni di bonofica il ministro ha voluto colpire (da Riace al Centro Baobab fino al Cara di Castelnuovo di Porto) le situazioni meno degradate dove erano in corso processi positivi di accoglienza organizzata, ma girando al largo delle baraccopoli più devastate.
Potremmo parlare anche del Consiglio regionale della Lombardia che ha votato, su proposta della Lega, una mozione di critica, minacciando di tagliare loro i finanziamenti, nei confronti delle amministrazioni comunali che promuovono lavori socialmente utili in cui sono coinvolti migranti. Ci sono poi delle ‘’cattiverie’’ – compiute per via legislativa – assolutamente persecutorie, perché pensate apposta per creare difficoltà agli stranieri residenti. Vediamone alcune. Nel decreto fiscale è stata introdotto un prelievo dell’1,5% sulle rimesse degli immigrati mediante il transfert money. Quelle piccole somme che gli stranieri, se regolari, inviano alle famiglie lontane sono tratte dal loro salario netto e quindi sono già state tassate e per esse si sono versati i contributi sociali. L’ulteriore balzello (da cui entreranno nelle casse dello Stato 63 milioni) non ha alcun senso, tanto che è stato duramente criticato dall’Antitrust. Il Garante, infatti, ha chiesto al governo di apportare “opportune modifiche” alla legge che eliminino gli “effetti discriminatori” dell’imposta e ripristinino “le condizioni per un corretto confronto competitivo”.
Ovviamente quando si riferisce a quest’ultima esigenza l’Antitrust intende tutelare le agenzie di transfert money che sono penalizzate rispetto alle banche e alla Posta. Gli extra-comunitari sono poi stati esclusi dall’accesso alla Carta della famiglia, a tutela dei nuclei con molti figli. Sempre a carico dei soli cittadini stranieri sono aumentate le tasse su permessi di soggiorno e naturalizzazioni (queste ultime sono circa 200mila l’anno). Essendo, poi, 1,5 milioni i permessi che si rinnovano annualmente, possiamo calcolare almeno 200 milioni di maggiori entrate (ad esempio, il costo per la pratica di acquisizione di cittadinanza italiana passa da 200 a 250 euro a cui si aggiungono 16 euro di bolli). In un articolo pubblicato sulla Voce-info ( a firma di Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin) si stima che, sommando tutte le voci, ‘’lo Stato riceverebbe oltre 300 milioni di euro: una sorta di “patrimoniale” a carico degli immigrati. In altri termini – sostengono gli autori – sarebbe come chiedere a ciascuno dei 4 milioni di residenti stranieri adulti un versamento di 75 euro’’.
L’ultima ‘’cattiveria’’ per via legislativa è dovuta ad un emendamento presentato dalla Lega sul decretone ‘’identitario’’ (su RdC e quota 100) e accolto dalla Commissione Lavoro del Senato. Se questa modifica arriverà fino in fondo nella legge di conversione, gli stranieri extracomunitari (ovviamente quelli con permesso di soggiorno di lunga durata) che intendono richiedere l’accesso al reddito di cittadinanza dovranno presentare, oltre alla documentazione generalmente prevista, una “certificazione” di reddito e patrimonio del nucleo familiare rilasciata dallo Stato di provenienza, “tradotta” in italiano e “legalizzata dall’Autorità consolare italiana”.
Le nuove regole non valgono (bontà loro) per i rifugiati politici e per gli stranieri che provengono da Paesi dai quali non è possibile ottenere la documentazione richiesta. E quali sono mai questi Paesi? Ah saperlo! Lo comunicherà il ministero del Lavoro, il quale, nei tre mesi che seguono l’entrata in vigore della legge (il termine è ordinatorio, quindi scritto sull’acqua), dovrà stilare la relativa lista. Così, gli immigrati che avessero i requisiti per chiedere il reddito di cittadinanza dovranno attendere – un altro sussulto di perfidia – la pubblicazione di tale elenco prima di presentare la relativa domanda. Altrimenti, non saranno in grado di conoscere come viene giudicata, dalle autorità italiane, l’amministrazione civile, mobiliare ed immobiliare dello Stato di appartenenza.
A pensarci bene, la ratio della norma sul surplus di certificazione a carico degli stranieri non comunitari è la medesima che sollevò tanto scalpore mesi or sono in seguito ad una delibera del Comune di Lodi (sindaco la leghista Sara Casanova) per quanto riguardava le rette agevolate della mensa scolastica e dei servizi di scuolabus per i bambini stranieri. Il caso scoppiò nell’autunno scorso e fece il giro del mondo (ne scrisse pure il Guardian). Un nuovo regolamento sanciva che, oltre all’Isee, i genitori stranieri dovessero presentare anche le certificazioni riguardanti la proprietà di case, di conti correnti e di automobili nel loro Paese di origine: documenti da recuperare in originale e per i quali non valeva l’autocertificazione; quindi molto difficili da reperire, soprattutto in alcuni Stati africani e sudamericani.
Quei servizi divennero così inaccessibili a oltre 200 bambini figli di extracomunitari. Si mobilitò l’opinione pubblica, furono organizzate raccolte di fondi e soprattutto venne presentato un ricorso alla magistratura che lo accolse considerando discriminatoria la delibera. Le forze politiche della maggioranza si divisero. Il caso Lodi fu giudicato un esempio da seguire per la componente leghista, una stortura per i Cinque stelle. Da una parte Matteo Salvini, parlava di una «norma antifurbetti», dall’altra, Luigi Di Maio affermava: «Questo Stato sarà sempre dalla parte dei bambini». Lo seguiva il presidente della Camera, Roberto Fico: «Chi crea discriminazioni chieda scusa».. Ma ora il caso Lodi diventerà il caso Italia?
TN